Sono davvero stanco morto di questo mondo di ruffiani

 

giulio

Vi sentite sempre stanchi come ultimamente succede anche a me e ad altri 250 mila italiani circa? Forse siamo solo tutti caduti in letargo o, meglio, è così che la pensa il professor Robert Naviaux, medico e docente di genetica alla University of California di San Diego. Al quale non so ancora se dar ragione o torto. Intanto sono finito in una prestigiosa casa di cura di Monastier per un day hospital che spero non duri più di una settimana. Altrimenti dovrò per forza chiamarlo week hospital. Dalla finestra della stanza che mi ospita, luminosa e tranquilla, vedo comunque la punta a cipolla della chiesa dell’abbazia benedettina che incantò anche Ernest Hemingway quando, dopo essere stato ferito al fronte sul Piave nella vicina Fossalta durante la prima guerra mondiale, proprio a Monastier soggiornò nell’ospedale militare e descrisse le bellezze di questo curioso paese del Trevigiano di nemmeno cinquemila anime. E quindi, per rispetto al Premio Pulitzer e poi Nobel, non posso aggiungere altro se non che di qui non mi staccherei per nessuna ragione al mondo se solo potessi vedere Sky. Di cui sono un malato cronico. Quasi tossico. E non di stanchezza post virale. Come immaginavo. Anche se, per dirla tutta, la pallacanestro ma pure il nostro calcio mi sono andati ultimamente così di traverso che ho quasi perso la voglia di scrivere che mi saltava addosso prima che Giannino Petrucci e l’agente Wanda Nara fossero sbattuti in prima pagina non come i nuovi mostri di Striscia ma come gli eroi internazionali di Mamma Rosa. Cioè della Gazzetta che presto cambierà direttore. Come era tempo e ora. Non fosse che la scelta la farà Urbano Cairo. Che non ha mai nascosto le sue simpatie per Marino Bartoletti, nerazzurro più che granata, o per il conte Umberto Zapelloni Mazzanti Viendalmare che di basket, calcio e motori non ha mai capito nulla, ma dei quali scriverebbe anche sui muri dell’ultima stanza in fondo al corridoio a sinistra dove di solito ci si lava pure le mani. In verità sarei anche stufo morto di non poterla ancora raccontare tutta, come mi piacerebbe, sui lecchini d’oro di Palazzo e sui giornalisti da strapazzo che si vendono non per trenta denari ma per un piatto di lenticchie o di minestra riscaldata. Ma di qui a pensare d’essere malato di stanchezza cronica ce ne passa. E allora credo che avesse ragione Giulio Andreotti quando diceva: la cattiveria dei buoni è pericolosissima. Difatti, se mi fate ancora incazzare solo un po’, sparo nomi e cognomi a raffica. Senza paura. Basta che esca presto di qui. Tra tre o quattro giorni al massimo. O forse, poveri illusi, pensavate che avessi sepolto la mia satira sotto terra e ci avessi messo una bella croce sopra? Sarà mai. Mai e poi mai.