Non c’è già più niente da ridere in questi pazzi playoff

melli

Torno a scrivere sul mio blog dopo dieci mesi e mezzo, ma non chiedetemi se sono contento. Anche no. Stavo bene lo stesso e il mio, fidatevi, non era un dolce far niente, ma arrivavo a sera in un lampo e a mezzanotte ancora mi domandavo come, quando si è vecchi, e io lo sono da un pezzo, il tempo ti scappi sempre sotto al naso senza mai riuscire a fermarlo nemmeno per mezzo secondo. Sono tornato a scrivere su Mors tua vita Pea, che è il sottotitolo del mio Satiricon, a grande richiesta o, se preferite, a furor di popolo. E non lo dico per darmi delle arie o perché nel frattempo mi sono gonfiato di boria come il caro Ciccioblack Tranquillo col quale ho finalmente imparato a convivere davanti alla tivù. Che una volta spegnevo appena lo sentivo urlare o pontificare, mentre adesso prendo allegramente appunti di quel che racconta parlando di Nba o di Eurolega e pensando che Socrate o Euripide in fondo, al suo confronto, fossero due pippe di filosofi superficiali e banalissimi. E mi diverto da morire, non potete immaginare quanto. Soprattutto quando non gli dà corda Davide Pessina, il povero nonno di Heidi al quale nessuno è riuscito ancora a dare un nome e lui, me l’ha di recente confessato, ne soffre da matti. Molto più di dover essere, ormai da una vita, la spalla sacrificale su Sky degli allucinanti monologhi di Ciccioblack. Ovvero del fondatore di quella Banda Osiris che da otto lustri continua nel nostro basket ad imperversare facendo più danni della grandine. Eppure è sempre supportata dalla Lega di Umberto Gandini che di tanto in tanto allunga la paghetta agli affiliati alla band di Tranquillo non si sa bene per quale motivo: forse soltanto per tenerseli tutti zitti e buoni a non far niente di niente.

Odio la grandine molto più di Beniamin Netanyahu o di Viktor Orbàn. Che se mi rovina come un anno fa le fantastiche ciliegie di Marostica, temo che potrei anche andare via di zucca come mi è capitato ieri sera vedendo fischiare sfacciatamente a favore della Reyer, e quindi contro la stoica Reggio Emilia, il buon Bobo Begnis e i suoi due modesti e sconcertanti compagni di merende, il famoso Andrea Valzani, silurato alla vigilia dell’Armani-Segafredo di dicembre perché sospettato su Instagram d’essere un ultrà di Milano come il gatto della sua fidanzata, e Giacomo Dori che – guarda caso – è di Mirano, provincia di Venezia, dove ha giocato sino all’altro ieri Federico Casarin, presidente della Reyer e vice-presidente (vicario) della Federbasket, e che è stato confermato arbitro internazionale su raccomandazione di un personaggio molto noto in laguna anche dopo la (sua) retrocessione di due anni fa in A2. Robe da non credere. Però non voglio ancora anticiparvi nulla. Nonostante vada di fretta e, come sempre, sia in terribile ritardo sulla tabella di marcia. Anche se stavolta potrei accampare delle valide scusanti: per ben due volte infatti ho premuto il tasto “canc” della mia tastiera che si è mangiata in un lampo l’articolo quasi finito e rifinito che per dissuetudine mi ero dimenticato di salvare. Ben mi sta, potrebbero ora esclamare in coro i tre arbitri che ho appena menzionato. Ma non desisto proprio adesso che ho deciso di tornare a scrivere: non mollo e vado avanti. Come dicono tutte le sere i ripetitivi concorrenti dei “Pacchi” di Amadeus. Però io non ringrazio il dottore più antipatico di Iena ridens Bassani e più serpente a sonagli di Mammoletta Mamoli: potete starne certi. Al mille per mille. Soprattutto quando m’imbatto in due scudieri eccellenti di Flavio come sono Andrea e Alessandro.

