6-7 giugno, venerdì e sabato Molti pensavano che non avrei più scritto su www.claudiopea.it sino al prossimo autunno e non si sbagliavano. Lo pensavo infatti anch’io. Disgustato com’ero, e sono, dai social. Nessuno escluso. Coi quali mi rifiuto di scendere in piazza: tanto sanno tutto loro e non cambiano idea nemmeno di fronte all’evidenza dei fatti. Proprio come i tifosi bolognesi. Di calcio o di basket: non fa molta differenza. Di sinistra o di destra. Perché ci raccontano che non esiste la destra se sono fascisti e la sinistra se sono ignoranti e credono ancora che i comunisti mangino i bambini. Col sugo d’arrosto o di pomodoro? Per amor del cielo. Tanto più che l’ultimo dei comunisti, vi piaccia o non vi piaccia, mi ripeto: è stato l’amatissimo Papa Francesco. Al quale si vuole per forza di cose accostare caratterialmente Papa Leone XIV. Che è fatto di tutta un’altra (buona) pasta. Fidatevi per una volta. E per pura cortesia.
Sabato scorso sono stato a Bologna, città che adoro e dove andrei a vivere anche domani se non fosse abitata dai bolognesi. Per vedere la Virtus contro l’Armani. In prima fila. Sotto canestro. Grazie a Massimo Zanetti e a Paolo Ronci. Insieme da sei anni. Tre primi e due secondi posti in regular season. Oltre ad un terzo posto con un secco 4-0 a Milano proprio nell’anno (2021) dello scudetto. Eppure non sono ancora nel cuore di tutti i virtussini. Che adesso vorrebbero vincere la Champions come era d’obbligo per gli schizzinosi della Juve d’Acciuga Allegri persino con la squadra molto scadente che gli avevano messo a disposizione Cristiano Giuntoli, il quale in verità doveva essere licenziato già nella primavera scorsa, e John Elcan che forse non si scrive proprio così, ma non importa. Anzi, satiricamente ci sta invece benissimo. Nonostante si dica che can che abbaia non morde e lui sia l’esatto contrario: zitto zitto ti manda via in quattro e quattr’otto senza che manco te ne accorgi.
Non so di quale pasta siano fatti i tifosi del Tony Dall’Ara, uno peggio dell’altro, ma tra quelli della Fiera non ne ho trovato lo stesso mezzo che ammettesse a denti stretti che quel che ho scritto sul mio sito il 18 maggio non fosse poi una grossa vaccata come era sembrata a loro. Ovvero che non ci sarebbe stato nulla di scandaloso se nella finale di Coppa Italia all’Olimpico con il Milan lo sciagurato arbitro Maurizio Mariani, soccorso dal Var, avesse espulso Beukema (gomitata allo stomaco del povero Gabbia) o Fergusson (entrata assassina alle gambe di Leao). O addirittura entrambi. Nel qual caso sarei stato davvero curioso di vedere se nella ripresa il Bologna di Vincenzo Italiano, nato in Germania, che già non sopportavo ai tempi in cui giocava nel Verona, Chievo e Padova e aveva un brutto vizietto, avrebbe ugualmente messo in castigo il Diavolo per quanto indecente fosse stato. Ne dubito, anche se spero, promitto e iuro vogliono sempre l’infinito futuro. E quindi non mi dovrei sbilanciare mai troppo. Ma sapete come sono fatto: non mi tengo dentro neanche un ruttino.
