Allarme rosso nel Veneto che fu di Galan e adesso è di Zaia. Poveri noi. Bombe d’acqua, nubifragi da paura, raffiche di Scirocco oltre i cento all’ora, tormente di neve in quota e mareggiate sulle coste. Meglio allora chiudere le scuole domani e dopo anche nella Venezia di Napoleone Brugnaro. E non uscire di casa nemmeno per andare a prendere il latte. E chi si muove? Con la sciatalgia poi. Stivali sotto il ginocchio non serviranno in piazza San Marco. Dove l’acqua alta a mezzogiorno supererà il mezzo metro. E non esagero. Per chi abita a pianoterra saranno cazzi davvero amari. E c’è poco da ridere. Antonio Giordano, delizioso giornalista del quotidiano sportivo di cui è direttore Ivan Zazzaroni, la zazzera più voluminosa del mondo, mi ha consigliato di titolare Sciaticando questa rubrica senza arte né parte, senza regole e senza padroni. L’idea non mi dispiace. Anche perché di scacciare e schiacciare i cattivi pensieri di giovani e vecchi tromboni stonati sarei pure stufo. Intanto oggi dalla scrivania al bagno la strada mi è sembrata più corta e meno in salita di come me la ricordavo. Sciaticando e aspettando Napoli-Roma, che è l’unica partita di serie A dell’ultima domenica del mese che merita l’attesa, sono d’accordo con l’amico Giordano: l’undici di Carletto Ancelotti mi convince e mi diverte più di quella incensatissima di Marx Sarri che non ha vinto neanche un pesciolino rosso alle giostre della fiera dei sogni. Due ritagli e due titolini del Corrierun: 1. L’ultima idea della Federcalcio: Martina Colombari presidente. E di che? Dei miei stivali. 2. E’ morto Castellazzi: ispirò il “clamoroso al Cibali” di Sandro Ciotti interrompendo il cugino di mia mamma, Roberto Bortoluzzi, al gol per l’appunto di Mario Castellazzi, il primo del 2-0 del Catania all’Inter del Mago Helenio Herrera che in quel pomeriggio di giugno del 1961 perse lo scudetto in favore ovviamente della Juve di Omar Sivori che proprio in quella stagione vinse il Pallone d’oro. El Cabezon aveva una rubrica sul Giorno all’inizio degli anni ottanta che gli curavo tutti i lunedì con venerazione: era stato il mio idolo da bambino e non mi pareva vero di poter raccogliere le sue confessioni. Come quella volta che prese per il sedere quel buon diavolo di Toni Pin, portiere del Padova di Rocco che lo rincorse per tutto l’Appiani. Ma questa magari ve la racconto domani. Oggi, prima dell’alba, quando Johann Zarco a Phillip Island ha tamponato Marc Marquez, ho anche sperato che Andrea Dovizioso potesse vincere il GP d’Australia o che, se non lui, Andrea Iannone superfavorito. E invece la Yamaha di Maverick Vinales se è data alla fuga a tutto gas e nessuno l’ha più rivista. Sul podio comunque l’ex di Belen e Dovi, sesto Valentino Rossi, ma non impazzisco di gioia. Questo pomeriggio i dirigenti della Casa Blanca già prima del Clasico lo chiamavano El Zombi e quelli del Pais, non meno carini, Torpetegui. Ovvero uno che non vale più di un peso. E adesso che ha le cinque dita del Barcellona stampate sulla faccia cosa mi dite? Che Lopetegui (nella foto, ndr) come minimo ha i minuti contati per fare le valigie e lasciar casa al Conte Antonio. Una pesantissima manita: 5-1 con tripletta di Luis Suarez, il Pistolero scatenato, dal dischetto, di testa e di scavetto. Più Philippe Coutinho e Arturo Vidal. L’inutile 2-1 all’inizio della ripresa di Marcelo, il palo di Modric e il mancato 2-2 di Benzema. Ma il destino dell’ex re di Spagna era comunque segnato. Anche se a Madrid non tutti amano il Parrucchino di Juve e Chelsea. Iniziando da capitan Sergio Ramos. Che è uno che al Real conta parecchio. Più di qualsiasi altro all’Inter ora che arriverà Beppe Marotta. Piaccia o non piaccia a Mamma Rosa. Come le vado dicendo da più di tre settimane, ma fa finta di non sentirmi preferendo perdersi dietro alle minigonne ascellari delle mogli dei calciatori e ai gossip pruriginosi di Fuorigioco. Wanda contro Georgina. E non chiedetemi chi sono.