Non so se ve ne siete accorti, penso proprio di sì, ma ho già perso il filo del discorso che mi aveva regalato l’Arianna molto carina ed educata, ma non sono eroico come il mitico Teseo che uccise il Minotauro anche perché di questi tempi il Male ha spesso il sopravvento sul Bene e non puoi farci niente. Leggasi Ferragni o, forse pure peggio, quella bugiarda che si fa chiamare Giorgia, “bella missina”, che prende per i fondelli gli italiani che si compiacciono d’essere diventati più somari dei loro nonni che acclamavano il duce di Predappio. Insomma non ho perso purtroppo le mie vecchie abitudini, cioè quelle di puntare diritto ad un bersaglio e di perdermi invece in chiacchiere strada facendo come canta Claudio Baglioni. Del resto ieri mattina stavo giusto andando a passo svelto in piazza della torre dell’orologio per bere solo un latte freddo su un bicchiere grande più una tazzina di caffè bollente e di rientrare invece a casa, senza averne sorseggiato nemmeno un goccio, con due belle borse di frutta e verdura nelle mani, e pure qualche nuovo libro sotto braccio, e di chiedere alla Tigre se per favore mi faceva un caffè con la moka che poi mi sarei versato nel bicchiere di latte scremato con tre cucchiaini e mezzo di zucchero perché a me piace così: amarissimo. Posso?

Ho del resto fatto un salto prima al mercato perché ormai, avendo da quattro primavere perso il cinquanta per cento dei gusti e in particolare quello della carne, sono diventato, volente o nolente, un irriducibile vegetariano come pochi altri sulla faccia della Terra. E se dalla Stefania ho comprato le prime ciliegie (voto 6.5 più di gola che di sapore) e le albicocche che vengono dalla Spagna (voto 5 e non 4 per essere larghi di manica a metà maggio), oltre agli spinaci e ai piselli nostrani, al radicchio (rosso) di Verona e ai pomodoro Cuore di bue degli orti di Sant’Erasmo (voto 8), ho acquistato da Ubik tre libri che non vedo l’ora di mettermi a leggere e che magari invece aprirò tra un paio d’anni ricoperti da due dita di polvere: “La vita s’impara” di Corrado Augias, per me il numero 1 come direbbe DindonDan Peterson che non sento da una vita, “La stagione bella” di Francesco Carofiglio e “Fascismo e populismo” di Antonio Scurati, lo scrittore e giornalista di cui è stato censurato il monologo sul 25 aprile dalla trasmissione Chesarà della brava Serena Bortone che ha denunciato il fatto e per questo rischia d’essere cacciata da TeleMeloni. Evviva! Nonché il “dizionario da scarsèa (tasca)” dal veneto all’italiano che ho intenzione di sfogliare la sera a letto, prima di prender sonno, per stare aggrappato ad una lingua che non è dialetto ed è invece l’unica cosa buona che è rimasta nella regione di Luca Zaia dalla quale scapperei oggi stesso se non compissi settantacinque anni il prossimo 13 d’agosto. E non sono più anziano, ma proprio vecchio, ripetitivo e forse pure rincoglionito. Però non ancora al punto da sorprendermi se la squadra oro-granata di Olivetta Spahija ha perso, e non di poco (74-82), con quella reggiana di Dimitris Priftis la prima gara 1 dei quarti di finale dei playoff come immagino che oggi abbiano fatto l’Anonimo veneziano del Gazzettino e forse – bontà sua – l’inviato della Gazzetta che spara sentenze a vanvera dal suo divano di casa. In verità è dallo scorso ottobre, se non dalla primavera del 2023, che la Reyer fa ridere per non piangere e per quel che costa, ed è costata, a Napoleone Brugnaro. Che infatti è più incazzato di me quando leggo sui quotidiani di Urbano Cairo che un ex intertriste, Thiago Motta, è più bravo di Acciuga Allegri e dovrebbe prendere il suo posto nella Juventus.Come no?

Sono tornato a scrivere ma non di calcio. O almeno non oggi e neanche di qui ad un paio di settimane: il calcio mi ha proprio stomacato e difatti non ho visto in questa stagione nemmeno una partita di Champions alla televisione prima dei quarti di finale. Cioè solo dopo che, se non mi sbaglio, tutte e quattro le grandi squadre italiane, Napoli e Inter, Milan e Lazio, sono uscite di scena facendo una figura parecchio barbina. Però nessuno ci ha fatto caso. Guarda un po’, che strano? Di pallacanestro piuttosto voglio riprendere un discorso bruscamente interrotto sul mio blog quasi un anno fa, esattamente il 25 giugno 2023, quando feci molto rumore sostenendo che, qualora la Virtus di Sergio Scariolo avesse giocato la settima finale tricolore in casa nel palasport della Fiera di Bologna, l’Armani dell’Innominabile col cavolo che avrebbe vinto la terza stella. E questo non sarebbe accaduto se nella penultima giornata di regular season al Palaverde di Villorba Don Carmelo Paternicò da Piazza Amerina, comune di Enna, non si fosse inventato due punti più tiro libero (realizzato) in favore di Banks che era andato invece platealmente a sfondare su Shengelia. Ebbene per quei tre punti in più regalati a Treviso la Segafredo di Massimo Zanetti ha perso partita, primo posto nella classifica finale e scudetto. Non so se mi spiego.

