Argomento del giorno: gli allenatori. Che sono bravi – punto primo – se hanno buoni giocatori da allenare. Altrimenti sono Max Allegri o Gian Piero Gasperini e Simone Pianigiani o Artiglio Caja. Parlando in primis di quelli del calcio. E poi eventualmente di quelli della pallacanestro se mi avanzerà ancora del tempo. Intanto comincio a scrivere con la televisione alle spalle e il volume molto alto per sentire quello che hanno da dire, senza dovermi continuamente girare, in merito a gara 1 tra Milano e Brescia, la Giulia Cicchinè e il Guido Bagatta. Che avevo lasciato l’altro giorno mentre non a torto si lamentava, fuori onda, di Marco Belinelli che aveva appena rifilato 26 punti alla Reyer con la bellezza di sette triple su nove tentativi e che si era rifiutato d’essere intervistato come mvp del match. E’ pure vero che il Belin aveva la sua bimba in braccio. Però è anche certo che a volte sa essere parecchio introverso e antipatico: posso tranquillamente confermarlo. Basti pensare che non ha trovato nessuno meglio d’Alessandro Mammoletta Mamoli per raccontare la sua vita di straordinario talento, nato e cresciuto a San Giovanni in Persiceto, come ripete di continuo un altro fenomenale scrittore come Ciccioblack Tranquillo, secondo soltanto a Gigetto Garlando, prima firma del pallone – pensa un po’ – in Gazzetta, nello spiattellare fanciullesche bufale a cui non credono più neanche i loro lettori under undici.
Da Cicchinè-Bagatta a Mario Castelli e Andrea Meneghin. “Nove punti in 3 minuti e mezzo di Stefano Tonut: 11-9 per l’Armani” puntualizza il primo mentre al secondo verrebbe piuttosto da sottolineare come giusto un anno fa, durante i playoff, Stefano era disperato al solo pensiero di dover passare un’altra stagione seduto in panchina accanto all’Innominabile che al massimo lo utilizzava pochi secondi nel finale di qualche quarto magari solo per far falli tattici. Ricorda invece, rimanendo signorilmente nell’attualità, le “storie tese tra Melli e Bilan nella gara di ritorno della regular season al Forum”. Quando il reggiano, al quale il duo Proli–Repesa incredibilmente non rinnovò il contratto nell’estate del 2015, ha segnato il canestro della vittoria per cui ieri Milano ha giocato (e credo anche abbia vinto) la prima sfida di semifinale in casa e non in trasferta a Brescia.
Era mia intenzione di parlare dei mister del pallone e poi casomai dei coach del basket. Chiedo venia. Tanto più che in molti mi hanno chiesto cosa avesse scritto Michele Serra nella sua indecente Amaca repubblichina, dove non si sbilancia più a buttar là una mezza idea di sinistra dal 2004, sul pretestuoso e laido licenziamento del mio Acciuga dalla Juventus dopo la conquista della sua quinta Coppa Italia come nessuno prima di lui c’era mai riuscito. Ebbene sul quotidiano del padrone l’incipit di Serra è stato questo: “Detto da interista, ma soprattutto da cittadino di questo Paese (e già qui avrei dovuto, schifato, smettere di leggerlo): sono dispiaciuto e mortificato dalla crisi isterica dell’allenatore della Juve, Allegri, a partita già vinta e Coppa già conquistata”. Ora già non me ne importa un fico secco che un intertriste sia dispiaciuto e mortificato del comportamento di Massimiliano Allegri al termine di Juventus-Atalanta 1-0 e non di quello dell’arbitro Fabio Maresca e del Var che non hanno assegnato un candido rigore che lo stesso organo ufficiale nerazzurro, travestito di rosa, ha riconosciuto in favore di Vlahovic per “doppio fallo di Hien (ginocchiata e spinta a due mani)” che andava anche espulso (doppio giallo) al 9’ della ripresa, ma questo ovviamente Matteo Dalla Vite si è dimenticato di ricordarlo. Figuriamoci se posso dar retta ad uno che chiude il pezz(acci)o domandandosi “che cosa rode le persone fino a renderle pazze di rabbia?”. Dovrebbe dircelo lui che per undici anni (dal 2010 al 2021) e nove scudetti bianconeri si è mangiato il fegato non vincendo niente di niente e andando completamente via di zucca. Come nella Pasqua del 1983 quando Paolo Ziliani ed io gli confessammo in esclusiva (per l’Unità) che sei giocatori dell’Inter avevano scommesso sull’1-1 a Marassi con il Genoa e Serra sbiancò davanti a noi quasi svenendo al solo pensiero che la Beneamata potesse finire in serie B come il Milan di Giussaldo Farina.
