Quando Matteo Salvini tifava per la Francia contro l’Italia

bonucci

Travolto da tempestosi fiumi di retorica, che dico fiumi?, da torrenti in piena che esaltavano l’Italia del redento Roberto Meches Mancini, ho rischiato davvero d’annegare quando in registrata ho sentito il gran finale di Fabio Caressa, l’orgoglio di tutti i coatti, che urlava come nemmeno al mercato del pesce di Campo de’ Fiori nell’ora di punta: “Grande Gianluca (immagino Vialli, ndr), sei un fratello e te lo meriti. Presidente (penso Sergio Mattarella), io lo so che è un’istituzione e che non può lasciarsi troppo andare, ma s’allarghi con un sorriso: la prego. Piange Mancini, piangono tutti: sono stati diciotto mesi d’inferno in cui ci siamo aggrappati alle speranze, ai balconi, al tricolore, che stiamo portando alto qui a Wembley. Diciotto mesi nei quali abbiamo tenuto duro, abbiamo dimostrato d’essere squadra e abbiamo vinto!”. Applausi. “Questa meravigliosa squadra di calcio che è l’espressione del suo popolo. E noi di Sky siamo stati come questa squadra e i suoi nuovi eroi. Vero Beppe?”. Che non vorrei sbagliarmi, ma dovrebbe essere lo Zio Bergomi. “Ed ecco Eder che posa lì la coppa e ce la lascia”. Eder è invece Eder Citadin Martins, attaccante guineense naturalizzato portoghese, che vinse il precedente Europeo, quello del 2016, con Cristiano Ronaldo out, sostituito da Quaresma, segnando l’1-0 nel secondo tempo supplementare della finale di Saint-Denis contro la Francia di Deschamps. Come forse Fabbio, rigorosamente con due bi, mi raccomando, avrebbe magari dovuto ricordare. “Perché dobbiamo portarla a Roma, la Coppa, nell’incontro con il presidente della Repubblica e del Consiglio. Bravo Ciccio, piangi. Sei il migliore del torneo, Ciccio Donnarumma. Vorrei vedere: ci ha portato prima in finale e poi ce l’ha fatta vincere in un momento per noi complicato, di scelte difficili, ad una età, 22 anni, che è un’età in cui molti ancora non si sono prese le loro responsabilità nella vita”. Un eroe, un predestinato”. Come disse Andrea Agnelli di Andrea Pirlo silurato dieci mesi dopo? “Arrivano le immagini da Bergamo di feste: vi salutiamo tutti, voi che per primi e più a lungo avete sofferto, voi che aprivate i giornali e vedevate solo i necrologi, e sentivate le sirene delle ambulanze e urlavate davanti ai camion: “Non molliamo”. E non è retorica questa (meno male, ndr): è la vita che abbiamo vissuto in questi mesi. Gioite, ragazzi, ve lo siete meritato. Perché bisognava essere dei visionari per salire sulla collina, come ha fatto il Mancio, e vedere un orizzonte diverso. Ed eccoci. Medaglia d’oro per Spinazzola che era forse il miglior giocatore dell’Europeo nel momento in cui si è rotto il tendine d’Achille. Bonucci che è stato il leader insieme a Chiellini, una vita insieme. Saluta mamma, Florenzi, come una volta salutasti tua nonna. Il professor Jorginho, il motore. Barella, la classe. Verratti, anche quando si è piccoli si può essere altissimi. Chiesa, il fuoriclasse. Emerson. E poi adesso, ragazzi, arriva Giorgio, il capitano che prende la medaglia per tutti quelli che hanno sofferto, per quei mesi terribili che sembravano senza speranza, per le persone care che non ce l’hanno fatta, che lo sapete che ora sono accanto a voi. Per chi ha rubbato (con due bi) dieci minuti di sonno accasciato sulla scrivania, pronto a ricominciare per saltarne un altro, per il coraggio di riprendersi, di lottare, di tornare a sorridere, d’andare sui balconi”. E ridagliela: e se non uno che non ha il balcone, che fa? Si butta dalla finestra? “Siamo campioni d’Europa. Alza la Coppa, capitano, alzala! Grazie ragazzi, nel 39esimo anniversario dell’82: il calcio torna a Roma e l’Italia