Si va a Tokyo grazie soprattutto agli scarti di Sacchetti

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Penso che nel Belpaese dei balocchi e dei Salvini si dia troppo importanza agli allenatori e molto meno a quelli che poi invece sono i veri protagonisti della scena: i giocatori. Nel bene o nel male. Nella buona o nella cattiva sorte. Nel calcio o nella palla nel cestino. Tranquilli, non ho nessuna intenzione di mettervela giù pesante. Come succede, da quel che mi raccontano, nelle telecronache Nba di Ciccioblack Tranquillo che nessuno riesce più a digerire. Men che meno nel cuore della notte. Quando comincia a spiegarti il suo Basket con angoscianti giri di parola che non ti portano da nessuna parte. Se non a prendere una pistola e puntartela alla tempia. Per questo non lo ascolto più da un mare di tempo e, se non ricordo male, dal giorno di qualche secolo fa in cui urlò spasimato nel megafono: “Se Paul Biligha non è il futuro della nostra pallacanestro, io non ne capisco nulla di questo sport”. Walter Ray-ban De Raffaele invece, per vincere con la Reyer il suo secondo scudetto in tre anni, dovette legare a Biligha mani e piedi alla panchina per tutta la durata dei playoff tricolori contro il Banco di Sardara e di Prozzecco. Per la verità il lungo perugino d’origini camerunensi, che non è in fondo un cattivo ragazzo, anzi, giocò anche un minuto scarso di quelle sette finali ma solo per sbaglio. E non sto scherzando: difatti il sanguigno tecnico livornese lo aveva erroneamente iscritto nel referto iniziale di una partita contro il Poz soltanto perché aveva comunicato al tavolo il numero sbagliato di Mitchell Watt che era (ed è) il 50 e non il 19. Morale della favola: Ciccioblack ne capisce assolutamente poco di pallacanestro. Per non dire un tubo o una mazza. Persino meno del sottoscritto. E ce ne vuole: fidatevi. Però lui resiste sulla torre di comando della Banda Osiris perché ha per amico del cuore il Messi(n)a che ha confermato Biligha per il terzo anno consecutivo nonostante nei due precedenti con lui sotto canestro e Kaleb Tarczewski, di cui non sa più cosa inventarsi per sbarazzarsene, al massimo Milano abbia vinto un paio di coppette di latta che sono però costate a Giorgio Armani un occhio della testa. Cioè non meno di 80 milioni di euro. Chapeau! Ho perso intanto il filo del discorso correndo dietro al Tony Dallara, l’Urlatore, di Sky che stanotte propone la prima finale Nba tra i Phoenix Suns e i Milwaukee Bucks che attizza da matti persino la mia Tigre. Che infatti ha puntato la sveglia alle tre e andrà a vedersela in soggiorno a basso volume. Meglio se spento. Mentre io non riuscirò probabilmente lo stesso a chiudere occhio pensando a tutti i problemi che ha Sky. La quale, persa l’esclusiva delle partite della serie A di calcio, è alla fine di un ciclo e sta buttando giù, a detta dell’Espresso, un piano di esuberi d’addirittura 3.000 dipendenti. Che sarebbero stati anche di più se il buon Erode Messi(n)a non avesse regalato all’emittente parabolica del povero Tranquillo i diritti a trasmettere tutte le partite dell’Armani nella prossima stagione di EuroLega. Il filo per fortuna non era lungo come quello di Arianna e allora lo riprendo non prima però d’essermi spaparanzato in poltrona davanti alla televisione con cinque palline di gelato alla crema per vedere gli azzurri di Roberto Meches Mancini che ha molti più meriti credo di MaraMeo Sacchetti (nella foto d’archivio, ndr) nell’aver dato un buon gioco e una personalità vincente ad un’Italia che, passando le pene dell’inferno, si sta giocando la finale di domenica a Wembley forse contro l’Inghilterra che dal 2016 è allenata da un signore con la barba molto ben curata di cui in pochi, a parte il sussiegoso Marinelle Marianella, conoscono il cognome e ricordano il nome: Gareth Southgate. La nazionale del preolimpico di Belgrado, che si è meritata alla grande il viaggio a Tokyo nel torneo di basket più affascinante della terra (dal 23 luglio all’8 agosto), è stata infatti più figlia dell’improvvisazione che di un disegno tattico programmato. “Italia cuore Meo” è eccezionalmente un buon titolo della Gazzetta d’oggi. Così come la conferma di Sacchetti sino all’Europeo 2022 è stata una scelta obbligata (e scaltra) da uomo politico consumato qual è Giannino Petrucci, ma adesso si faccia pure avanti il ruffiano che afferma oggi d’aver alzato un dito in favore del cittì prima della sofferta vittoria su Porto Rico del primo luglio scorso che lo prendo subito per le orecchie e, allungandogliele come una gomma americana, gli dico che è uno fanfarone stupido. Mi ripeto: abbiamo messo in ginocchio la Serbia del raccomandato a vita, Igor Kokoskov, grazie alle rinunce di Belinelli, Datome e Hackett e soprattutto grazie ai giocatori che in passato MaraMeo aveva spesso e volentieri scartato. Cominciando dai fantastici Achille Polonara e Simone Fontecchio. Senza dimenticare che Marco Spissu, fuori fase da qualche mese, era stato all’inizio del preolimpico preferito in regia ad un Nico Mannion che vale almeno tre o quattro volte più del generoso playmaker di Sassari. Anche oggi ho scritto nonostante il martedì di solito sia in altre faccende non certo piacevoli affaccendato, ma ho sentito intorno a me tanto di quell’affetto che mi sono lo stesso seduto dopo cena davanti al computer dal quale mi sono staccato solo al gol di Federico Chiesa, che se non mi sbaglio gioca nell’odiata Juventus, e all’errore dal dischetto di Alvaro Morata, luce comunque dei miei occhi. A domani. Mentre segna Jorginho e l’Italia vola in finale a Wembley. Immeritatamente. Più con culo che altro. Ma nella vita serve soprattutto questo. Vero MaraMeo?