Il circo Poz (forse) non pianterà più il tendone a Venezia

circo

Il basket italiano è fuori dai playoff di Eurolega con due turni d’anticipo sulla fine della regular season. Sia l’Olimpia Milano sia la Virtus Bologna non sono riuscite a finire tra le prime otto e il derby d’Europa, programmato all’ultima giornata alla Segafredo Arena (domani, alle 20.45), assume il triste connotato d’amichevole di lusso. Gli unici che non hanno colpe, anzi sono le vere vittime di una stagione finora disgraziata, sono i patron Giorgio Armani e Massimo Zanetti che continuano a metterci passione e soldi. Se per la Virtus c’è attenuante del ritorno in Eurolega dopo 14 anni, per l’Olimpia non ci sono scuse: è stato un vero flop. Perché un budget milionario, che a fine 2021 era di quasi 34 milioni, 21 dei quali per gli stipendi ai giocatori, dipendenti e staff, e per il successivo non si dovrebbe essere andati al ribasso, non può tradursi in un ultimo posto alla fine del girone d’andata e in un’affannosa rincorsa dove, alla prima sconfitta, è svanito il sogno di una impossibile remuntada. Tra tutte le cause all’origine del flop, quella che ha pesato maggiormente è stata la scelta tardiva del play in sostituzione dell’infortunato Pangos e, in effetti, quando è arrivato Naiper la squadra si è messa a correre con un un eloquente 8-3 nelle ultime 11 partite di coppa. Ettore Messina, unico allenatore in questa Eurolega che è pure il presidente di se stesso, si è preso tutte le responsabilità ed è stato pure vicino alle dimissioni a novembre dopo il ko casalingo di -29 contro l’Efes. Alla quarta stagione sulla panchina dell’Olimpia è andato incontro a una crisi che non si aspettava. Anno dopo anno la sua Olimpia d’Europa è andata peggiorando. E in Italia le cose sono andate anche peggio con la sconfitta in semifinale di SuperCoppa contro la Virtus e ai quarti di Coppa Italia contro Brescia

Ovviamente queste prime trenta di righe non sono farina del mio sacco. Anche se in fondo non sono state buttate giù poi così male e posso condividere in linea di massima le critiche, per me comunque all’acqua di rosa, di Giorgio Specchia all’Armani che lui chiama sempre Olimpia perché di Milano riconosce una sola squadra: la Pallacanestro che oggi gioca ancora al Palalido in A2 ed è l’Urania dei Cremascoli, cugini dell’ex presidentessa di Cantù, che quasi mezzo secolo fa era la Mobilquattro o la Xerox del grande Dido Guerrieri e del magico Chuck Jura che i giornalisti delle scarpette rosse chiamavano per invidia “gli straccioni”. Ma un lettore attento di Mors tua vita Pea se ne sarà presto accorto se non altro prechè io non avrei mai potuto scrivere Ettore Messina senza la parentesi aperta e chiusa sulla enne del suo cognome. Devo tuttavia onestamente riconoscere che il capo degli sport vari della Gazzetta, da ragazzo anche spericolato ultrà un tempo della curva intertriste dalla quale tiravano giù da basso i motorini, è stato molto coraggioso nel parlare di flop europeo negli ultimi tre anni dell’Armani ben sapendo che una telefonatina di proteste da parte del club di cui il Messi(n)a è presidente e allenatore a Urbano Cairo gli potrebbero cambiare la vita decisamente in peggio come è già successo di recente a qualche altro figlio di Mamma Rosa.

Lo so. Specchia, che tiene pure lui famiglia, ha firmato il J’Accuse a Ettore Messi(n)a il primo d’aprile che di certo non voleva essere un pesce. E allora, qualcuno si potrebbe chiedere, perché lo pubblichi solo oggi con tutto il casino che è scoppiato ieri a Scafati e con la Reyer che sta giocando or ora a Tel Aviv contro l’Hapoel? La domanda è pertinente. Però è anche vero che non scrivevo di basket sul mio caro blog dal primo di febbraio per mille e una ragione, non ultima quella che il circo del basket mi aveva stomacato non meno dell’odio di regime verso la Juve e per questo mi stavo cancellando anche da Facebook, dove gli “amici” per modo di dire hanno persino paura di mettere un “mi piace” se solo pensano di poter offendere la suscettibilità di qualche Signore e padrone della nostra pallacanestro che pure non raggiunge l’un per cento di share in televisione. Ipocriti e farisei. Al contrario Giorgio Specchia meritava ancora più spazio per la sua audacia in un mondo di giornalisti, non so se più cialtroni o ciarlatani, nel quale oltre a lui solo Umberto Zapelloni Viendalmare, licenziato a suo tempo da Cairo per sovrannumero di vicedirettori in Gazzetta – raccontò il poveraccio d’editore -, ha osato nel 2022-23 parlare di flop dell’Armani rovesciando sul Foglio tutte le colpe addosso al deus ex machina nato a Catania che comunque, tranquilli, non darà mai le dimissioni nemmeno se dovesse perdere lo scudetto della terza stella che Giannino Petrucci e Citofonare LaMonica gli hanno già apparecchiato da mesi come meglio non avrebbero potuto. Anche se Bobo Begnis non credo che potrà più arbitrare i playoff di Milano dopo che si è lasciato intimorire dal pubblico di Scafati che è molto meno cattivo e pericoloso, ve lo garantisco, del Messi(n)a quando s’incazza. Per la serie “ormai vale proprio tutto”. Purtroppo.

