Nella Lega di tutti contro tutti almeno Gandini non trema

combattimento galli

Oggi è il 9 aprile, giovedì santo. Che poi sia anche l’onomastico di Demetrio Albertini, il metronomo del Milan di Righetto Sacchi, credo che non interessi a molti e comunque non penso che la notizia scatenerà domani sin dal primo mattino una lunga coda alle edicole. Semmai mi piacerebbe sapere, perché sono curioso da morire, cosa c’entri la Dema4, l’agenzia di team-working e sport marketing di cui Albertini è il managing director, con la Lega del basket. Eppure, chiedendo subito scusa all’Accademia della Crusca per l’eccesso di termini in inglese, il rapporto tra Dema4 e la Lega durava da un paio di stagioni ed è stato risolto solo nei giorni scorsi da Umberto Gandini. A tal proposito il dirigente varesino, che nessuno a Masnago ricorda d’aver mai visto assistere ad una partita di pallacanestro, giusto un mese fa, il 9 marzo, è stato eletto all’unanimità presidente delle diciassette società che disputano il campionato di serie A che il 7 aprile ha chiuso baracca e burattini senza vincitori né vinti. Per decisione suprema di Giannino Petrucci, presidente della federazione, che ha così esaudito, se si può dire (e credere), i desideri della Lega. Sin qui mi pare d’esser stato sufficientemente chiaro. Se invece mi chiedete chi tra Giannino 1 e Giannino 2, i gemelli Petrucci, ha firmato il dictat, preferisco non rispondervi perché m’incasinerei troppo. Nonostante di gemelli un po’ me ne intenda avendo con la Tigre messo al mondo i nostri gioielli, Giorgia e Bicio, che sono nati lo stesso anno e giorno, il 9 luglio del ’71, ma che di carattere non s’assomigliano in nulla. Tornando ad un Umberto Gandini, cresciuto agonisticamente nei Mastini di Varese di hockey su ghiaccio, sport per gente tosta che adoro, tifoso com’ero da ragazzo del Cortina Doria dei mitici fratelli Darin, Gianfranco e Alberto, non ha in verità neanche potuto brindare alla sua nomina con gli altri presidenti in quanto la Lombardia già da un giorno era diventata zona rossa e nella notte il Conte Giuseppe avrebbe anche con un decreto ordinato il coprifuoco a tutti gli italiani di buona volontà. E pure agli asini che poi hanno disubbidito alle sue disposizioni di legge per contrastare la pandemia da Covit-19 che mi rifiuto di chiamare coronavirus perché nessun bastardo è mai diventato re neanche nella successione al trono di Luigi XIV o di Carlo II. Se vi può interessare, agli esami di terza media sono stato promosso con la media del sette e mezzo perché avevo preso 8 proprio in storia oltre che in italiano e tedesco. Ma capisco anche benissimo che non ve ne importi un fico secco e allora riprendo a parlare dell’ex ministro degli esteri del Milan di Silvio Berlusconi e di Adriano Galliani che io chiamavo lo Squalo come la maggior parte dei giocatori rossoneri cominciando da Treccina Gullit. Assieme al quale andavo spesso a cena dalle parti di via Turati e Fatebenefratelli e una volta, se se lo ricorda, c’era pure Gandini seduto con noi che se la rideva di gusto. Quindi, conoscendolo da anni, penso che non abbia preso paura arrivando e vedendo quella gabbia di matti che s’azzuffavano come i galletti in combattimento nella foto. Né che si sia già pentito dell’incarico assunto da solo un mese. Anche perché non ha ancora potuto mettere piede al diciottesimo piano della torre di Bologna, in viale Aldo Moro, al civico 64, e nell’accogliente sede della Lega che è stata acquistata dal più grande di tutti i presidenti della storia della nostra pallacanestro, l’avvocato Pierluigi Porelli. Al quale ero tra i pochi a cui lui aveva concesso di dargli del tu. Non so chi abbia sostenuto la candidatura di Gandini in Lega nella quale sarebbe dovuto entrare come amministratore delegato, ma non essendo questo ruolo previsto dallo statuto, e montando nel frattempo la pandemia, i diciassette club l’hanno subito nominato erede di Egidio Bianchi senza pensarci sopra un secondo. C’è chi sostiene che a fare il suo nome sia stato Marco Vettorelli, presidente di Varese, o lo stesso Adriano Galliani interpellato da Giannino Petrucci o il vicedirettore della Gazzetta, Pier Bergonzi, ma non è in fondo poi così importante perché l’uomo che viene dal calcio non è mai l’uomo di nessuno. Di sicuro Gandini, 59 anni, è passato al vaglio di quelli che dissennatamente Mamma Rosa