Molti pensavano che non avrei più scritto una riga sul mio caro sito che ha appena compiuto undici anni e a settembre andrà alle medie per imparare il latino dopo l’italiano. Ma non prendevano un abbaglio e comunque non potevano immaginare che avrei trovato un compromesso con me stesso. Continuerò difatti a scrivere su Mors tua vita Pea a solo uso e consumo dei miei veri amici di pallacanestro e non di Facebook. Dove posterò al massimo quattro righe provocatorie come ho fatto a mezzogiorno: Chi non andrà a votare la pensa come Giorgia Meloni: “Olio e manganello sono i pilastri della libertà”. Ovviamente il (vostro) presidente del consiglio non ha usato le parole olio e manganello di mussoliniana memoria, ma legalità e sicurezza che vogliono dire tutto e niente, ma nel mio intento c’era soltanto quello di catturare qualche neo-fascistello e di cancellarlo dalla lista dei proscritti. Come è accaduto pure oggi persino con gente del mestiere. Mentre i miei aficionados potranno continuare tranquillamente a leggere su Mors tua vita Pea le mie articolesse di basket che però non girerò più su Fb preannunciandone al massimo il titolo: “Chi l’avrebbe mai detto che la Virtus avrebbe vinto al Forum?”.
Nessuno se siete onesti. Nemmeno io. Dopo che Mirotic in gara 1 aveva sparato sul ferro l’ultimo tiro che avrebbe dato l’ingiusta vittoria a Milano. Sì, immeritata. Altro che beffa per l’Olimpia come ha titolato la Gazzetta che non nasconde nemmeno più il suo tifo (ben corrisposto) per l’Armani. La strepitosa partita di Toko Shengelia (6/7, 2/2 da tre) andava comunque sottolineata e premiata. Come quella del trevigiano di Montebelluna, Nicola Akele, che m’incuriosiva parecchio quando debuttò ancora minorenne nella Reyer, ma poi Luigi Brugnaro, non ancora sindaco di Venezia, baruffò con il padre originario di Kinshasa che rifiutò il trasferimento del ragazzo a Trieste e spedì Nicola negli Stati Uniti d’America. Prima in una high school e poi nel college di Rhode Island. Ma è stato Dusko Ivanovic in questi playoff a dargli dopo un decennio finalmente fiducia inserendolo anche giovedì nel primo quintetto delle vu nere e ottenendo da lui nelle tre semifinali contro Milano lusinghieri risultati: punti, difesa e rimbalzi, quelli che non gli può più dare l’infortunato Polonara ma neanche lo spento e apatico Zizic.
Il netto 68-78 d’Assago ha inaspettatamente cancellato il 66-85 della Segafredo Arena che mi aveva fatto temere il peggio e cioè che la Milano del Messi(n)a potesse eguagliare o addirittura battere il record dei nove scudetti di fila della mia ex Signora. Del resto dalla prossima stagione chi volete che possa minimante pensare d’intralciare il cammino dell’Armani verso la conquista del tricolore? Non certo la Tortona di Beniamino Gavio in totale confusione e stufo di buttare soldi dalla finestra. O la Trapani di Valerio Antonini che deve smetterla di parlare a vanvera e pensi piuttosto a saldare i debiti e a scucire i soldi, almeno tre milioni, entro fine mese se vuole davvero iscrivere, e non sto esagerando, la squadra non più di Gelsomino Repesa al prossimo campionato. Con magari il Poz sulla panchina siciliana e Giannino Petrucci libero di cambiare il cittì della nazionale come gli consigliano da tempo e da più parti in federazione.
Oppure pensate che sul serio la Virtus possa ancora mettere i bastoni tra le ruote della grande armata milanese con l’eterno, magnifico Daniel Hackett che a dicembre compirà 38 anni o con l’entusiasta Marco Stefano Belinelli che a marzo ne farà quaranta? Senza Shengelia e senza Isaia Cordinier, il numero 1 di gara 3, anche se non ho nulla da obiettare sull’mvp assegnato da Andrea Meneghin all’oggetto misterioso (prima dell’altra sera) Brandon Taylor. Che pure era stato il miglior marcatore di Reggio Emilia con Artiglio Caya cinque stagioni fa, ma del quale si è per fortuna ricordato solo Ivanovic che ha spedito di corsa Giuntoli in Spagna. Che in quattro giorni di pazienti trattative è riuscito per due soldi a comprare Taylor dal Leyma Coruna, appena retrocesso nella seconda lega spagnola, al posto dell’inguardabile Rayon Tucker che era stato invece un anno prima l’attrazione d’ogni week-end di festa al Taliercio.
