La news ha già fatto il giro della terra, ma non è ancora nelle edicole: i giornali vanno in rotativa sempre prima, soprattutto al sabato sera, e neanche escono il giorno dopo in qualche Paese, per esempio in Austria. La notizia è piaciuta al mondo, anche forse a quello bigotto e ipocrita che ancora sopravvive in molte case americane a stelle e a strisce e pure della nostra Padania. E mi ha comunque rallegrato la domenica. Non importa se con il sole o con la pioggia. Al punto che mi sarei anch’io arrampicato sul campanile accanto alla chiesa per suonare le campane a festa. Così non era prima dell’11 settembre del 2001, quando anche il muro della omofobia e dei pregiudizi ha cominciato a sgretolarsi e, se ancora non è caduto, poco spero ci manchi. E non era in Italia neanche mezzanotte quando, tra una semifinale e l’altra del singolare maschile degli Us Open, dopo che il giapponese Kei Nishikori aveva eliminato il n.1 Novak Djokovic entrando pure lui nella storia del tennis, Martina Navratilova ha colto l’attimo fuggente per baciare teneramente sulla bocca Julia Lemigova nella tribuna d’onore dell’Artur Ashe Stadium di Flushing Meadows e chiederle in ginocchio di sposarla offrendole l’anello. Ebbene la gente di New York ha capito e tutta in piedi, anche Woody Allen e Michael Jordan, ha applaudito Martina e Julia, che stanno insieme ormai da sei anni, e le loro imminenti nozze che si dovrebbero svolgere a Miami, in Florida, cioè in uno dei dodici stati d’America dove il matrimonio tra persone dello stesso sesso è riconosciuto e legale. “Non potevo più immaginare la mia vita senza di lei e la ringrazio per avermi detto sì”, ha spiegato la Navratilova, 18 slam vinti, di cui la metà a Wimbledon. 57 anni, tredici più della bella russa, aveva già dichiarato la sua omosessualità nel 1991 scandalizzando allora il mondo. Senz’altro una bella storia. Peccato che non sia capita nemmeno ora da buona parte della destra italiana. E’ in festa anche l’Asia del tennis. Kei Nishikori, 24 anni, giapponese, un metro e 78, quindi non proprio piccolo, due soli centimetri meno di me, superando il numero uno al mondo è il primo giocatore con gli occhi a mandorla che domani giocherà la finale di un torneo del grande slam contro il croato Cilic. Che anche lui a sorpresa ha battuto Federer. Qualcuno potrà obiettare: e Michael Chang che nel 1989 fece fuori Ivan Lendl e vinse al Roland Garros? E’ vero, pure Michelino ha gli occhi a mandorla, ma è nato negli Stati Uniti d’America, nel New Jersey, da padre e madre di Taiwan. Mentre stanotte Serena Williams e Caroline Wozmiacki si sfideranno per il titolo di regina degli Us Open. Tiferò per la danese di genitori polacchi piantata in asso sull’altare da Rory McIlroy per almeno tre buone ragioni. La prima è che mi piacerebbe tanto che anche per lei si potesse dire, come per lui, che la separazione dal campione nordirlandese non le ha fatto altro che bene. La seconda è che nettamente favorita l’altra. E la terza? Perché non mi piacerebbe che la più giovane delle Tyson del tennis vincesse il suo 18esimo slam. Come le mitiche Martina Navratilova e Chris Evert. Le mie preferite assieme Steffi Graf. Di cui ancora conservo nel cassetto l’autografo che mi fece il giorno in cui vinse il primo oro del tennis alle Olimpiadi, quello del 1988 a Seul, completando il Golden Slam.