Le balle del sabato sera ma pure dal lunedì alla domenica

ragland

Sì, la spalla. Come scusa è ottima. Però la verità è anche un’altra e la conoscevano, potrei scommetterci, pure i tre inviati di Sky, PaolaClaudia-e-Paperoga, ma si sono ben guardati dal confessarla. In effetti è da un pezzo che Joe Ragland avverte forti dolori alla spalla anche solo per caricare un tiro libero. Però non gli fa male alzare il gomito e così qualche volta esagera, come già in passato a Milano, e finisce in castigo dietro la panca. Dove la capra canta. Per carità, non è successo nulla di grave. Anzi. Avellino ha vinto di un punto a Reggio Emilia anche senza il play liberiano, Pino Sacripantibus si è rasserenato, Marques Green ha fatto la sua (piccola) parte e nessuno si è più preoccupato di spiegare il vero motivo per il quale Ragland non ha giocato. Sì, la spalla. O kappa: beviamoci anche questa. Ma se l’ultimo tiro di Pietro il grande Aradori non avesse picchiato due volte sul ferro e se Ricciolino Della Valle non avesse involontariamente ostacolato nel tap-in Achille Polonara, insomma se la palla fosse finita nel cestino e mia nonna in carriola fosse ancora in vita, la Sidigas avrebbe perso la delicatissima partita e allora adesso dovremmo probabilmente inventarci tutta un’altra storia. Però lo stesso mi fa sorridere una dichiarazione che proprio il buon Joe ha rilasciato nell’ottobre scorso a Repubblica: “Sono un leader di questa squadra, ma non è tutto sulle mie spalle”. No. E nemmeno sulle sue estemporanee alzate di gomito. Qualche anno fa, ma non chiedetemi quando, so che il tempo vola e passa troppo in fretta, Ettore Messina perse un derby di Bologna per un punto dopo un tempo supplementare, proprio come è successo domenica alla GrissinBon, e fece molto arrabbiare i tifosi della Fortitudo perché per lui la Virtus aveva pareggiato. Non perso. Ebbene sono d’accordo con il cittì. Difatti premierei comunque con un punto in classifica la sconfitta di una squadra all’overtime. E non credo d’esser diventato pazzo. Piuttosto sono stupido a pensare che le società non dovrebbero più nascondere le marachelle dei loro stipendiati perché i panni sporchi vanno comunque lavati nello spogliatoio. Balle. La gente invece deve sapere che quel giovanotto, considerato da tutti un serio professionista, magari ha fatto l’alba attaccato ad una bottiglia di birra, se non di rum o di wodka, e al mattino si è presentato all’allenamento che neanche si reggeva in piedi e nessuno gli voleva stare vicino tanto puzzava d’alcol. Ora non sono un puritano e men che meno un integralista dell’ultima ora, però che il terzo tempo di una partita, vinta o persa, sia diventata per molti giocatori di quasi tutti i club della serie A l’occasione buona per alzare l’asticella della trasgressione e scavalcarla senza pagar dazio, mi sembra un mal costume del nostro basket al quale ormai si è fatto il callo e al quale nessuno vuol porre rimedio se non dispensando di nascosto qualche multa che non sia però – mi raccomando – troppo salata. E non parlo solo degli americani a stelle e strisce, bianchi o neri, ma anche di qualche azzurro di vostra conoscenza e del quale non faccio nome e cognome perché ve l’ho già detto: non voglio più restare con il fiammifero acceso e bruciarmi solo io i diti in questo mondo di vigliacchetti che ti incitano ad andare avanti perché a loro vien da ridere e, appena possono, fanno un passo indietro. Oppure pensate che Mamma Rosa non conosca il problema e non sappia chi s’ubriaca al sabato sera o in qualsiasi altro giorno dal lunedì alla domenica? E’ che preferisce far finta di niente e piuttosto incensare Capo d’Orlando almeno una volta a settimana con i suoi ArLecchini di professione. Sia chiaro: anch’io applaudo al miracolo dei Sindoni padre e figlio, Enzo e Peppe, e al trionfo della pallacanestro plava che ho sempre amata più di tutte le altre. Tuttavia dico anche che, se l’Orlandina è quarta in solitudine nella massima serie, a due punti da Venezia e Avellino, tutte le squadre che la seguono in classifica dovrebbero andare a nascondersi rosse di vergogna. Anche perché sino ad un mese fa si raccontava che la Betaland del Patat(in)a Di Carlo era un fortino quasi inespugnabile sotto il tendone del PalaFantozzi o PalaFracchia o come lo volete chiamare, mentre non schiacciava una zanzara lontano dalla Trinacria. E adesso come la mettiamo che nel girone di ritorno ha vinto tre partite in trasferta di fila a Torino, Cantù e Cremona? Lo ripeto: da Sassari a Pesaro si dovrebbero tutte sparare. Cominciando da Reggio Emilia e Brindisi.