Fragilissimo ma felice d’aver fatto la quarta dose di Pfizer

infermiera covid

Ogni qual volta scendo la rampa del Cup dell’ospedale di Padova quel murales di Wonder Woman in camice, con mascherina e stetoscopio (nella foto), contro il quale ci vai per forza (quasi) a sbattere addosso, mi trasmette una carica, intesa come energia positiva, che neanche potete immaginare. Specie nei giorni in cui sono giù di corda. Che per la verità non sono poi così tanti. O magari sono incazzato con il mondo e questo mi succede molto più spesso. Come possono facilmente confermarvelo gli amici (non pochi) che ancora mi frequentano e mi sopportano. Il murales, alto sette metri, è stato dipinto nel luglio del 2020 quando i politici imbroglioni e in perenne caccia di consensi, che nel Veneto prima di Galan e ora di Zaia sono più numerosi che in tutte le altre regioni del Bel Paese, ci avevano raccontato che la pandemia era finita e che si poteva tornare a far festa in piazza o, meglio, in discoteca. Preferibilmente al Muretto di Jesolo Lido. Alla faccia di quel menagramo del professor Andrea Crisanti opportunamente subito emarginato perché faceva ombra a quelle bestie di leghisti e neofascisti che chiedono la potestà legislativa assoluta persino sulla (mala)sanità. E’ comunque di ieri l’ultimo bollettino Covid del Ministero della Salute che parla di trend dei contagi di nuovo in aumento soprattutto nel Lazio, Campania e Puglia. Alle quali segue da vicino il Veneto con ben 51.904 persone positive in isolamento e Venezia in testa tra tutte le province d’Italia, ma una spiegazione c’è ed è il Carnevale che si è celebrato tra calli e campielli e al quale non si è saputo rinunciare almeno tra giovedì e martedì grasso. Finalmente senza mascherina obbligatoria e i no-vax tranquillamente mescolati a quei fessi dei vaccinati. Però intanto i decessi solo nella regione di Luca Zaia hanno abbattuto il muro dei 14.000 che il governatore dei vigneti di Prosecco trevigiano continua a tenere il più possibile nascosti nei suoi quotidiani aggiornamenti nel teatrino delle comiche di Marghera preso per i fondelli dal grande Maurizio Crozza. Il murales dell’intrepida dottoressa è stato comunque un doveroso, anche se piccolo, tributo agli instancabili medici, infermieri e operatori sanitari del policlinico di Padova in prima linea nella lotta contro il Covid 2019. Mentre che Wonder Woman fosse un’eroina dei fumetti non ne sapevo assolutamente niente prima di scoprire che avevo un mieloma cronico e men che meno che fosse dal 1941 la versione femminile d’icona dell’universo di Batman e Superman che tra i suoi poteri ha anche quelli di una forza e di una resistenza sovrumana che i miei nipoti ben conoscono. Ma quanto ignorante sono? Da buon veneto abbastanza. Però non a tale punto da non sottopormi ieri alla quarta dose di Pfizer dopo che la terza me l’avevano fatta il primo giorno dell’autunno scorso. Cioè da ormai quasi sei mesi. E così adesso sono felice. Come può essere felice uno che dalla medicina è considerato “una persona fragile” e che sino all’altro giorno era maldestramente anche definito un “immuno-depresso”. Depresso no! Mai. E nemmeno egoista e irresponsabile come quei fifoni che si rifiutano di vaccinarsi. Come ne conosco purtroppo un sacco e una sporta anche nel mondo dello sport. Tra cui uno che nel basket di serie A chiamano Roccia ed è alto più di due metri, si è beccato già due volte il virus che chissà a quanti compagni di squadra l’ha trasmesso ma non gli possono nemmeno toccare lo stipendio. A lui e a tutti i no-vax (con la enne ovviamente minuscola) dico solo, ma sono parole al vento, che una puntura di zanzara mi ha dato molto più dolore di tutte e quattro le dosi di Pfizer messe insieme che mi hanno sparato sulla spalla sinistra. L’ultima delle quali semmai, forse perché anche caricato a molla dal gigantesco murales di Wonder Woman, mi ha pure trasmesso, grazie a Dio, la forza di mandare ieri a remengo quel povero bifolco che, nel quarto d’ora nel quale devi stare in osservazione dopo esserti vaccinato, aveva cominciato a vaneggiare per conto proprio come Littorio Feltri o come l’esimio filologo classico, storico, saggista e accademico di Bari, Luciano Canfora (C10H16O), che ce l’hanno con Zelensky non capendo