Il Napoli, decimo quest’anno dopo il tricolore e sonoramente fischiato dal Maradona dopo lo 0-0 col Lecce, sta prendendo il Conte Antonio per riconquistare lo scudetto prima dei prossimi 33 anni. Ma quanto può durare con l’umorale e collerico Aurelio De Laurentiis l’ex cittì che al massimo resiste tre campionati alla guida di una squadra (leggasi Juventus)? O due in nazionale o nel Chelsea campione in Premier League o nell’Inter tricolore del 2020-21. E nemmeno uno e mezzo nell’inglorioso Tottenham? Forse, e sottolineo forse, sino al 2 novembre se non è primo in classifica e se De Lamentiis non ha comprato i giocatori che gli sta in questi giorni promettendo. Giuda Giuntoli e John Elkann, il più grande perdente di successo della storia sportiva degli Agnelli, vincente quasi per caso nel pomeriggio con Charles Leclerc a Montecarlo dove sono proibiti i sorpassi anche a piedi come nelle calli di Venezia, hanno prenotato invece Thiago Motta già prima del pesce d’aprile nel quale – guarda caso – il Bologna ha vinto la sua ultima partita in casa con la retrocessa Salernitana. Poi al Dall’Ara 0-0 col Monza, 1-1 con l’Udinese e 3-3 con i fantasmi di Montero. Sino alla sconfitta di venerdì a Marassi col Genoa. Finendo la stagione al quinto posto. Altro che al terzo. Ed entrando in Champions per il rotto della cuffia o, meglio, perché sono cambiate da questa stagione le regole del gioco in Europa. Per carità di dio, Motta sarà anche una cuccagna, come diceva lo spot dell’altro celebre panettone milanese, ma personalmente non riesco a digerire che un ex interista alleni la Signora per la prima volta in 126 anni e che magari vinca la quarta stella. Non ce lo vedo proprio.
Nel frattempo non vi racconto storie: ho fulminato le asparagelle di Bassano del Grappa che avevo per cena con le uova sode ed è finita da un pezzo la registrazione di Armani-Germani con il successo, come pensavo, dell’Olimpia per 95-89 dopo un fantastico primo periodo in attacco di Tonut ma pure di Voigtmann, 20 punti in due, e un 34-29 che la dice lunga anche sul potenziale offensivo dei bresciani del Fornaretto senese, Alessandro Magro, e in particolare del mio Ricciolino ai tempi di Reggio Emilia. Infatti Amadeus, come il grande Boscia Tanjevic chiama abitualmente Della Valle, di punti ne ha messi insieme alla fine la bellezza di 33 non sbagliando nemmeno un tiro libero su una dozzina sparati dalla lunetta. E pensare che due estati fa, adesso ve lo posso finalmente raccontare, l’mvp di gara 1 al Forum per Andrea Meneghin (“Peccato che l’mvp non si possa assegnare ad un giocatore della squadra perdente”), doveva finire alla Reyer per meno soldi di quelli poi girati a Marco Spissu (intorno ai 400.000 euro all’anno), ma Federico Casarin preferì (chissà per quale ragione?) accontentare P(r)ozzecco e convincere la famiglia Brugnaro della bontà della sua scelta. Difatti il sindaco di Venezia ogni due per tre ancora glielo rammenta…
E qui ci starebbe bene, più dei tre puntini, un bel punto esclamativo finale se il paziente Filippo non mi avesse già postato sul sito la foto di Luca Banchi del quale non vi ho ancora raccontato nulla. Nemmeno che per me è stato in questa regular season 2023-24 il vero successore di Merendina, alias Marco Ramondino, come allenatore dell’anno. Il titolo è stato invece consegnato dalla Lega del basket a furor di popolo a Nicola Brienza del quale non si può far senza come lo soprannominai già ai tempi in cui sostituì a Trento Fred Buscaglia dopo ben nove campionati e due finali dei playoff persi dal barese con la Reyer di Walter De Raffaele e l’Armani di Simone Pianigiani. Ma se allora scherzavo, adesso devo ammettere che Pistoia non avrebbe mai conquistato il sorprendente sesto posto nella griglia di partenza dei playoff contro Brescia se non avesse avuto alla guida l’allenatore canturino che ha avuto per maestri Sacripanti(bus) e pure Gas Gas Trinchieri.
Insomma con un colpo da matto, che è nelle mie corde per non dire esagerando nel mio dna, ho deciso di finire domattina di scrivere questo pezzo e di darlo in pasto a www.claudiopea.com prima d’andarmi a togliere l’ultimo molare in alto a sinistra alle 9 e mezza dal mio amico Stefano Fabris, con una sola bi, pure lui juventino doc come del resto Luca duri i Banchi che sono sicuro la pensi uguale a me in merito al vergognoso esonero di Max Allegri, del quale è quasi un fratello, e su Thiago Motta che ha la grave colpa d’aver giocato nell’Inter di Mourinho. In confronto al quale Acciuga è stato un santuomo con Maresca, ma Michele Serra questo non lo ammetterà mai e poi mai. Ovviamente non ho visto in tivù gara 2 tra la Segafredo e la squadra di Olivetta Spahija e ho spento il telefonino affinché nessuno mi possa dire il risultato prima di mezzogiorno. Quando sprofonderò in poltrona, imbottito d’antibiotici, e mi guarderò goloso la partita. Però, se sino a venerdì sera ero convinto che la Virtus, arbitri e soprattutto Don Carmelo Paternicò permettendo, avrebbe vinto tre finali su cinque contro la Milano dell’Innominabile, ora già non ne sono più così tanto sicuro. Perché non si possono buttare via in quattro e quattr’otto 20 punti di vantaggio su una timidissima Venezia subendo un parziale di 0-18 e vincere la sfida al supplementare soltanto perché sull’86 pari con la palla in mano a Spissu, e una decina di secondi dalla sirena del 40esimo minuto, Heidegger ha commesso la follia d’andare a sfondare su Belinelli che non s’aspettava niente di meglio che d’essere travolto dalla guardia orogranata di Los Angeles. O forse mi sbaglio? Lo spero. E intanto come si dice: fuori il dente, fuori il dolore.