chiamava i tre saggi ovvero Luca Baraldi, Christos Stavropoulos e Stefano Sardara ed evidentemente ha superato l’esame a pieni voti. In verità Re Umberto (nomignolo provvisorio in attesa di uno migliore) è partito con il piede sbagliato, e stamattina glielo ho detto, accostando il basket, secondo sport nazionale a squadre, al fòlber come lo chiamava Gianni Brera. Caso mai i due sport si respingono e non perché sono cane e gatto, ma perché si mantengono, o quanto meno ci provano, il primo con la gente sugli spalti e sponsor da due soldi, a parte tre forse quattro eccezioni, mentre il secondo s’ammazzerebbe senza le tivù e le coppe europee di supporto. Per questo sostenevo che la serie A di pallacanestro a porte chiuse dovesse abbassare subito la saracinesca, cioè già tre settimane fa, mentre quella del calcio può magari aspettare anche giugno prima di sventolare caso mai bandiera bianca. Ora se ne è finalmente convinto anche Gandini in pieno accordo per fortuna almeno con Giannino Petrucci che ha preso una sbandata per lui esagerando come è costume del Marchese del Grillo: “Il nuovo presidente della Lega, che adesso lavora per noi, è uno dei tre più grandi dirigenti che ha frequentato il mondo del calcio italiano”. E gli altri due chi sarebbero? “Galliani e Lotito”. Dimenticandosi magari di Andrea Agnelli, Antonio Percassi, Beppe Marotta e forse Aurelio De Laurentiis e Urbano Cairo. Per non parlare di Pavel Nedved e Xavier Zanetti. Così come è pacifico che nessuno, e io per primo, ha dato il tempo a Gandini di capire in quale inferno fosse finito e di conoscere almeno i fenomeni del nostro basket con i quali ha e avrà a che fare. Di bravi dirigenti ne salvo pochi e non mi devo neanche allontanare troppo di casa, così pure Luca Zaia è contento: Federico Casarin,  il Pesciolino tricolore ancora in carica, e Paolo Vazzoler, il deus ex machina della nuova Treviso che a quella benettoniana continua a pagare l’affitto salato del Palaverde. Robe da matti. Poi a Reggio Emilia c’è Alessandro Dalla Salda, che Massimo Segafredo Zanetti dovrebbe già cominciare a rimpiangere d’aver perso, e a Trento il Salvatore Trainotti che Giannino si è già portato a Palazzo. Punto e accapo. Salvo scendere in A2 e trovare il presidente di Lnp, Pietro Basciano, che ho conosciuto da poco apprezzandolo però parecchio. Anche Pallino Sardara non sarebbe male se non cambiasse idea due volte nello stesso giorno e non baruffasse ogni tre per quattro: aveva persino litigato con Pozzecco, e non mi si dica che non è vero, e adesso non è più culo e camicia con lo stesso Petrucci perché non gli vuol giustamente promuovere Torino in serie A,  mentre è ormai ai ferri corti con Luca Baraldi. Il quale, a sua volta, è in guerra con tutto il pianeta se ieri a Bolognabasket non ha nemmeno nominato il padre padrone del Banco di Sardegna dicendo: “Sono rimasto martedì perplesso quando un presidente di un club di serie A ha dichiarato che, essendo con una sua società prima in A2 (la Reale Mutua, ndr), vorrebbe la promozione, ma durante la riunione della Lega non ha neanche aperto bocca”. Almeno l’ad della Virtus ci ha tranquillizzati: “Noi non faremo causa a nessuno”. Grazie a Dio. “Però faremo le nostre valutazioni e intanto ci rendiamo ora conto in quale mondo tre anni fa siamo capitati. Un mondo dove alcune società hanno avuto fretta di chiudere la stagione solo per non pagare più i loro giocatori”. Cartellino rosso. E giallo a Ettorre il Messi(n)a che nel pomeriggio è stato l’unico assente nella video-riunione dei diciassette allenatori di serie A che in linea di massima hanno deciso di togliersi un paio di mensilità a testa da qui al 30 giugno: evidentemente era andato a lavare i piedi a qualche mendicante sotto casa senza sapere che persino Papa Francesco aveva rinunciato alla lavanda del giovedì santo. Così adesso Umberto Gandini comincia ad avere le idee sempre più chiare ed infatti mi ha confidato che il campionato per lui non ricomincerà almeno sino a quando il Governo non avrà riaperto le porte dei palasport. Giustissimo. Se invece credete che abbia preso paura dei lupi che ululano nella selva oscura dei canestri vi sbagliate di grosso: lui viene dalla Casa del Diavolo (e della Roma) e non dall’asilo Mariuccia o dal cortile dei bandaosiris. Che sa benissimo chi sono. E per questo mi fa pensare di nuovo molto bene di lui.