Da allora ne è passata molta d’acqua sotto il ponte di Rialto, ma nel frattempo, come io non ho fatto marcia indietro su quel che all’epoca pensavo in merito al fischio dell’arbitro siciliano che è un sacco amato a Milano chissà mai perché, così i giornali di qualsiasi testata nazionale hanno rafforzato intanto il loro sentimento di venerazione nei confronti dell’Armani e del suo presidente-mister che preferisco non nominare perché in fondo lo conosco da quando era ragazzino e gli sono affezionato, giocava a basket in via Aleardi a Mestre, il paese diventato città con la stessa piazza della torre dell’orologio dove anche stamattina sono andato a fare colazione e il mercato della frutta e verdura per fortuna era chiuso. E Tonino Zorzi, il caro Paron che mi manca ogni giorno di più, anche se mi telefonava alle tre di notte per sapere su quale canale avrebbero mostrato l’indomani sera “la nazionale di Prozzecco come lo chiami tu”, me lo segnalò come il più promettente dei suoi allievi-gioiello che infatti mandò subito a scuola dall’esimio professor Vittorio Tracuzzi a Padova perché imparasse in fretta il mestiere d’allenatore per il quale lo vedeva molto portato. Ed infatti non si sbagliò.

Gesù mio, ma quanto ho già scritto? Addirittura tre cartelle di roba e magari pensavate che stavo menando il can per l’aia o, se preferite, il torrone non sapendo da dove ricominciare a fare un po’ di satira spicciola e finalmente criticare un’Armani che ha fatto pena per tutta la stagione e nessuno ha trovato mai il coraggio di criticarla. Anzi è stata difesa a spada tratta e non solo dal suo amico Ciccioblack e da Sky, ma persino da Pierluigi Pardo che già non fa polemica nel calcio se non contro la Juve di Allegri, scimmiottando Adani o Tutino,  figuriamoci se si sognerebbe mai di spendere mezza parola contro le scarpette rosse dell’Innominabile che non sa magari neanche chi siano. Tanto più che di basket, da come ne parla non ricordo più su quale emittente, pure Rocco, il mio amatissimo nipote di dodici anni, dice che si capisce che non ne sa un tubo: “Nonno, persino ancor meno che di calcio. Visto che all’inizio della stagione si è dichiarato pronto a scommettere che tutte le squadre avrebbe dovuto di nuovo fare i conti col Napoli”. Quali conti? Forse quanti soldi ha guadagnato ADL con lo scudetto che il Napoli rivincerà la prossima volta forse tra 33 anni?

Non c’è niente da fare. Avendo troppe notizie di basket nel cassetto, è un po’ come se avessi perso la chiave per aprirlo. Però adesso forse avete compreso perché la gente mi supplica di tornare a scrivere ed io, anche se non ne ho più voglia perché mi sono ormai abituato a un altro tipo di vita, cercherò d’accontentarla almeno durante questi playoff. Che sono cominciati come erano finiti. Cioè con gli arbitri di Citofonare La Monica nell’occhio del ciclone, però nessuno se ne è quasi accorto. Perché nessuno della carta stampata, e men che meno della televisione, ha parlato di un incontro piuttosto acceso che c’è stato lunedì a Bologna tra gli allenatori e i capitani delle otto squadre promosse ai playoff e il grande capo dei fischietti accompagnato dal designatore – si fa per dire – Marco Giansanti. Ebbene La Monica è stato appeso all’attaccapanni in primis dal presidente dell’Armani dopo che la stessa cosa aveva fatto Giannino Petrucci nei giorni precedenti. Insomma un altro al posto suo avrebbe come minimo dato le dimissioni seduta stante, ma per fortuna il nostro non è un impulsivo e di rinunciare a centomila euro all’anno non se l’è proprio sentita. E ha fatto bene. Anzi benissimo. Tanto le terne arbitrali sanno meglio ancora quale sarà il loro compito in questi playoff. E non scandalizzatevi per favore: non mi sembra assolutamente il caso nel ventunesimo secolo.