Un dì magari anche vi spiegherò perché l’allenatore col codino di Bijelo Polje, un vero signore del Montenegro, fratello minore dell’immenso Boscia Tanjevic, mi convince molto più di Luca Banchi che, vista la malaparata, si è rifiutato a Natale di mangiare il panettone sbattendo la porta in faccia a Segafredo Zanetti e occasionalmente, gli credete?, trovando un panchina vuota all’Efes. Col quale invece era in parola da settimane. Eppure continua ad essere amato dagli smargiassi bolognesi e non solo da loro. Dal momento che, come vi avevo anticipato già il 5 di marzo, nonostante scriva ad ogni morte di papa, Banchi sarà il nuovo cittì della nazionale dopo Gianmarco P(r)ozzecco. Al quale durante la Coppa Italia di Torino avevo già detto di non illudersi delle promesse da marinaio o da mercante, a lui la scelta, di Federico Casarin che conosco come le mie tasche. Vuote o piene che siano di caramelle alla menta o alla liquerizia.
A Venezia infatti resterà Olivetta Spahija. Che alla Reyer in fondo non ha fatto poi così male: non si è qualificato per le final eight di Coppa Italia ed è uscito al primo turno dell’EuroCup, eliminato dal Gran Canaria che non era, e non è, niente di che, nonostante la squadra di Brugnaro avesse il budget più alto di tutta la competizione. A volte capita. Anche se non dovrebbe succedere. Però che in campionato abbia conquistato l’ottavo e ultimo posto d’accesso ai playoff, proprio – guarda caso – come il Gran Canaria, lo deve solo al buon cuore di De Raffaele al quale, già in rotta di collisione con Gavio per la sua comparsata al Festival di Sanscemo, non è bastato d’andare a vincere a Trento per essere perdonato dal suo intransigente padrone. E così Derthona con gli americani che, capita l’antifona, non avevano più voglia di far niente e gli italiani che erano quello che sono, volenterosi ma scarsetti, ha perso le ultime sette partite della regular season.
Evidentemente pure al mio sindaco va bene Olivetta. Non ci voglio credere, ma se gli raccontano che nessun allenatore vuol più venire in laguna, neanche Paolo Galbi Galbiati e Alessandro Magro nemmeno se gli offri tutto l’oro del mondo, allora Brugnaro può anche pensare che Frank Vitucci sia troppo di sinistra per piacere al suo parterre de rois o che Simone Pianigiani non abbia l’esperienza per gestire una squadra dalla quale tutti vogliono darsela a gambe. Da Kabengele che va a Dubai a mia nonna che va in gondola al Lido. Il Brugnaro che io invece stimavo per le sue felici intuizioni cestistiche, spesso e volentieri molto migliori delle mie, avrebbe rispedito il buon Spahija in Croazia già per la raccolta e la spremitura delle olive tra ottobre e novembre o, meglio, dopo la sconfitta casalinga nel derby con la Treviso dei De’Longhi ai quali il basket non piace proprio, se non si fosse impantanato in una Palude da cui vuole scappare a testa alta prima possibile. Per potersi occupare della unica cosa che l’entusiasma oggi come oggi più della palla nel cestino: il Bosco dello Sport a due passi, al massimo tre, dall’aeroporto Marco Polo che senz’altro prima poi Alda Vanzan del Gazzettino vorrà intitolare a Luca Zaja forse senza l’i lunga. Dove stanno sorgendo un’arena per il basket e la pallavolo da diecimila posti a sedere che dovrebbe essere pronta per la stagione 2026-27 della Reyer e l’Imoco Conegliano. Quando però Brugnaro non sarà più il primo cittadino di Venezia. Oltre allo stadio per il Calcio Venezia e il Rugby Benetton Treviso da 18.000 spettatori che sarà utilizzabile ad andar bene tra un paio di campionati.
