Venezia finalmente incantata dalla meravigliosa Reyer

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Quante volte mi devo ancora pizzicare le guance per capire se sogno o son desto? Era del resto inimmaginabile che la Reyer potesse giocare una partita del genere. Da urlo. E non esagero. Specie nel primo tempo. Al punto che eccezionalmente avrei sopportato che quelli di Sky e quelli della Rai urlassero a squarciagola ad ogni meraviglia di Venezia. Ma quanto bastardo sei? Parecchio, con buona pace di mia madre. Me lo dicono in molti, tanto che non ci faccio nemmeno più caso. Infatti avrei anche accettato volentieri questo strappo alla regola solamente perché avevo già visto che a bordo parquet del Taliercio c’erano microfonati, e con le cuffie in testa, Paola Ellisse, con due elle e due esse, e Fiorello Sconochini, Edi Dembinski, o come cavolo si scrive, e Acciughino Pittis. Ovvero tre longobardi e un argentino, oro olimpico, ai quali non serve tirar giù le braghe per scoprire che hanno le mutande biancorosse con Fiero il Guerriero stampato dove non batte mai il sole. Per la verità Fiorello e Acciughino difficilmente s’infiammano: forse perché hanno giocato un’altra pallacanestro e vinto qualcosa assieme a Danilovic e Rigadeau, D’Antoni e McAdoo, ma anche con Ginobili e Jaric o Repesa e Garbajosa. Mentre all’ex signora Boselli e all’ex ultrà di Danilo Gallinari l’ugula proprio non funziona quando, come ieri sera, le cose non girano per il verso giusto nella squadra di Giorgio Armani. Cuori infranti poteva essere il titolo di questa puntata dei playoff, ma stavolta l’ho promesso al mio maestro Barone Sales: non farò più l’errore di parlare prima male dei vinti e poi bene dei vincitori. E sono di parola. Tanto più che non ho ricordi più belli degli oro granata del mio sindaco nel palasport di via Vendramin, alla periferia di Mestre, che ho avuto la fortuna d’inaugurare nel 1978 con Alessandro Ongarato al fianco nel corso di una diretta fiume su Nova Radio che fu il nostro trampolino di lancio. Alessandro e il suo caro padre erano seduti una fila sotto di me in gradinata e credo che nemmeno loro abbiano memoria di una Reyer così grande e di un entusiasmo così alle stelle nel vecchio teatro di tante battaglie sotto canestro. Persino il salotto fucsia di Marta Marzotto, che sino all’altro giorno urlava ancora “fuorigioco”, si è scamiciato e scomposto le chiome capendo che meglio non avrebbe potuto giocare la squadra di Walter De Raffaele. Al quale bisogna dire “bravo bravo bravo”, tre volte bravo, senza nessuna paura che domani non sia più uguale a ieri. Carpe diem e godiamoci tutti insieme l’impresa. Con Napoleone Brugnaro in testa. Che, sia chiaro, non sarà facile ripetere. Scrisse un nostro soldato, o forse un ufficiale, della prima guerra mondiale sul muro di una casa diroccata di Fagarè, in provincia di Treviso, alla vigilia della battaglia del Piave: “Meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora”. Ecco la Reyer, che è stata pecora in più d’una occasione durante l’inverno, ha ruggito in gara 3 di semifinale contro Milano ed è stata perfetta. Come lo è una tempesta o la storia di un amore impossibile. Soprattutto nell’approccio all’impari duello che ha affrontato senza tremare o retrocedere di un passo. E il primo a farlo, dando l’esempio, è stato Benjamin Ortner che ce l’aveva dura col Batista che non usa la piuma ed è di lui il doppio. Se ne dicono tante. Anche nel basket. Dove si parla di fisicità che è una parola che detesto e della quale ci si riempie a sproposito la bocca. Nella nostra modesta pallacanestro ci vuole ben altro: il cuore o il coraggio per esempio. Altrimenti a Melvin Eijm, accolto a Venezia con molta diffidenza, non basterebbe saltare come un grillo per riuscire a competere con i colossi e farne poltiglia. E Macvan non è d’argilla. Anzi. Per questo contesto le pagelle della Gazzetta e non perché le ha firmate Vincenzo Di Schiavi che spesso mi sconcerta. Lo so anch’io che Pargo è un dio quando vuole o che Green è fatto d’una eccellente stoffa, soprattutto da quando non ha più Goss tra i piedi, ma per me Ortner e Ejim si sono meritati un voto più alto degli immensi Pargo e Green. Per non parlare di Stefano Tonut che qualcuno ha scoperto solo oggi insieme all’acqua calda. Complimenti e, comunque, chiudo con una banalità: meglio tardi che mai. Mentre già vado a scrivere un altro pezzo. Stavolta sugli sconfitti. O pensavate che lasciassi in pace i sicuri vincitori di questo scudetto?