Stavo leggendo giusto ieri stamattina sul Fatto Quotidiano che David Sassoli era ricoverato in condizioni molto serie (polmonite e disfunzione del sistema immunitario) presso la clinica di Aviano. Ai piedi delle Alpi Carniche. Che un tempo era noto per la sua base Nato e l’aeroporto militare Usa, dal quale nel 1999 si alzavano i caccia F-15 per bombardare la Serbia, mentre adesso è molto più importante come uno dei migliori centro reparti tumori in Italia. Dove sarei dovuto ricoverarmi anch’io in radio-terapia se non mi avessero in ospedale a Mestre dovuto urgentemente asportare un linfonodo dalla gola e, già che c’erano, mi hanno fatto prigioniero. Mentre ieri Repubblica era tutta occupata nella cronaca della partita del Colle (“Berlusconi sfida Draghi” che spero finisca in nulla di fatto) e il Corriere della sera si è (pre)occupato soprattutto che il governo dei Migliori (quali?) tenesse aperte le scuole elementari e medie così da lunedì un fragilissimo come me non potesse più vedere i suoi nipoti Quando David passava per Milano s’andava spesso a cenare insieme. Sempre con Michelino Fusco che era un il suo più caro amico quasi coetaneo. Io invece, rispetto a loro, avevo sette e cinque anni in più. Gli piaceva andare in una pizzeria di via Torino. Dove impazziva per l’insalata di piovra con le patate lesse. Come Bettino Craxi. Con quale scambiava al massimo non più di quattro chiacchiere, per non dire due. Perché era già un bravo ragazzo, educato e intelligente, che sapeva stare sempre al suo posto. Assunto da Lino Rizzi, un buon direttore, prima nella redazione romana del Giorno, dopo aver collaborato col Tempo, prima come redattore delle cronache parlamentari e poi di quelle politiche. E nel 1986 era diventato giornalista professionista. Trent’anni dopo il primo scudetto della sua Fiorentina. Quella di Fulvio Bernardini. Di Sarti, Magnini, Cervato o di Chiappella, Rosetta, Segato o di Gratton, Virgili, Montuori. Con Julinho e Prini sulle ali. Una formazione che recitava a memoria e per la quale però tifava senza gli eccessi di Michele (Milan, Gianni Rivera, Franco Baresi a cui aveva dato il nome di Piscinin) e i miei che tutti ben conoscete: Boniperti, il Trap, Platini e ora Dybala, Chiellini e Allegri. Anche politicamente, pur pensandola tutti e tre parecchio a sinistra, riusciva ad essere molto più moderato e imparziale di noi due. Ma non parlava con il preservativo sulla lingua e a tavola era molto brillante e divertente. Ancora con il ciuffo ribelle, che allora buttava a destra, e quel bel sorriso sereno che ti regalava il buon umore. Assai più di Sergio Mattarella e di Mario Draghi. Per questo l’avrei visto molto bene pur così giovane ma forte alla presidenza della nostra Repubblica. Come ho scritto ieri in un breve messaggio su Facebook che avrà senz’altro più successo di quello che ha avuto e di questo ricordo che pure sto buttando giù con tanto amore almeno pari alla grande tristezza. Michelino ci aveva lasciati giusto un anno fa di Covid. All’improvviso. In solitudine. Dopo due settimane d’immuno-terapia senza riprendere più conoscenza. E pensare che io invece ho sempre pensato in quei giorni che si sarebbe risvegliato facendoci a tutti il gesto dell’ombrello. Mi ero invece subito preoccupato per David perché ad Aviano non si va per curarsi una polmonite. Nemmeno pericolosa come la legionella. Difatti da circa sei anni gli avevano diagnostico un mieloma. Del quale soffro anch’io da due e mezzo. Nel centro di riferimento oncologico era stato così sottoposto ad una serie di trapianti di midollo che pareva avessero avuto un esito positivo. Ma dei tumori al sangue non ci si può mai fidare: devi avere soprattutto fortuna. Lo combatti, ma se sei un malato cronico prima o poi perdi. Non lo vinci come sostiene Sinissa Mihajlovic che per questo non lo sopporto. Se l’ho mai sopportato come giocatore, allenatore e forse anche come padre. Oggi è senz’altro tardi scrivere del presidente del Parlamento di Strasburgo dopo che