le ragioni per le quali non si è ancora arreso a Putin e alla Russia a fronte del rischio di scatenare una guerra atomica “che c’ammazzerebbe tutti”. Spero lei per primo, gli ho detto, e me ne sono andato prima d’essere tentato anche di sputargli in un occhio senza pentirmene per il resto della vita. O avrei dovuto per caso perdere dell’altro tempo a convincerlo, come ha fatto la giudiziosa Gramella, alias Massimo Gramellini, che “quando qualcuno viene picchiato da uno molto più grosso di lui, s’invita il più grosso a smetterla, non il più debole”? Come ha scritto Andrea Scanzi piuttosto parliamo allora di come siano diventati in tivù tutti improvvisamente competenti di guerra. Eppure il virus c’è ancora “ma i Galli, i Crisanti e i Sileri di punto in bianco sono scomparsi soppiantati dagli esperti (ora veri e ora presunti) di geopolitica”. Mentre resistono nei palinsesti televisivi i no-vax e i no-pass di professione. “I quali, a conferma di come le disgrazie non arrivano mai da sole, si sono riciclati in un amen da no-vax a sì-putin”. E qui potrei anche mettere un punto e andarmi a leggere l’ultimo libro (“Mai in prima persona”) di Laura Laurenzi, splendida donna ed eccellente giornalista che ho visto ospite di Serena Bortone a Oggi è un altro giorno in evidenti difficoltà fisiche, e me ne sono molto dispiaciuto, ma ancora lucidissima di testa. Che è poi quel che conta o almeno dovrebbe contare su questa terra. Tanto non mi mancherà nelle prossime settimane il tempo per parlare di pallacanestro e dell’ultime malefatte commesse da Ettore Erode il Messi(n)a come non tanto la sfida persa dall’Armani a Madrid o dei visti che l’ingordo presidente di Milano si è bruciato già a Natale, ma semmai delle sue personalissime dispute contro la Virtus di Zanetti e Baraldi o contro il defenestrato Bertomeu o contro GasGas Trinchieri e Sasha Djordjevic o contro la stampa e il basket italiano in generale che chissà cosa mai gli hanno fatto di male. E intanto mi preparo per andare al derby che tra un’oretta Venezia e Trento giocheranno al Taliercio dove voglio proprio vedere se la Reyer dopo un mare di tempo riuscirà finalmente a vincere una partita con Stefano Tonut tra le sue fila. Chiudo piuttosto, anche per alleggerire il pezzo sui no-vax impuniti e i sì-putin criminali, con gli insopportabili no-Allegri per i quali provo in verità la stessa pena. Prendendomela soprattutto con quelli che pure portano le mutande bianconere e che però non vogliono ammettere, neanche a denti stretti, valli a capire, che il tecnico che a Livorno tutti chiamano Acciuga è il numero 1 tra gli allenatori d’Italia. Certo, meglio anche del nevrotico Conte Antonio e del buon Carletto Ancelotti che ha vinto in otto anni alla guida del Milan di Berlusconi appena uno scudetto. La Juventus è infatti la squadra che oggi in Europa ha la miglior serie (aperta) di risultati utili consecutivi: 15 partite delle quali 10 vinte. Pur con una squadra nella quale da oltre un mese giocano quasi sempre gli stessi undici o dodici giocatori ogni tre o quattro giorni. Senza Chiesa, McKennie e pure Kaio Jorge: per tutti e tre stagione finita. Con Dybala che si strappa durante l’allenamento al primo tiro in porta. Senza Zakaria che è stato comprato e si è subito fatto male. Sperando che non sia pure lui un giocattolo rotto. Con Chiellini e Bonucci che neanche ce la fanno più a sedersi in panchina. Con Pellegrini e Rabiot, titolari inamovibili sulla fascia sinistra, che se non giocassero farebbero senz’altro meno danni. Eppure stanotte Roberto Beccantini, un amico, firma brillante e molto stimata, gobbo doc dalla culla, su Facebook l’ha buttata in vacca con questo incipit delirante: “L’autogol di Venuti al Franchi, l’autorete di Joshida a Marassi, entrambi su cross canaglia di Cuadrado. Non si può dire che il fondoschiena di Madama sia un francobollo”. Per la serie: piuttosto che parlar bene d’Acciuga che mi sta sulle palle tiro in ballo il suo culo. Come facevo un tempo anch’io con Righetto Sacchi, un altro che per sbaglio ha vinto un solo scudetto in tutta la vita. Compiaciuto d’essere persino divertente. Come quel povero cristo che ad Allegri ha dato il nome d’Ossimoro e non s’è accorto d’essere paurosamente ridicolo. Per non dire patetico e infantile.