Us Open: il mio eroe è stato Mickelson più di Koepka

US OPEN

Scrivere di golf è la cosa più facile al mondo. Peccato che ti leggano in pochi, per non dire nessuno. Perché è un mondo fatto così. Piccolo, piccolo. Anche se ricco, ma povero di spirito. Almeno in Italia. Dove ti raccontano scandalizzati di Lefty, il Mancino. Che sabato al Shinnecock Hills di Southampton, ad un paio d’ore in macchina dalla Grande Mela, ha colpito con il putter una seconda volta la pallina che stava rotolando fuori dal green per correggerla verso la buca. Apriti cielo. E magari invece si dimenticano di dirvi che Lefty è Phil Mickelson, uno dei più deliziosi giocatori di questo secolo e per molti anni l’unico avversario credibile di Tiger Woods. Se lo avessimo fatto noi, piagnucolano, ci avrebbero cacciato da tutti i circoli del regno. E dio solo sa quanto avrebbero fatto bene. Invece a lui hanno dato appena due colpi di penalità. Provate ad indovinare perché? Perché non hanno i paraocchi come voi, stupidi golfisti della domenica, che vi portate da casa la banana e scivolate nel laghetto per andare a pigliare una pallina butterata che non ne poteva più d’essere colpita dalla vostra zappa e voleva solo farsi una nuotata in santa pace. Ora a prescindere dal conto in banca che ha il Mancino di San Diego e dal lusso che si è voluto concedere, anche a costo d’essere squalificato, in segno di protesta verso chi aveva trasformato il percorso degli Us Open, il secondo dei quattro Major del circuito mondiale, nel più terribile degli inferni danteschi, assolutamente non penso che Mickelson volesse fare il furbetto sotto gli occhi di cento telecamere che non lo perdevano di vista un secondo. Al contrario di voi, e ne conosco un sacco e una sporta, che non aspettano altro che il loro marcatore si giri dall’altra parte, o si distragga un attimo, per fargliela sotto al naso e dare una pedata alla pallina sul rough. Neanche gli indiani Shinnecock avrebbero saputo disegnare un tracciato così infido e perverso per i visi pallidi. Soprattutto con quel vento che s’alza al pomeriggio dall’oceano e non sai mai da quale parte soffi. E difatti nessuno ha chiuso i quattro giri dell’Open degli Stati Uniti d’America sotto al par 70 del campo e anche il trionfatore, lo stoico Brooks Koepka, ha bissato il successo della passata stagione con un +1 complessivo che sono ben 17 colpi più di quelli che gli erano serviti per vincere nel 2017. Non succedeva dal 1988-89 che a qualcuno riuscisse il back-to-back Champions. Cioè volgarmente la doppietta di due anni di fila in uno Us Open. Eppure anche oggi non si parla del giovane ventottenne di West Palm Beach (nella foto, ndr) e della sua morosa, l’attrice Jena Sims, che è una meraviglia, né dell’assegno di oltre due milioni di dollari che l’americano della Florida si è messo in tasca ieri sera al tramonto, ma della presunta e clamorosa frustrazione di Phil Mickelson che sabato sullo score della 13, un par 4 improponibile, ha segnato un dieci come anche il più sfigato dei golfisti della terra come il vostro pennivendolo avrebbe fatto senza molta fatica. Ma volete mettere invece la libidine di rincorrere la maledetta e di darle due sberle, una dopo l’altra, con il putter? Assieme a un bel calcio sul sedere a Mike Davis, lo chief executive officer del Major, che a tutti i paradisi terrestri del golf a stelle e strisce ha preferito questo diciotto buche lungo e stretto, assetato d’acqua e povero di boschi, mal tenuto e irritante, che è costato il taglio venerdì non solo a Tiger, ma anche a Rory McIllroy, Jon Rahn, Jordan Spieth, Bubba Watson, Sergio Garcia e Adam Scott. Tanto per citare i più famosi. Insomma è stato Lefty il mio eroe a Shinnecock Hills. Anche se di solito mi tocco quando mi capita d’incrociare legni e ferri con un mancino. E anche se Mickelson ha finito sfinito l’ultimo giro al 48esimo posto con un ingombrante +16, pari merito a Matt Parziale, il vigile del fuoco di Brockton che è un dilettante come quei brontoloni dei golfisti della Coppa Fragola che si credevano Woods e oggi pensano d’essere Koepka. E rubano più di Arsenio Lupin facendo la morale al mondo e persino al Grande Lefty. Piuttosto se l’è come sempre cavata Chicco Molinari: venticinquesimo a 11 colpi dal vincitore, ma secondo tra gli europei a parte gli inglesi Fleetwood, tradito dall’ultimo putt alla 18, Rose e Hatton, e comunque ora quindicesimo nel world ranking. Niente male per essere un italiano. Che però vive a Londra.