torna a vincere”. Persino Michele Serra, intertriste seriale, oggi mi ha dato ragione dondolandosi sull’Amaca e scrivendo che “la retorica a tonnellate, a vagonate, a cargo, rende greve ciò che dovrebbe essere alato: la vittoria. Non c’è rimedio né salvezza, non c’è scampo se non nel profondo della foresta e con lo smartphone scarico…”. E qui da gobbo sfegatato mi verrebbe da dirgli: senti chi parla. Come ha fatto la mia simpatia, Selvaggia Lucarelli, parlando di Concita De Gregorio, “molto più ologramma di Nicola Zingaretti nella conduzione di “In onda”. Dove per ora (sino a fine giugno) l’unica quota rosa da lei rappresentata è la sua e quella di Barbara Palombelli con lo sguardo fisso in camera che mira lo spazio e nel quale c’è dentro tutto, dal brodo primordiale all’energia nucleare, dall’Unità ai Parioli. Mentre per quel che riguarda le quote rosse con Matteo Salvini, ospite del suo talk show, non abbiamo mai visto una gatta più morta di Concita neanche dopo un giro di polpette avvelenate in una colonia felina”. Dite la verità, vi ho di nuovo stupito: vi avevo anticipato che avrei saltato il martedì, ma sono rientrato a casa dalla settimanale immuno-terapia al Giustinianeo di Padova prima del solito e non potevo non sottolineare uno stomachevole pezzo di Francesco Merlo nel quale l’(ex) autorevole firma di Repubblica, nuotando pure lui nell’azzurro mare della retorica spicciola, ha attaccato “il cretino intelligente che ha tifato contro l’Italia perché è contro Mario Draghi”. Ora una idiozia del genere non riuscirebbe a inventarsela nemmeno Maurizio Belpietro, cioè quel simpaticone del direttore dell’Ossimoro, alias La Verità, quando è al massimo della forma. E io starò anche rincoglionendo giorno dopo giorno, ma non sono ancora così ingenuo da farmi raggirare da un Merlo che, per stare al passo della De Gregorio e di Serra e arruffianarsi l’editore John Elkann, getta falso discredito nei confronti del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio che anche oggi invece ha indovinato il miglior titolo post Wembley: “Notti magiche inseguendo il Covid” che s’accompagna ad un occhiello in cui giustamente s’esalta la gran bella vittoria della nazionale di Mancini, ma anche si sottolineano le pessime reazioni degli italioti nelle piazze e il loro sciocco stupore perché gli inglesi hanno rifiutato domenica notte la medaglia degli sconfitti dimenticando che hanno in fondo scimmiottato il gesto degli osannati giocatori del Napoli e dell’Atalanta dopo aver perso nella passata stagione le finali di SuperCoppa e Coppa Italia con la Juventus. Che resta la squadra più odiata dagli italiani: poche storie. E da Aleksander Ceferin, il misero presidente dell’Uefa. Cominciando proprio da Leonardo Bonucci che fa bene ad invitare i suoi detrattori a sciacquarsi la bocca (come nella foto) ogni qual volta gli riesce di segnare un gol. Perché sa benissimo che, non appena indosserà di nuovo la maglia dei gobbi, torneranno ad insultarlo come l’ho criticato anch’io, non lo nascondo, quando mandò al diavolo Max Allegri, passò al Milan di Salvini e lo chiamai la Mela marcia come del resto tutto lo spogliatoio bianconero. E comunque perché Francesco Merlo non ha ricordato ai lettori di centro-sinistra che lo stanno abbandonando, i tempi eroici in cui, nell’estate del 2000, l’allora direttore di Radio Padania, oggi leader della Lega, insomma il Cazzaro Verde, conduceva “Mai dire Italia” e tifava spudoratamente contro gli azzurri del caro Dino Zoff nella finale vinta in quell’Europeo dalla Francia grazie al golden gol di David Trezeguet? Forse perché l’amarcord sarebbe andato di traverso al sommo Mario Draghi e a tutta la Confindustria del pallone?