Mi basta che Giannino dica: Mai più Messi(n)a in nazionale

mannion

Artiglio Caja mi aveva messo una pulce nell’orecchio: “Questa Serbia si può anche battere”. E ci ha indovinato, unico al mondo. Come Max Chef Menetti in tempi non sospetti aveva pronosticato lo scudetto della Virtus, ma non il 4-0 sull’invincibile Armani: una simile impresa poteva riuscire solo a Erode Messi(n)a, al secolo Ettore Messina. Sono in fondo nato con la camicia perché non è da tutti avere buoni amici e ottimi suggeritori su questa terra. Come invece mi pare non succeda alla corte di Giannino Petrucci. Così è capitato persino a me di fare ogni tanto una bella figura. Come ieri, all’ora di pranzo, quando al Gigante buonoDaniele Dallera, gran capo dello sport del Corriere, che mi aveva gentilmente chiamato per sapere del mio stato di salute, che da un paio di anni fa un po’ i capricci, ho buttato là con nonchalance: Mi piacerebbe che all’Italia riuscisse il possibile (!) miracolo di mettere in ginocchio stasera la Serbia di Monnezza Teodosic soltanto per vedere la faccia di Messi(n)a che fa guardando MaraMeo che va alle Olimpiadi e lui sta a casa. “Credo che invece Ettore tornerà ad allenare la nazionale dal prossimo autunno proprio al posto di Sacchetti.” Dici? Questa l’ho sentita anch’io. Però anche la Francia di Mbappè avrebbe dovuto vincere l’Europeo a mani basse e invece è stata poi eliminata agli ottavi dalla Svizzera proprio per un errore del giovane fuoriclasse parigino dal dischetto… E qui i tre puntini ci vogliono, anche se sarebbero andati di traverso a Gianni Mura, perché mille altre cose ci siamo detti al telefono che ora non voglio svelarvi per questioni di tempo e di massima discrezione. Come di una cena milanese di un paio di settimane fa, quindi non proprio segretissima, dei vertici della Banda Osiris nella quale al Messi(n)a con moglie al seguito è stato proposto come vice allenatore il Prozzecco da Gorizia e non per scherzo. Ovviamente c’era anche Ciccioblack Tranquillo assieme alla gentil consorte (pure lei di seconde nozze) che ha benedetto il matrimonio più scombinato dell’ultimo secolo. Soprattutto se il presidente-manager-coach di Milano, nonché dio in terra e in ogni luogo, prima di lasciarsi convincere dal grandissimo Virginio Bernardi di prendere il Poz, non avesse contattato come assistente l’amico (?) veneziano Frank Vitucci. Il quale non ha potuto accettare l’incarico, che pur lo lusingava, perché gli è stato offerto un ingaggio incredibilmente inferiore a quello che Fernando SottoMarino gli ha appena ritoccato a Brindisi. Chi ci capisce qualcosa è bravo o meglio: è proprio vero che i ricchi più soldi hanno e più pidocchiosi diventano. Ma non è tanto questo: è che tra Vitucci e Pozzecco la differenza è uguale a quella che passa tra una scarpa e uno zoccolo. Ieri sera quando ho visto gli azzurri far festa sul parquet intitolato ad Aza Nikolic, che un burlone ha anche osato accostare al nostro Messi(n)a, lo confesso: mi sono emozionato come un vecchio (che poi sono) o come quella volta a Nantes 1983. Quando Charlie Caglieris baciò il pallone della medaglia d’oro dell’Italia di Sandro Gamba campione d’Europa e lo lanciò in cielo. E io lo raccolsi con le lacrime agli occhi. Così ho promesso agli amici di Facebook che oggi avrei ripreso a scrivere tutti i santi giorni (tranne il martedì) su questo blog perché proprio non ce la facevo più a trattenere la gioia e a star zitto. Trenta, quaranta righe, al massimo. Altrimenti non potrò mai essere di parola. Come i marinai, donne e guai. Ebbene le ho appena contante: sono già 45 righe, quasi una cartella, e non vi ho ancora offerto nemmeno un assaggio di tutte le news che ho invece raccolto in questo annus horribilis e che ormai tracimano dal (mio) sacco e dalla (mia) sporta. Ma sono così contento per l’impresa degli azzurri ieri a Belgrado che sarei salito anch’io oggi sul carro dei vincitori assieme al meraviglioso figlio di Pace Mannion, Nico (nella foto), se avessi trovato un posto anche a pagamento in piedi con un gomito sullo stomaco e un altro tra i denti. Nonostante, perché dovrei negarlo?, MaraMeo Sacchetti, che avevo molto amato come giocatore (lo chiamavo Nureyev per la leggerezza dei suoi balletti sotto canestro), mi sia andato di traverso da quando è diventato cittì e ha trattato Boscia Tanjevic come una pezza da piedi. Bravo comunque oltreché fortunato d’essersi trovato alla guida di una squadra senza paura con giocatori come Achille Polonara o Simone Fontecchio che in passato aveva più volte scioccamente ripudiato. Per non parlare di Stefano Tonut e Michele Vitali che faranno grandi cose insieme a Venezia. Tornando al Gigante buono, mio caro allievo al Giorno, mi è piaciuto il coraggioso incipit nel suo commento d’oggi sul Corriere: “E’ l’Olimpiade di Meo Sacchetti, cittì a scadenza, visto che il presidente federale Gianni Petrucci ha già promesso la nazionale a Ettore Messina forse con troppa fretta”. Vero. Anzi, verissimo. Ed infatti, prima di partire per Tokyo, mi auguro che Giannino ammetta i propri errori e prometta: “Mai più Erode Messi(n)a alla guida dell’Italia” tanto più che al numero due dell’Osiris non piacciono gli italiani e, se potesse, li prenderebbe tutti a calci sul sedere come ha già fatto con i figli di Carlo Della Valle e Paolo Moretti. Altrimenti mi tocca dar retta ai molti detrattori che già ieri sera invocavano le sue dimissioni. Probabilmente esagerando. E ai quali non basterà che Petrucci prima di cena abbia furbescamente annunciato a Radio Sportiva che Sacchetti sarà il commissario tecnico della nazionale azzurra sino agli Europei della prossima estate.