Petrucci e Messi(n)a culo e camicia contro patron Zanetti

messina petrucci

Bombe o non bombe, sono finalmente arrivato a Roma. Ma non sono passato a trovare Giannino visto che ci siamo già sentiti domenica pomeriggio al telefono ed è stato molto carino ad invitarmi sabato a Trieste per Italia-Slovenia. Intanto aspetto l’esito della Pet, gli ho detto, e poi vedrò. Se invece vi meravigliate del nostro rapporto che è un po’ come quello del gatto col topo che incredibilmente sono invece pappa e ciccia, e io sono senz’altro il gatto dal momento che detesto il formaggio, e lui quindi è il Topo, come lo chiama qualche nostro comune amico alle sue spalle, dovete sapere che abbiamo da tempo fatto un patto: lui racconta in giro di non leggere mai il mio blog e io di non capire il suo amore per Ettore Messi(n)a dal quale si è fatto mettere molto spesso e volentieri i piedi in testa. In verità Petrucci è il miglior politico che la nostra gioiosa palla nel cestino possa avere, però come dirigente è una mezza frana avendo poche idee ma confuse. Insomma non è geniale come Messer Ferdinando Minucci (otto scudetti, di cui sette di fila, e quattro final four d’Eurolega con Siena in un decennio) del quale continua ad avere una paura fottuta. In più il mio Giannino, al di fuori della nazionale che ama alla follia, ma che gli ha dato sempre pochissime soddisfazioni, non vuole mettere il naso su nessun’altra grana ben sapendo che combinerebbe solo disastri. Come quello che adesso vi vado a raccontare.

Vi ho già spiattellato nel pezzo di stamattina che lunedì, nell’ultimo giorno di questa maledetta primavera, c’è stata l’assemblea straordinaria del consiglio federale a Roma alla quale hanno partecipato in conference call, oltre ai due vice di Petrucci, Gaetano Laguardia e Federico Casarin sordi e muti, anche Stefano Tedeschi, presidente dimissionario del Cia (Comitato italiani arbitri) più nero della pece e Ettore Messi(n)a, presidente di tutto e di tutti tranne che della Repubblica, bello sorridente. Per fortuna Tedeschi era collegato – mi hanno poi informato – dalla barca in navigazione sul Tirreno e l’altro dalla sede – credo – dei campioni d’Italia. Altrimenti non so tra i due come sarebbe potuto andare a finire uno scontro vis-a-vis  a parole. Fatto sta che nell’ufficio di Petrucci con i trofei della Lazio, lui che è stato anche vicepresidente della Roma, non tirava comunque una bella aria. Tanto che, sarà stato per questo o per altro, si è dimenticato di chiudere la porta. In modo tale che anche le segretarie che si erano andate a prendere un caffè alla macchinetta in corridoio hanno potuto sentire dietro l’uscio Gianni Petrucci che se la raccontava. E diceva che lui è un decisionista, prendere o lasciare, e che solo quando andrà via lui (a novant’anni, forse, ndr) potranno anche scegliersi un presidente democratico. Prima no. “Del resto anche le Leghe, in particolare quella di Pietro Basciano (il contestatore eccellente, ndr) operano per delega e dunque chi le comanda è la Fip”. Certo è che una serie B tra due anni a 20 squadre e in girone unico a me continua a sembrare un’altra idea del cavolo.