Quale aria tiri lo si è capito già ieri sera al Taliercio, ma se poi la Reyer tira da cani e difende anche peggio, cosa potevano fare di più Begnis, Valzani e Dori? Nulla. Mentre mi hanno telefonato prima di cena in mille e più di mille per raccontarmi cosa stavano combinando al Forum il nostro affidabilissimo Carmelo assieme a Tolga Sahin in caduta libera e a Denis Quarta che a me invece non dispiace. Come del resto Beniamino Manuel Attard e Manuel Mazzoni, il migliore di tutti che però ha ben poco da ridersela di gusto con Nicolò Melli (vedi foto) perché io non ho visto il primo duello dell’Armani con Trento, ma mi giurano che Paternicò e l’altro siciliano d’origini turche abbiano fatto l’impossibile per tenere in vita l’Olimpia sotto di quattro punti alla fine del terzo quarto. Come sia andata poi a finire non lo so, perché come è mia abitudine da quasi un anno ho spento il telefonino e mi sono isolato dal resto del mondo. Perché tutte le partite, pure quelle di tennis, o i Gran Premi o le corse del G(h)iro d’Italia me le registro e me le vedo quando ho tempo o voglia. Anche un paio di giorni dopo se ho molto meglio da fare. Ovviamente evitando come oggi di leggere anche il giornale della serva e la Gazzetta al bar della piazza che per fortuna il lunedì è chiuso per riposo settimanale.

L’ho fatta lunga. Anzi lunghissima. Ma prometto e giuro che non sarà più così d’ora in avanti. Quando al massimo arriverò a scrivere una cartella di succosi – spero – pensierini. Come quelli che regalo ai miei compaesani sulla loro Reyer per chiudere in bellezza. Punto primo: non credo che la squadra del sindaco di Venezia sarà eliminata dalla UnaHotels al primo turno perché domani torna a vincere al Taliercio e altrettanto farà in una delle due trasferte a Reggio Emilia. A meno che Rayon Tucker, che ha ricevuto offerte da mezza Eurolega, non sia già con la testa in vacanza e lontana dal parquet del Taliercio come ieri sera. Di Davide Casarin invece che sia stato tentato d’andare a giocare in Spagna, non ci credo nemmeno se lo vedo. E’ più facile semmai che giochi il preolimpico di San Juan, in Porto Rico. Mentre io mi sto organizzando, per non essere da meno, a fare un bel viaggio sulla luna. O su Marte? Vedremo. Tutto dipende da Olivetta Spahija se resta o meno in laguna. Ad oggi le sue possibilità di guidare gli oro-granata per un altro campionato non è superiore al 30 per cento. Ma se Marco Spissu non sarà confermato, come spero, vorrà dire che il croato non tornerà anzitempo ai suoi amatissimi uliveti in madre patria. Se invece il play sardo, che non è un playmaker, rimarrà il terzo anno a Venezia, vorrà dire che l’allenatore della Reyer sarà l’anno prossimo Gianmarco P(r)ozzecco che in nazionale, se andrà a Parigi, si porterà lui, Amedeo Tessitori e pure il giovane Casarin. Lasciando a casa Daniel Hackett come vuole Nicolò Melli che in azzurro conta e comanda più del Poz. Contenti voi, contenti tutti. Io no. Ma a chi spetterà l’ultima decisione su Spissu e di conseguenza su Spahija? Scontatamente a Napoleone Brugnaro che è ancora incerto sul da farsi. Di sicuro è furente con la squadra più che con l’allenatore. Alla quale le ha già cantate ai primi di febbraio. Quando a fine partita si precipitò nello spogliatoio del Bigi di Reggio Emilia e le cantò di santa ragione a tutta la squadra che era stata pure quella domenica sconfitta dalla UnaHotels e ancora più di brutto: 77-60. Con il solo Aamir Simms in doppia cifra: 14 punti. E io pago, roba da matti…