Trento, una squadra fatta con testa più che coi soldi

Da dove ricomincio? Dal Banco di Sardegna che perde la sesta partita di fila tra serie A e EuroLega (e poi in che modo) o dalla prima sconfitta a Mestre-Venezia (non si cambia) di una Reyer che non poteva continuare a vincere di un canestro o due? Da Trento che è la lieta novella della stagione o dalla brava Pesaro del Tigre Dell’Agnello che torna alla vittoria in trasferta dopo sette mesi? Dalla Cantù di Sacripantibus che ha gli stessi (pochi) punti in classifica di Capo d’Orlando o da Reggio Emilia che, se non cadeva in casa con la lunatica Cremona, sarebbe adesso meritatamente sola al comando e due punti avanti a Milano che sta ammazzando il campionato? Da quella pagliacciata che è l’All Star Game del 17 gennaio a Verona o da Pozzecco che vorrebbe un giorno o l’altro fare anche il commissioner della Lega? Dal giornalista del New York Post al quale spero che il Mago Bargnani tolga le mutande per le infamanti accuse che gli ha mosso o dalla Nba che ormai piace solo ai ragazzini che prima andavano pazzi per gli eroi falsi del wrestling? Dalle Olimpiadi che il folle Renzi vorrebbe organizzare nella città di Mafia Capitale (e dintorni) o da quelle del basket che Fassotuttomi vorrebbe ospitare nel paradiso dello scandalo del Mose? Da Giannino Petrucci che sostiene che tutti i bilanci delle società di serie A sono sani (con l’esser minuscola) o da Walterino Fuochi che centellina le sue perle di saggezza al lunedì e poi dedica una sbrodolata di ottanta righe ad un libello che è carino (forse) al massimo nel titolo? Ho solo l’imbarazzo della scelta. Ma parto dalla bella Trento come mi consiglierebbe Riccardo Sales. Da noi, diceva, si dà sempre più spazio sui giornali alla squadra che perde rispetto a quella che vince. Parole sante. Ed aggiungo se non vi dispiace: quanto mi manca il caro Barone. A Filippo Baldi Rossi, modenese di Vignola, dieci ciliegine lunedì contro Sassari, cresciuto nelle V nere, la Gazzetta non ha infatti dedicato neanche un rigo. Mentre si parlerà sino a Natale di una squadra sbagliata (con sette stranieri) come quella sarda del buon Stefano Sardara o di un Dyson Jerome menefreghista al quale molti sarebbero tentati di dare un gran calcio nel sedere. L’Aquila di Trento vola per merito di un allenatore, Mauri Buscaglia, che, finchè non si monterà la testa, farà sempre meglio e di un presidente, Luigi Longhi, compagno di liceo di Livio Proli a Rovereto, che è un amico oltre che un bravo collega al quale nessun giornalista d’Italia potrà mai dire: “Tu non capisci un tubo di pallacanestro”. E già questo è un record non da poco nel nostro mondo. Longhi è stato abilissimo nel costruire una squadra senza fare follie che parteciperà – scommettiamo? – alle finali a otto di Coppa Italia. Così come non è escluso, anche se è ancora presto per dirlo, che la debuttante in serie A conquisterà i playoff alla faccia di qualche nobile decaduta. Per la verità ho anche scommesso con chi so io che Venezia, la Bella Incompiuta, arriverà tra le prime quattro, ma ne valeva la pena: otto pizze contro una. A patto che Pesciolino rosso si guardi intorno e prenda il prima possibile un playmaker che sappia cucire gioco ed esaltare le qualità di Stone, tornato Rolling contro Reggio Emilia, zero punti in 31 minuti, come direbbe Denbinsky, o come cavolo si scrive. Il quale non occorre che ogni volta ci dimostri che ha studiato, ma almeno che prima del 2000 e 23 sappia distinguere una partita di basket da una gara di tiro a segno. Chi è il Pesciolino rosso? Me l’ha chiesto un amico distratto e l’aiuto: gioca ancora a 48 anni in serie C con il figlio Andrea e va in giro dicendo, come Riccardino Sbezzi, che “il mio blog tanto non lo legge nessuno”. Per fortuna. Altrimenti mi tirerebbe le orecchie come ha già fatto con Andrea Barocci sul sito ufficiale della società che ha ancora un presidente che si alza in piedi e dalla prima fila suggerisce a squarciagola i cambi al suo allenatore. Che per fortuna non lo bada. Anche perché è il migliore che c’è in giro e comunque primo in classifica senza un playmaker e senza un pivot di peso. Con una squadra fatta con i soldi più che con la testa. Al contrario di Trento.