Però il bello ha ancora da venire perché Giannino, dopo aver ratificato la nomina di Citofonare LaMonica a nuovo commissario del settore arbitrale a 100 mila euro lordi all’anno per un triennio, poteva anche risparmiarsi d’aggiungere con Tedeschi che l’ascoltava “perché rivoglio e bisogna risistemare le cose in quel settore”. Quindi dando ragione una volta di più al Messi(n)a che a Pasqua aveva attaccato lui e i suoi collaboratori più stretti, il designatore Sergio Borroni e il responsabile dell’organo tecnico Marco Giansanti oltre ovviamente “alle terne arbitrali senza nè capo nè coda”. E ancora non bastasse, Petrucci ha aggiunto che nel nostro basket ci sono solo tre galantuomini: Giorgio Armani, Pantaleon Dell’Orco e Ettore Messina. Guarda un po’. E quindi tutti gli altri cosa sono? Dei cialtroni? “Di sicuro la Virtus Segafredo si è comportata in modo inaccettabile”. E ti pareva. Difatti ha attivato la procura federale prima che lo chiedesse Milano. E così Massimo Zanetti per aver detto quello che pensano tutte le persone ragionevoli, e cioè che gli arbitri delle sei finali, pur non avendo sostanzialmente influito sul meritato scudetto delle scarpette rosse che per primo avevo pronosticato, erano tenuti sotto scacco dal potente e prepotente allenatore dell’Armani, sarà magari squalificato per quindici giorni a Ferragosto e solo per far contenti il ducetto di Valmontone e il Messina da Catania (culo e camicia nella foto) che non voleva la Virtus tra le palle in EuroLega se non avesse vinto l’EuroCup. Non mi credete? Fate pure come volete.

Dopo cena mi sono comprato un gelato alla vaniglia in piazza che ora mi sto gustando in santa pace nella mia stanzetta. Con le finestre spalancate e un filo di vento che m’illudo arrivi dal mare. Ho perso il sonno e dunque non finirò l’articolo prima di mezzanotte. Ma credo che oggi me lo possiate concedere. Con tutte le bombe di notizie, e non d’acqua come Sportando, che vi ho sganciato in giornata. Però ancora ho da confessarvi quanto guadagnerà Gianmarco Pozzecco all’anno: 600.000 euro lordi che non mi sembrano pochi. Tanto più che Giannino, consigliato da Salvatore Trainotti e non da Erode Messi(n)a come immaginavo, ha preso il Poz non perché è un bravo allenatore e diventerà un bravo cittì, ma perché “deve fare polemiche sui giornali”. Bene. Magari strappandosi la camicia o gettandosi dal trampolino di dieci metri con un triplo salto mortale carpiato. Basta che non bestemmi come ha già fatto ed è stato squalificato dalla Fiba, oltre che da Pallino Sardara che poi lo cacciò da Sassari. Quello mai. Perché Petrucci è uomo di chiesa: non se lo dimentichi Pozzecco. Per carità.

Rientrando dalla capitale mi sono fermato a Bologna dove mi hanno confermato che Luca Baraldi a mezzogiorno non si è presentato all’UnaHotels della Fiera, ma ci ha mandato il team manager o diesse, non l’ho ancora ben capito, Miro De Giuli, così come Messi(n)a ci spedisce ogni volta il povero Christo(s) Stavropoulos, general manager greco, “una faccia, una razza”. Quindi è lui che ha rotto con la Lega per tutelare Massimo Zanetti e non la Virtus: mica è scemo, anzi. Piaccia o non piaccia, provocatoriamente lo ripeto: è di gran lunga il miglior dirigente italiano. Che ha lasciato partire Amedeo Tessitori, come vi avevo anticipato almeno una settimana fa, non solo perché alla Reyer prenderà qualche soldino in più, ma perché spera di giocare anche qualche minuto in più da secondo e non da terzo pivot dietro a Mitchell Watt. Se ne andrà forse a Brescia pure Nico Mannion, che ha un altro anno d’ingaggio da 900.000 dollari, se l’incentivo della Virtus sarà d’almeno della metà. Arriveranno Jordan Mickey dallo Zenit San Pietroburgo e Achille Polonara dal Fenerbahce perché, quando Zanetti vuole un giocatore, Baraldi glielo prende. Rientrerà dal lungo infortunio Awudu Abass di cui vi siete troppo presto dimenticati, mentre vi escludo che Amedeus Della Valle s’accaserà in Italia. L’Armani si è già presa Stefano Tonut parecchi mesi fa e per i prossimi ventiquattro gli darà oltre un milione di euro puliti. Più i 200.000 di buy-out che scucirà a Napoleone Brugnaro. E qui credo che per oggi possa proprio bastare. O no? No, perché c’è ancora da dire che Gelsomino Repesa ha firmato un triennale a Pesaro nonostante Costa e Magnifico volessero Caja. E così Artiglio resta disoccupato. Ma non c’è niente da capire, come canterebbe Francesco De Gregori, soprattutto dove chi ne capisce qualcosa è bravo.