Repubblica gli ha dedicato due pagine e il Corriere della sera un Caffè di Massimo Gramellini che, se devo essere sincero, non mi è piaciuto neanche un po’. Forse perché l’ho bevuto freddo. E poi quel titolo: “David e i becchini”. Pauroso. Come se le mamme dei leoni da tastiera e dei no-vax non fossero più incinta. Come se in Italia la polizia postale non fosse ridicola. Come si fosse dimenticato che anche lui aveva fatto il praticantato al Giorno. Come David, Michelino ed io. Una grande scuola di giornalismo. E che David nell’89 andò a suo spese a Berlino e col martello scalpellò a fatica un pezzo di quel muro di ferro. Piangendo. Meglio Walter Veltroni che almeno ha ricordato le loro lotte e i loro caffè insieme, ha parlato di un uomo gentile e aperto al dialogo che però aveva dentro di sé un sistema di valori molto forti, ma nemmeno lui, come alla Camera e al Senato, ha pensato che Sassoli potesse essere dopo Mattarella il Capo dello Stato ideale. Come Maria Elisabetta Alberti Casellati (nella foto, ndr) che a Roma molti chiamano Queen Elizabeth, mentre per i padovani è la Caseati che viene da Rovigo non m’intrigo e che la sua vita politica è cominciata con Giancarlo Galan che la presentò a Silvio Berlusconi. A prova contraria due pregiudicati in via definitiva e interdetti dai pubblici uffici per una decina d’anni. La presidentessa del Senato che insieme a 230 deputati del Pdl e 59 della Lega oltre ad un’altra manciata di neofascisti votarono nel 2012 la più grande bufala del secolo e cioè che la minorenne Ruby Rubacuori (marocchina) era la nipote di Mubarak, presidente dell’Egitto. Ottenendo di falsità in falsità persino la maggioranza. Non ho ricordato ieri David perché – fatalità – ero in terapia nell’ottimo reparto di ematologia oncologica dell’Università di Padova e ci sono rimasto quasi dieci oro. Dopo che mi ero rifiutato di fare gli esai del sangue accanto ad una povera ottantenne che aveva appena dichiarato all’infermiera d’aver paura di vaccinarsi e non lo ha ancora fatto. E una lunga visita post natalizia dal primario che mi ha trovato proprio okappa, ingrassato e in buona forma (“si vede che sei tornato a scrivere spesso e con piacere: continua, ti fa bene”). E stavo leggendo per l’appunto il Fatto mandando a quel Paese una volta di più Marco Travaglio che con quel che sta succedendo nel Belpaese e in tutta Europa non perde ogni giorno invece occasione per parlare di tamponi o di green pass o per difendere Conte e persino la Raggi. E chi se ne frega? Quando un bel ragazzo seduto in poltrona davanti a me, poco più che ventenne e già completamente calvo, con le cuffiette alle orecchie e la sacca di sangue che da oltre un’ora gli gocciolava nella vena del braccio, se ne usciva con questa frase che mi ha agghiacciato: “Ho appena sentito al telefonino che stanotte è morto Sassoli. Lo sapeva”. Sapevo che era ricoverato ad Aviano. “Lo conosceva?”. Sì, era un mio vecchio buon amico. E una lacrima mi è scesa dalla guancia. O forse anche due. Senza asciugarle. Mentre la Caseati era a pranzo e magari la sera sarebbe andata a una cena elettorale con Renzi, Letta e Di Maio. E io prendevo sonno davanti alla televisione guardando Barcellona-Armani, ma non potendo sentire le urla di Ciccioblack Tranquillo che i medici mi hanno proibito di ascoltare. Avendo per me ragione. Come quelli che della Reyer che con grande oculatezza stanno esaminando il ginocchio del trentenne nato alla Scott Air Force Base dell’Illinois e naturalizzato sloveno, Jordan Morgan, che da qualche mese sta facendo un sacco di capricci e per questo il Kazan quest’anno non l’ha confermato. Guarda caso. Difatti neanche sabato giocherà a Varese. Se si giocherà a Masnago per via del Covid 19 che sta infestando un po’ tutte le squadre di serie A. Me l’ha confessato lui stesso ieri sera mentre faceva le spese al supermarket con la sua donna-mignon. In fondo il mondo è piccolo e lui è sicuramente alto più di due metri e molto più dei papaveri. Che pure sono alti e alti.