Quella tripla che Belinelli non avrebbe mai dovuto segnare

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Non so se sia sfiga o altro. Probabilmente altro. Ovvero tutte le deficienze del nostro sistema basket che vengono al pettine in una serata nella quale mi ero tranquillamente seduto alle otto in poltrona davanti alla televisione per vedere Trento-Venezia, entrambe falcidiate dal Covid 19, che è stata anche la finale scudetto del giugno 2017 vinta 4-2 dalla Reyer di Walter De Raffaele. Che è ancora lì: sulla panchina orogranata. Alle pendici del Monte Bondone, ora credo bianco di neve. Con i suoi occhiali scuri che lo proteggono dalle luci del palasport che gli danno sempre molto fastidio e che sono griffati Armani. Ma questo, mi raccomando, non spifferatelo a Napoleone Brugnaro che potrebbe anche arrabbiarsi. Mentre il mago delle difese aggressive, Maurizio Buscaglia che io chiamo Fred, in omaggio al grande Buscaglione, dopo aver perso l’anno dopo un’altra finale tricolore ai playoff con la Milano di Simone Pianigiani non ha avuto fortuna né a Reggio Emilia, né a Brescia e in settimana è stato esonerato pure dall’Hapoel Holon. Succede ma mi spiace ugualmente. Con una bella tazza di brodo bollente per cena e la minima intenzione di scrivere stasera sul mio blog libero e satirico che lo ricordo è www.claudiopea.it Così non mi leggete su Facebook e mi fate un favore perché non è che abbia una gran simpatia per i social network e i loro assidui frequentatori che sembra non abbiano altro da fare nella vita che dimostrare agli amici che sanno tutto loro. Specie di cose del pallone. E invece sono per la maggior parte soltanto dei tifosi frustrati o, peggio ancora, dei salumai che da giovani sognavano di fare i giornalisti sportivi pensando che fosse un mestiere facile. Di sicuro è il più bel lavoro, se è un lavoro, come dubitava Gianni Brera, del mondo o, meglio, lo era, dal momento che sta scomparendo, ma non è la stessa cosa che vendere salami e formaggi. Fidatevi. Con immutato rispetto per i pizzicagnoli. Sia chiaro. Il mio era solo un esempio. Come la news che mi è appena squillata sul telefonino: “Piotr Zielinsky positivo dopo Juve-Napoli: l’Asl gli aveva imposto (il giorno prima della partita, ndr) la quarantena”. E invece Lucianino Spalletti con il Covid19 lo ha fatto lo stesso giocare con la maglia numero 20. Bravo. Ma io molto più di lui perché nel mio pezzo di ieri notte – controllate se volete – l’avevo già scritto che l’azienda sanitaria locale di Pozzuoli (Napoli 2) aveva messo in isolamento sia il polacco, che lo slovacco Labokta e il kossovaro Rrahamani, ma Pulcinella De Laurentiis aveva ordinato di non darle retta. E adesso? Non succederà niente. Ma che il calcio sia marcio in Italia non lo deve almeno più dire quel signore che chiama la Juve “Rubentus” e produce degli inguardabili film panettone. Come l’ultimo: Chi ha incastrato Babbo Natale? Con il debutto nel cinema di Diletta Leotta. Che è bravissima, per carità di Dio, ma non credo che abbia la tessera di giornalista professionista che io porto nel portafoglio dal 1980. Anche se è laureata in giurisprudenza, ma di calcio ne mastica ancora poco. Per non dire niente. Ero partito dicendo che certe cose possono succedere solo nel nostro basket. O non se sia sfiga o altro. Probabilmente altro. Ma anche che oggi non avrei scritto una riga sul mio blog avendo deciso di guardarmi Trento-Venezia in tivù bevendo una tazza di brodo di cappone. E invece eccomi qui ancora davanti al personal computer che continua a mangiarmi le emme e le erre e vorrei dargli un pugno. Mentre sarà il caso che una volta per tutte anche chiarisca perché mi disseto sempre col brodo che due o tre volte alla settimana mi cucina la Tigre. Perché la radioterapia mi ha bruciato nell’autunno del 2019 