Ricordo del Professore come lo chiamava Renato Villalta

mario

Volevo dirti che ti volevo bene. Solo questo. Con la morte nel cuore e un nodo in gola. Ma ha ragione Mariella: chi è che poteva non voler bene a Mario? Giusto. Non volevo essere banale e invece lo sono stato. Purtroppo. Però tre righe le voglio scrivere lo stesso sforzandomi d’essere almeno lieve. Mentre non riesco proprio a trattenere le lacrime, i ricordi si accavallano ai ricordi e ora ti guardo con il naso all’insù seduto sulla panchina di quel campetto di basket tra le stelle. Dove con Roberto siete tornati a raccontarvela e a sorridere della vita a modo vostro. Tu con il tuo dilagante entusiasmo, lui con la sua generosità senza limiti. E così di nuovo te la godi accanto al tuo coach preferito, che ti aspettava tra le nuvole dal Natale del 2018, insieme ammirando schiacciare a canestro Marco Solfrini che anche sulla terra volava in cielo come adesso lo vedete fare agli angeli. Te ne sei andato, Mario, così in fretta che non ce ne rendiamo ancora conto. E io quasi rifiuto di crederci. Era l’altro giorno che tutti i giorni, e non ne saltavi uno, o passavi a trovarmi o mi telefonavi o parlavi con Marisa e le chiedevi come stavo e se ce l’avevo fatta a bere almeno una tazza di brodo di carne. O, meglio, di cappone nostrano. “Eh ciò! Vorrei ben vedere”. Era solo lo scorso inverno e ti dicevo che avevo freddo anche a letto con due piumini, avevo perso il gusto e l’olfatto e mandavo in mona tutti i medici di questo mondo. Soprattutto quelli della radioterapia dell’Angelo. Che invece mi hanno salvato la vita. E tu mi ascoltavi paziente e comprensivo. Mai una parola fuori posto e la calma che non ti è mancata nemmeno quando non sopportavo l’idea che Marx Allegri avesse preso il posto del Conte Antonio sulla panchina della Juventus. Mi ero sbagliato. E di grosso. Come mi succede sovente. Forse anche troppe volte. Ma tu non me l’hai mai sottolineato. Perché sapevi come ero e come sono fatto e ti piacevo ugualmente. E mi volevi bene come si vuole bene ad un amico. Tu che di amici ne avevi molti. Ma non troppi. Perché eri capace di coccolarteli tutti. Ognuno facendolo sentire per te molto importante. Di nicchia, come si dice adesso. Gli amici che domattina alle undici, in Duomo, nella piazza di Mestre che amavi tanto, li vedrai e li indicherai ad uno ad uno a Roberto. Qualcuno di loro anche resterà fuori dalla chiesa perché il virus carogna negli ultimi quattro mesi ci ha voluto tenere ben distanti uno dall’altro e soprattutto da te, ma non ce l’ha fatta a staccarci dall’affetto che ancora ci lega tutti al Professore. Come ti chiamava Renato. Il tuo caro Renato Villalta, il padrino di Massimiliano. Come ti chiamavano Michela e Gianfranco Dalla Costa, fratello gemello di Renatone, il cuore e la mente della Duco che per la prima volta trascinarono Mestre in serie A. O Mara e Dino Tonini, i tuoi compari di nozze, e pure Gipienne, Marzio, Nino, Massimo e quelli della Cassa Peota che si ritrovavano da Ceccon in pasticceria o all’Aciugheta in campo Santi Filippo e Giacomo. A Venezia. O la Gloria e Papo, Magda e Claudio, figlio del grande Gigi Marsico, Elvio, Valter e i Dodici Apostoli. O Marina Zamarin e i tre magnifici figli che assomigliano a Roberto. O il Basket San Marco o il gruppo culturale del Lepido. Che è un aggettivo che ignoravo volesse dire “piacevolmente arguto e spiritoso”. Com’era Mario, il geometra De Stefani, nella foto. A volte curioso più di un (eterno) bambino. Che la notte dormiva poco e sentiva la radio a letto con le cuffiette. Di modo che al mattino sapeva tutto di tutti senza essere mai pettegolo. Sempre innamorato della vita e della sua famiglia, di Mariella e di Massimiliano. Amante dell’arte e della cucina, meglio se ruspante e di pesce. Del teatro e di un buon bicchier di vino. Cuor Contento come lo chiamava con ammirata e infinita dolcezza Gian Paolo che invece è un orso. Tifoso del Milan di Rivera e di Liedholm, forse più del calcio che del basket. Così come non era un segreto che avesse un debole esagerato per Max Allegri che alla fine ha contagiato anche me. Al punto che, se Walter De Raffaele avesse mantenuto la promessa d’andare a pranzo a Livorno con il suo illustre compaesano, giuro che avrei portato anche il Professore presentandoglielo come il suo più grande estimatore. Oltre alla persona più buona che ho conosciuto sulla faccia della terra assieme a mio suocero. E adesso lasciatemi piangere. In silenzio. Nella notte nera. Che mi fa bene. Felice almeno di sapere che Massimiliano ha fatto in tempo a dirgli che il Milan aveva battuto la Juve e a leggergli la Gazzetta. E l’ha visto per l’ultima volta sorridere sospirando: “E ora chissà cosa scriverà mai quel matto di Claudio del Benzinaio?”. Alias Marx Sarri. E  che lieve ti sia la terra, amico mio.