Stono fuori dal coro ma sto dalla parte di Sardara

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Non sto nel gregge. Anche perché c’è sempre puzza di caproni. Che Gesù, come è scritto nel Nuovo Testamento, paragonò ai suoi falsi seguaci. Dai quali Dio me ne guardi, scampi e liberi. Né sono Bastiano che remava per principio contro corrente. Troppa fatica. E per quale ragione? Per finire in bocca agli orsi come i poveri salmoni? Non sono ancora così sciocco. E allora? Semplicemente non capisco quest’esercito di benpensanti che si è schierato compatto dalla parte di Meo Sacchetti contro il feroce saraceno di Sassari, al secolo Stefano Sardara, che per la verità a me non sembra poi così malvagio. Anche se l’abito non fa il monaco e dietro quella faccia da buono si nasconde magari un uomo senza cuore. Del resto col presidente del Banco di Sardegna non ho mai scambiato più di un saluto e men che meno abbiamo mangiato insieme quattro spaghi con la bottarga di muggine e pomodoro. E uno spicchio d’aglio che farà anche l’alito cattivo, ma che è un ingrediente fondamentale per quel piatto di cui vado perdutamente scemo. Mentre MaraMeo lo conosco da una vita e non ho mai nascosto le mie simpatie per il giocatore, che fu l’asso nella manica di Sandro Gamba agli Europei di Limoges e Nantes nell’anno d’oro 1983, e per l’allenatore che mi ha spesso divertito con la sua pallacanestro alla viva il parroco ma cum grano salis. Sardara e Sacchetti sono stati insieme sin quasi al settimo anno, che è quello della crisi di quasi tutti i matrimoni, e sono andati d’amore e d’accordo sino all’inverno scorso. Prima di vincere insieme, sottolineo ancora una volta insieme, la Coppa Italia e lo storico scudetto dopo la SuperCoppa. Quindi, se si devono dividere i pregi del triplete tra loro due, non penso di sbagliare se affermo che indistintamente il 50 per cento sia stato merito dell’uno e la seconda metà dell’altro. Con una sottile differenza che uno i soldi li tira fuori e l’altro li mette in tasca. Per carità, tra Sacchetti e Sardara la rottura prolungata, e conosciuta dal mondo intero, non è stata una questione di vil danaro. Come spesso succede i due hanno semplicemente litigato e le ragioni neanche le voglio sapere. Il proverbio dice: tra moglie e merito non mettere il dito. E io lo rispetto. Però tutti sanno, e io forse per primo, che il buon Virginio Bernardi prese precipitevolissimevolmente un aereo e volò otto nove mesi fa in Sardegna perché convocato da Sardara che con l’agente di Sacchetti avrebbe voluto rompere il contratto di poco superiore al mezzo milione di euro che ancora lega Meo a Sassari sino a giugno del 2008. Ma la transazione andò subito in fumo dal momento che tra la domanda e l’offerta c’era di mezzo il mare di Sardegna. Le parti tuttavia si lasciarono con la promessa che a fine campionato se ne sarebbe riparlato. Tant’è vero che Marameo avrebbe dopo lo scudetto anche firmato per Varese se il presidente del Banco di Sardara avesse coperto la differenza tra i soldi che l’allenatore dei campioni d’Italia avrebbe preso in Lombardia e quelli che lui gli avrebbe dovuto dare. E, comunque sia, il rapporto tra i due si era ormai sfasciato. Ora probabilmente l’errore è stato quello di non lasciarsi la scorsa estate, ma la separazione era inevitabile. Prima o poi. E quindi, se è arrivata sabati scorso, io francamente non ci vedo proprio nulla di scandaloso: la Dinamo imbarcava acqua da ogni parte, in Europa come in campionato, e qualcosa, anche d’increscioso, si doveva fare. E pure in fretta. E invece apriti cielo. E’ stato un fulmine a ciel sereno, ha sospirato Sacchetti e tutti sono accorsi al suo capezzale per consolarlo. Ma le bugie, per quanto piccole, hanno comunque le gambe corte e per questo mi spiace per il mio MaraMeo, al quale i trionfi sassaresi nessuno potrà mai togliere e disconoscere, ma sto dalla parte del feroce saraceno. Anche se mi costa assai buttarmi tra le braccia dei padroni e stonare probabilmente fuori dal coro. Mentre sommergo Marco Calvani con una montagna di in bocca al lupo. Dei quali avrà nelle prossime settimane certamente molto bisogno.