E’ certo invece al 101 per cento che Davide Casarin non andrà alla Virtus come ho sentito dire a Bologna da più di qualcuno che, lo giuro, non era ubriaco, o come ha scritto qualcun altro che di mestiere prende sempre fischi per fiaschi. Casarin Federico infatti ha finalmente capito, meglio tardi che mai, che il figlio deve cambiar aria e crescere il più lontano possibile da Mestre. Magari in qualche collage americano, mi permetto di suggerirgli, dove oltre tutto ora pagano bene e dove potrà riprendersi il talento che aveva da piccolo. Quando lo segnalai a Tanjevic e il Boscia lo imbarcò sul primo aereo per partecipare ad un torneo, mi pare under 16, anche con le nazionali di Russia e Germania. E fu premiato come il miglior giocatore della manifestazione.
Ieri ho provato anche a scrivere voltando le spalle alla televisione per finire il pezzo prima che scendesse la notte. Come facevo tempo fa per sentire la partita e girarmi solo quando fosse stato il caso di seguirla sgranando gli occhi. Ma l’attesissima gara 1 di finale dei playoff della Nba 2025 non si può assolutamente sentire nemmeno in registrata al pomeriggio se a commentarla è Ciccioblack Tranquillo. Presente al Paycom Center, avrei dovuto immaginarmelo, assieme ai suoi guardaspalle Alessandro Mammoletta Mamoli e il nonno di Heidi, Davide Pessina, che annuiscono sempre con la testa quando parla il gran capo perché questo pretende lui. Anche se magari non capiscono niente di quel che sta dicendo come è accaduto a me quando ho deciso di continuare il pezzo stamattina e così ho fatto. Stravaccato sul divano. Dopo il tiggì uno e Bruno Vespa che non vedo mai. Un goccio di sambuca con la mosca che mi purifica la gola dai vizi (?) della cena. Pensando che Leone XIV li farà santi. Entrambi. Anche da vivi e vegeti.
Pronti, via. Tenetevi forte. “Su un foglio di carta questa serie non si gioca. Io ho come l’impressione che ci sia una possibilità che si giochi, però su un foglio di carta che non mente mai, giocare non si gioca. E non sto neanche a dire qual è la squadra che ha il vantaggio non solo del fattore campo. Però poi lì dentro ci vanno cinque contro cinque, che poi girano e, finché non li vediamo, è assolutamente inutile, ed è questo il mio contre, rispetto al pronostico. Ed è assolutamente inutile mettersi a fare i Nostradamus de noialtri…” Strepitoso, unico, favolosamente incomprensibile. Ma se questo è l’incipit di Oklahoma City–Indiana, figuriamoci cosa sarà il resto della telecronaca: non riesco nemmeno a pensarlo. E così sono stato incollato alla tivù ben oltre la mezzanotte. Resistendo a non togliere il sonoro. Anzi, alzando il volume di Sky per non perdermi neanche un mezzo urlo dopo urlo di quello straordinario pazzo scatenato. Mentre la Tigre nell’altra stanza strepitava perché non riusciva a sentire la sua di televisione e mandava ora lei Tranquillo a quel paese. Felicissimo che abbiano vinto i Pacers di uno (110-111) in rimonta da meno quindici. Con un canestro dai cinque sei metri di Tyrese Haliburton, il numero zero, a 3 decimi di secondo dall’ultima sirena. Nonostante i 38 punti del fenomeno Shai Gilgeous-Alexander. Vincendo di squadra. Come piace a me. Però poi l’ho pagata parecchio cara. Dal momento che ho avuto gli incubi per tutta la notte e oggi non sono riuscito a sedermi davanti al computer prima delle quindici e trenta. Minuto più minuto meno.
