Per tornare liberi i club devono staccarsi da Petrucci

sansone

Mi sembra un cane che si morde la coda. Che è poi amara come il Fernet Branca che invano la menta tenta d’addolcire. In serie A giocano pochi italiani. E’ vero. E i migliori sono scappati all’estero. Ma perché dovrebbero avere più spazio i nostri giocatori se è un pensiero ricorrente che la maggior parte di questi giovanotti, cresciuti e viziati in patria, sono mediocri per non dire brocchi? Per loro c’è l’A2 che basta e avanza. Dove guadagnano anche bene e hanno tutte le occasioni che vogliono per mettersi in luce, ma pure per convincermi una volta di più, domenica dopo domenica, e partita dopo partita che vedo su Sky, quanto siano comunque inferiori ai due o al massimo tre stranieri, e non sette, che ogni squadra può utilizzare nel campionato di seconda lega. Prendete la Virtus Bologna. La differenza la fanno il nigeriano Michel Umeh e il californiano Kenny Lawson. Che Matteo Boniciolli non ha voluto alla Fortitudo e adesso piange. Boniciolli piange sempre: dite? Anche questo è vero, ma il discorso è un altro. La Segafredo ha vinto le ultime undici partite di fila con un allenatore, Alessandro Ramagli, che non mi ha mai fatto impazzire, e con un gruppo d’italiani, da Spissu a Spizzichini, che non so se sopporterebbero un domani il salto di categoria. Perché in effetti non è difficile immaginare un immediato ritorno in serie A delle vu nere, ancora con il marchio Gruppo Sabatini sulla gobba, il giorno in cui Klaudio Ndoja sarà di nuovo disponibile. Ora l’albanese che è sbarcato in Italia su un gommone di clandestini quando aveva tredici anni, e adesso ne ha trentuno, è un ragazzo che mi è assai caro, ma mi è difficile lo stesso pensare che potrebbe essere un protagonista anche nel campionato maggiore. Ed è qui allora che il cane torna a mordersi la coda e che il grido di dolore “gli italiani giocano poco nella massima serie perché ci sono troppi stranieri” assomiglia molto a quello di chi si è smarrito di notte nel bosco e fischietta per darsi coraggio. Né la nostra serie A e men che meno Ettore Messina si sono strappati le vesti perché altri due virtuosi virtussini come Guido Rosselli (33 anni) e Andrea Michelori (38) sono finiti in A2. Se invece mi dite che Treviso è comunque seconda nonostante Jesse Perry non sia un fenomeno e il rookie Quenton De Cosey l’abbiano raccolto dopo uno sbarco a Lampedusa, vi posso sempre benissimo rispondere che la De’ Longhi ha il miglior allenatore della Lega, cioè Pilla Pillastrini. Oppure che anche a me piacerebbe vedere Matteo Fantinelli (23) e Davide Moretti (18) impegnati ai piani superiori per capire se lassù ci possono stare. Però non è che per due eccezioni si debba poi cambiare la regola cantando l’inno di Goffredo Mameli e sventolando il tricolore. Mi sembrerebbe esagerato e caso mai Giannino Petrucci, invece di ribadire a Mamma Rosa che nel basket italiano (purtroppo) decide tutto lui, neanche non lo sapessimo e non lo chiamassi da un pezzo il tiranno di Valmontone, la smetta di girarsi i pollici e cominci piuttosto a studiare sul serio qualcosa per convincere i club a investire maggiormente nel settore giovanile con aiuti concreti e non a chiacchiere. Che poi sei, sette, otto stranieri in serie A siano pochi o tanti questo lo potrebbero benissimo stabilire i club se una volta per tutte la gestione del campionato diventasse solo un affare loro e trovassero finalmente tutti insieme, magari lunedì nell’assemblea di Lega, la forza di sbattere la porta in faccia alla federazione ed uscire dal Palazzo obsoleto che sta nel frattempo crollando in testa a Giannino, l’italiano del Circeo. Che è inutile che si faccia di nuovo scudo dietro Bau Bau Mann e pensi d’avere sempre il coltello dalla parte del manico solamente perché ancora minaccia d’escludere le squadre italiane dalle coppe europee. Tanto Bertomeu è pronto ad accoglierle con i soldi in mano. E non credo che ci voglia un genio per mettere in piedi anche in Italia una sorta di Nba mignon a sedici o a diciotto squadre. Senza retrocessioni e senza versare milioni di contributi annuali nelle casse di Petrucci. Il quale piuttosto dovrà a sua volta pagare le società se vorrà avere da loro i migliori giocatori per la sua nazionale. Vi sembra un’utopia? Forse, ma non mi pare. Certo non è neanche il gioco dell’oca. Però nemmeno la scalata dell’Everest. In fondo sino a poco tempo fa sembrava anche impensabile che potesse esistere un campionato europeo per club di trenta giornate, più i playoff e le final four, ed è nata l’EuroLega che è una meraviglia. Libera e indipendente. Al punto che di Baumann e di Petrucci può anche farsene un baffo. Basterebbero solo un po’ di coraggio e di fantasia. E magari un manager terribilmente in gamba. Che, se volete, anche ve lo trovo in tre secondi. Purché Sansone muoia. Con Giannino e tutti i filistei, gli ArLecchini e i suoi servi.