Di quel fischio che Begnis non doveva fare annullando per sfondamento su Stone il pirotecnico canestro di Bowman che avrebbe dato la giusta vittoria a Brindisi e della ridicola multa d’appena 2.000 euro affibbiata agli energumeni che hanno aggredito Frank Vitucci e i suoi giocatori per una decina di minuti nel sottopassaggio tornerò a parlare un’altra volta. Così come degli arbitraggi che non sono mai stati tanto scadenti come in questa stagione o della lotta per la retrocessione che mi avvince più di quella per lo scudetto che tanto, statene certi, vincerà l’Armani. O del mercato degli allenatori che oggi spinge GasGas Trinchieri, in scadenza di contratto con il Bayern, verso la Virtus sempre che alla porta di Don Gel Scariolo bussino il Real Madrid o il Barcellona. Il bravo Nicola mi ha cambiato entrambi cristallini e ora ci vedo più chiaro di prima nel nostro basket. Ho ripreso due dei sei chili che avevo perso assieme al gusto e al piacere della tavola. Ma non voglio farla troppo lunga e allora chiudo con un’idea che nessuno mi riesce a togliere dalla zucca da due mesi e cioè che Napoleone Brugnaro quest’estate voglia portare il circo Poz a Venezia dopo che si è sbarazzato con troppa fretta del Walter De Raffaele che non andrà a Brescia perché alla Germani resterà con merito il fornaretto Alessandro Magro.

Ma quale fine farà allora Neven Spahija? Intascherà a giugno i 50.000 di buonuscita promessi e tornerà ai suoi uliveti in Croazia e dalla sua bella in Slovenia. A meno che non conquisti la finale contro Milano e Federico Casarin non gli allunghi il contratto d’un altro anno. La Reyer di Spahija infatti, perdendo stasera in Israele, ha fallito entrambi gli obiettivi che poteva sognare di centrare: la Coppa Italia, sbattuta fuori già ai quarti di brutto (68-82) dalla la Segafredo, e l’EuroCup dalla quale è stata addirittura eliminata dall’Hapoel Tel Aviv al primo turno dei playoff ovvero agli ottavi di finale. Ma si può? Non penso. Visto che era la squadra favorita e col budget più alto con Jouventut e Gran Canaria. Anche se il secondo tempo non l’ho visto perdendomi dietro per la centesima volta a Pretty Woman che m’incanta e quindi vado adesso a cercare su Google come è poi finito l’impari duello. Nemmeno poi tanto male: 90-80 per gli israeliani che sono stati avanti anche 44-22 e ancora 77-55 – leggo – al termine del terzo quarto non voglio neanche andare a guardare il risultato di Milan-Napoli. Ve lo ripeto: il calcio italiano mi ha disgustato e fate pure a meno di credermi.

Così come non volete darmi retta quando vi dico che la palla al piede anche dell’allenatore croato è Marco Spissu per quel che costa e per quel poco che dà se non qualche tripla ogni tanto che può infiammare soltanto gli incompetenti tifosi orogranata o l’Anonimo veneziano del Gazzettino. E’ successo pure stavolta. Spahija l’ha gettato sul parquet che Hapoel e Reyer erano ancora 15 pari al posto di Parks che sino a quel punto era stato il migliore con Granger (playmaker) dei lagunari. E l’ha tolto sul 35-16 dopo un terrificante 18-0 di parziale subito, undici palle perse, un tiro libero segnato per sbaglio da Amadeo Tessitori che non è il nuovo Dino Meneghin come qualcuno pensa tra calli e campielli. E il sardo? Zero su quattro nelle triple e una difesa su Timor al quale non è sembrato vero d’essere marcato da uno così timido per non infierire e dargli dello scarso. Piuttosto non sono più tanto sicuro che Gianmarco P(r)ozzecco pianterà le tende o, meglio, il tendone a Venezia. Perché Giannino Petrucci, al di là di quel dichiara, lo vorrebbe tutto per sé in nazionale. Perché l’offerta del Panathinaikos era solo uno specchietto per le allodole. Perché lo stesso Poz ha capito che chi gliela fa fare d’andare ad allenare la Reyer quando in azzurro sta da Papa e lavora, si fa per dire, al massimo un paio di mesi all’anno, guadagna lo stesso molto bene e non ha il pensiero di dover vincere la Coppa Italia o l’EuroCup come gli chiederebbe insistentemente ogni giorno il sindaco di Venezia.