Cominciamo bene. Proprio bene. Anzi benissimo. Con Milano che perde la SuperCoppa e la gente cattiva che le ride alle spalle. Con Luca Banchi che piange sulla spalla di Edi Dembinski più della Fontana di Trevi imprigionata almeno sino al prossimo autunno. Con il piccolo Gentile che ha fatto perdere persino la pazienza a Giobbe Chiabotti che in pagella gli ha dato un generoso quattro e mezzo accompagnandolo ad un caustico commento: “Partita isterica da chi gioca contro il mondo chissà perché: la difesa terribile annacqua i 5 assist, 4 palle perse, un sacco di proteste”. L’avessi scritta io una cosa del genere, come minimo mi sarei beccato una lettera di rimprovero da Riccardino Sbezzi, che per chi non lo sapesse è il suo angelo custode, e un manrovescio da uno della famiglia che segue Alessandro anche quando va in gabinetto e lo aiuta a tirare l’acqua. Cominciamo bene. Proprio bene. Anzi benissimo. Da non credere. Con l’Alba di Berlino che batte i campioni della Nba, Ginobili e Belinelli inguardabili, e Flavio Tranquillo che vorrebbe buttarsi giù dall’aereo in volo da Berlino a Milano dissuaso per fortuna a farlo da Paola Ellisse e Alessandro Mamoli. Con Giannino Petrucci e Nando Marino che sono ormai culo e camicia come Tavecchio e Lotito. Ai quali stamane Gene Gnocchi ha dedicato un caro pensierino nel RompiPallone: “Alfano contro le unioni tra uomini: “Niente fermerà il nostro sogno d’amore”, hanno detto il presidente della Federazione e quello della Lazio. L’avessi scritta io una cosa del genere, mi avrebbero già dato vent’anni di galera e non mi avrebbero neanche fatto patteggiare la pena come Giancarlo Galan, l’ex governatore del Veneto che fu eletto all’inizio di questo millennio con mezzo milione di voti più del filosofo Massimo Cacciari. Se invece non sapete chi siano Giannino Petrucci e Nando Marino, vi aiuto io: il primo ha un figlio che lavora a Sky e si diverte da matti quando prendo per il sedere l’illustrissimo padre, cioè almeno un paio di volte a settimana, mentre il secondo ha pure un bravo figliolo, di nome Tullio, che sino al giugno scorso era il ticketing manager dell’Olimpia Milano e adesso non so bene cosa faccia sperando per il suo bene che abbia trovato un altro lavoro meno complicato. Cominciamo bene. Proprio bene. Anzi benissimo. Con la presentazione del campionato numero 93 di serie A stamane nella sala Buzzati della Gazzetta dello sport. Ringrazio per l’invito Loretta Lanzoni, di cui sono sempre stato segretamente innamorato ma non ho mai trovato il coraggio di confessarglielo, però dovrebbe saperlo che alla Gazzetta ci ho messo piede solo una volta, e mi è bastato, e pure avanzato, nell’estate del 1989 quando il Grigo mi mandò ad intervistare il direttore, Candido Cannavò, che aveva di suo pugno scritto in prima pagina la più grande bufala del mercato di calcio del secolo scorso. Ovvero l’acquisto da parte della Juventus di tutti e tre gli idoli blucerchiati della Sampdoria d’allora: Vialli, Mancini e Vierchowod. Difatti da quel giorno lo chiamai StraCandido Ciapanò e lui, buonanima, un po’ se la prese invece d’arrabbiarsi con Berlusconi che gli aveva soffiato all’orecchio quell’improbabile scoop. E non mi offrì più un posto d’inviato in Gazzetta per il basket. Magari accanto a Enrico Campana. Ovviamente non dovete mai prendermi troppo sul serio anche se Bertoldo, scherzando, diceva la verità e nessuno gli credeva. Cominciamo bene. Proprio bene. Anzi benissimo. Con la prima di campionato che si gioca sabato a Cremona sperando che Milano non debba mai chiedere l’utilizzo dell’instant replay perché nel qual caso ci sarebbe molto da ridere. Con un campionato senza soldini e molti club alla canna del gas. Con Alessandro Gentile e Phil Goss ai quali ci vuole un bel coraggio a mettere al braccio la fascia di capitano facendo finta che tutti siamo ciechi, stupidi o ubriachi. Con Sassari che vince la SuperCoppa davanti a 3.500 spettatori e la De Longhi che nel debutto in Silver con Reggio Calabria ne ha contati 4.170 di aficionados sugli spalti, quanti cioè non ne faceva la Benetton quand’era campione d’Italia. A dimostrazione che il basket non è morto a Treviso con tutti i filistei. E neanche in serie B a Siena. Come avrebbe voluto qualcuno che so io.