tutte le papille gustative che mi sono ricresciute al 50-60 per cento. Ovvero non riesco più a bere nessuna bibita che sia gasata, neanche l’acqua minerale, o alcolica, neanche un Rosatello leggero leggero. E dunque vado matto per il brodo e per il succo di pomodoro. Punto e accapo. Senza assolutamente piangermi addosso. C’è molto di peggio nella vita. O, meglio, senza assolutamente sbrodolarmi addosso. Piuttosto non vi ho ancora confessato il motivo per il quale ho cambiato idea e sto ancora scrivendo senza sapere, lo giuro, come sia finita la sfida molto carina e di qualità tra le squadre del compaesano Lele Molin e di Ray-ban De Raffaele che ho lasciato alla fine del primo tempo sul risultato di 41-44, la Reyer molto meglio della Dolomiti Energia con un protagonista inatteso e anche (forse) in vendita ai saldi di gennaio: il ventitreenne centro lituano Martynas Echodas, 13 punti in una decina di minuti giocati con un paio di schiacciate terrificanti e non esagero. Fatto sta che il collegamento per la diretta su Eurosport 1 è iniziato a match già cominciato (2-2) dopo una pubblicità che è durata un quarto d’ora e l’ultimo spot che diceva: “Emozione, adrenalina, squadra, spettacolo, tifo: una passione così nessuno la può stoppare”. Firmato Lega Basket serie A Unipol Sai assicurazioni. E’ vero. La pallacanestro è uno sport fantastico come il mestiere del giornalista sportivo, ma mi sarei anche stufato di tutti questi contrattempi o cialtronate che dir si voglia che allontano gli sponsor dalla palla nel cestino invece che riavvicinarli come tutti vorremmo. Perché non vi ho ancora raccontato il seguito dell’imbarazzante vicenda. Magari io, e non sono l’unico, sono anche abituato a vedere le partite di basket senza l’audio se la telecronaca è dell’urlatore Ciccioblack Tranquillo che mi raccontano ultimamente sia anche peggiorato, se possibile, perché s’aggroviglia con i suoi famosi discorsi filosofici e finisce col non capirci lui stesso più niente. Ma il commento di Trento-Venezia è mancato per tutto il primo quarto (21-25) senza che nessuno ti spiegasse la ragione dell’inconveniente tecnico e ti chiedesse almeno scusa come faceva la Rai agli albori delle sue trasmissioni. Anzi, all’improvviso, come niente fosse successo in quasi mezzoretta di diretta senza sonoro si è sentito Mario Castelli di sabbia (e di parole al vento) che s’entusiasmava per il settimo punto di Toto Forray che Hugo Sconochini si divertiva a paragonare per la sua bizzarra acconciatura, e non solo, ad un “fantastico lottatore samurai”. Applausi. E adesso? Ora vi spiego, come promesso, perché ho sbagliato ad assegnare la vittoria in pagella a Ettore Messina su Sergio Scariolo per 8-7 nel loro fantastico duello di mercoledì al Forum e poi vado a nanna. Perché sto crollando dal sonno e mi vedrò domattina, bello sveglio e pimpante, il secondo tempo della partita di Trento che ovviamente ho provveduto a registrare. Al massimo tra il Messi(n)a e Don Gel è finita in parità, diciamo 7-7, come ebbe proprio a dire Ettore dopo un derby con la Fortitudo perso di un solo punto dopo un tempo supplementare dalla Virtus che lui all’epoca allenava. E non perché Armani-Segafredo si è protratta all’overtime, ma perché il più grande coach italiano di questo secolo si è dimenticato, dopo che Grant sul 95-92 aveva sbagliato ad una manciata di secondi dalla sirena entrambi i liberi, ad urlare ai suoi giocatori di commettere un qualsiasi fallo a rimbalzo o a metà campo su una qualunque vu nera impedendo così a Marco Belinelli (nella foto) la tripla del pareggio che invece ha potuto tirare e magnificamente realizzare. O forse mi sbaglio? Non credo proprio. E senza tanto cercare il pelo nell’uovo o perché – dicunt – a Messina non gliene risparmio mezza. Sogni d’oro. E arrivederci a lunedì. Se vi va.