Ma quanto l’ho tirata lunga? In pratica ho scritto un’altra lirica in due giorni. Devo essere proprio anch’io ammattito. O forse sto già facendo i provini per buttar giù, spero non dalla finestra, il mio primo libro “Una per tutti” che, ve lo confermo, proverò a scrivere quest’estate? Ai monti e al mare. Di capitolo in capitolo. Uno dei quali sarà dedicato ai padri dei figli e un altro ai figli dei padri. E il principale alla vera storia di Rossi–Cabrini a Vigo durante i Mondiali dell’ochenta y dos. Che conoscono in pochi. A parte l’amico di cento battaglie, Tony Damascelli, che mi ha fatto ricordare pure la cena da non credere alla Sacrestia di Napoli con Enzo Bearzot e Cesare Maldini. Però intanto, tornando alla pallacanestro, non vi ho ancora parlato della meraviglia di Brescia che ha liquidato con un secco 3-0 la Trapani di Valerio Antonini che è sempre meglio perderlo che trovarlo: non ho paura di dirlo. Questa è la mia forza. Questa è la mia libertà. Anche quando confesso che stravedo per Amadeus Della Valle e Peppe Poeta come un tempo per Acciughino Pittis e Sandro Gamba, che martedì ha compiuto 93 anni e mi sono dimenticato d’inviargli canestri d’auguri. Ma l’ho fatto adesso. Non sono profondo come l’Orso Eleni e il mare di Lucio Dalla. Che amava la Virtus come nessuno riesce nemmeno ad immaginare. A parte l’avvocato Gigi Porelli che non si chiamava per la verità Porelli ed era il suo grande amico. Anche più di Gianni Morandi.
Stasera è in programma gara 4. Che l’Armani farà sua. Ho pochi dubbi in merito, ma sarei felice di sbagliarmi: è inutile negarlo. Non sono nemmeno un ipocrita e fariseo. Al Forum arbitreranno Michele Rossi, Tolga Sahin e Denis Quarta. Finalmente un terzo fischietto alla pari dei primi due. Se non anche migliore. Per due anni di fila Silvia Marziali è stata votata miglior fischietto della serie A. Ne prendo atto, brava, anche se non l’ho mai sentita fischiare e per questo forse piace ai giocatori e agli allenatori. Per me i migliori in questa stagione sono stati Beniamino Attard e Saverio Lanzarini in stretto ordine alfabetico. Anche Baldini, Giovannetti, Lo Guzzo, Paternicò e Rossi non sono andati poi così male. E devo anche ammettere che anche Luigi Lamonica con Marco Giansanti designatore hanno fatto un buon lavoro.
Difatti il mio Citofonare La Monica è stato proprio nei giorni scorsi rimosso dal suo incarico di commissioner. Vallo a capire Giannino che ha invece promosso Gabriele Grandini, politico fiorentino, a presidente del comitato arbitri. E Gigi Datome, con o senza apostrofo dopo la di, non me lo ricordo mai che ci fa in federazione? Per ora poco o nulla. Come del resto prima all’Armani. Lo so che vorrebbe Poeta come cittì. Quanta fretta? Come corri? Dove vai? Per l’ultima volta ve lo ripeto: il prossimo allenatore della nazionale sarà Luca Banchi. Che sarà anche il vice di Ettore Messi(n)a a Milano. Come lo è stato per sei anni di Simone Pianigiani a Siena. Vincendo altrettanti scudetti. Non so se mi spiego. E con questo scoop o, meglio, scoopea come mi chiamava Flavio Vanetti, chiudo in bellezza. Non vi pare? Arrivederci a presto, ma non so a quando. Regalandovi dulcis in fundo l’incipit di un pezzo pescato dalla mia montagna di ritagli: “Oscar Eleni rifugiato nelle Azzorre, sventolando manette per chi incolpa sempre gli altri se una città brucia, se i treni non arrivano in orario, se gli allenatori non riescono a far diventare bravi i giocatori che forse non sono tanto capaci, se gli ambulatori non sono mai aperti, se i medici non sono mai contenti...”. Chapeau. E domani o lunedì, mi raccomando, fate i bravi e andate a votare.