Felice di sbagliarmi, ma quest’Italia di Prandelli non mi piace

E adesso viene il bello. Adesso, dopo aver già tagliato a tutti i tabarri e aver bocciato alla direita e alla esquerda, sperando che la traduzione non serva, devo smetterla di menare il torrone assieme al can per l’aia e dirvi cosa ne penso veramente dell’Italia di Cesare Prandelli a sei ore dalla partita d’esordio con l’Inghilterra. Ve lo dico subito e in fretta, anche se non so chi me lo faccia fare: non la vedo per nulla bene. Stanca e pallida. Sudaticcia e spenta. Un po’ come ieri la Spagna. Insomma, ad essere sincero sino in fondo, alla nostra nazionale andrebbe credo già di lusso se dovesse tornare dall’Amazzonia con un pareggio per potersela poi ancora giocare martedì 24 giugno con gli uruguagi. Che ritengo comunque più forti degli azzurri. Loro hanno Suarez e Cavani di punta. E noi il solo Balotelli. Non so se mi spiego? A meno che il cittì non si corregga in corsa e di corsa. E prima che non sia troppo tardi. Magari affiancando a Balotelli, non so, Cassano o Insigne. Già del resto ha sbagliato a lasciare a casa Pepito Rossi e Cina Diamanti. Già ha rinunciato alla difesa a tre per far posto a Darmian, che piace solo a lui e ai granata, e un domani magari anche a Abate che invece non piace nemmeno a Galliani lo Squalo, come lo chiamava Gullit, e ai tifosi rossoneri. Già non riesco a digerire il 4-1-4-1 che Giacchetta Prandelli dopo mille tentennamenti ha abbracciato per far giocare insieme Pirlo e Verratti che potrebbero così finire per pestarsi i piedi quando non faranno tra loro due scopa. All’asso? No, preferisco scientifico con quattro carte in tavola. Già faccio fatica a tifare Azzurra quando vedo quell’indisponente di Ballotelli lì davanti che manda a quel paese tutti i compagni e non sorride neanche quando segna. Già mi chiedo dove Prandelli abbia trovato il sarto che gli fa le giacche con le spalle così strette e con i bottoni che non si chiudono. Già non sopporto che, lontano dallo Juventus Stadium, l’Italia che odia la Juve gridi “scimmia” a Buffon, Bonucci, Barzagli, Chiellini, Pirlo e Marchisio, mentre quando gli stessi si vestono d’azzurro diventano all’improvviso idoli se non addirittura i loro eroi nazionali. Ipocriti e farisei. Andate voi a vivere tra la tribù dei cercopithecini. E se non sapete chi sono i cercopitechi lasciate che vi dica che siete anche proprio ignoranti. Già in questa nazionale di Cesare Prandelli non c’è nulla della Juve del Conte Antonio che pure ha vinto tre campionati di fila col 3-5-2 che mi andrebbe a pennello se davanti a Buffon giocassero Bonucci, Chiellini e Barzagli con Candreva e Cerci esterni. De Rossi, Pirlo e Marchisio a centrocampo. Immobile e Cassano davanti. Tanto ci vorrebbe? Già mi sono sbilanciato troppo. E allora qui la smetto. Felice comunque di sbagliarmi. Nel qual caso non farò fatica, guardandomi intorno, a trovare i voltagabbana che mi servono per girare e rigirare la frittata. Di giornalisti girella è pieno il mondo, ma mai come in Italia. Cominciando dal maestro di tutti noi, Gianni Brera fu Carlo. Che mi sgridò quando al Sarrià di Barcellona nell’82 sono saltato in aria al primo gol di Pablito contro il Brasile: “Siediti, giovane Pea, che adesso ne becchi almeno tre”. In effetti ero il più giovane degli inviati ai Mondiali di Spagna, ma l’istinto mi disse che avremmo vinto noi. Come poi fu. Con Rossi che ne avrebbe fatti tre. Non il Brasile.