Una squadra che merita di retrocedere è Reggio Emilia

menetti

Quindi non è proprio vero che il Messi(n)a non mi legge come racconta in giro se domenica, prima d’andare a vedere quella brutta partita che è stato il derby tra una Reyer ancora convalescente e una  Verona in odore di ritorno in A2, ho scritto che Stefano Tonut non vedeva palla in EuroLega e quasi non la tocca in campionato, perché a distanza di un paio d’ore, anche meno, Ettore, anche solamente per il gusto di smentirmi o di farmi un dispetto, l’ha inserito nel primo quintetto dell’Armani che ha affrontato al PalaBarbuto la povera Napoli, penultima in classifica, che in settimana a furor di popolo aveva mandato a casa chissà perché Maurizio Buscaglia, che io chiamo Fred in ricordo del grande Buscaglione, e l’aveva avvicendato “pro tempore”, ma si può?, con il dolcissimo Cesare Pancotto che la sgradevole Gazzetta chiama il Millenario quando in fondo ha 68 anni compiuti due giorni fa e non ha alcuna intenzione d’andare in pensione prima d’altri allenatori sessantenni di serie A che sono molto più scoppiati di lui. Anche se prima dell’avventura partenopea non se la passava in fondo male nella sua Porto San Giorgio, dove non so quante volte mi ha invitato a “mangiare il pesciolino fritto con i piedi sulla sabbia” mi diceva per invogliarmi a raggiungerlo.

Dunque Tonut è entrato domenica nello starting five dell’Olimpia a Napoli assieme a Devon Hall, Luwawu Cabarrot, Deshaun Thomas e Brandon Davies. L’unico italiano di un non malvagio quintetto con in panchina Melli, Ricci, Biligha, Baldasso e Alviti oltre a Mitrou-Long e al crucco Voigtmann. Sano come un pesce e scalpitante come un puledro selvaggio, Stefano ha giocato una partita “così e così” secondo Andrea Tosi, l’unico giornalista della pallacanestro in Gazzetta dei cui giudizi mi fido e per altro confermati dallo stesso score dell’azzurro: 10 punti, 5/5 da due, 0/2 da tre, 4 rimbalzi, ma anche zero assist e meno 16 punti nei ben 29 minuti nei quali è stato sul parquet. Dio solo lo sa quanto voglia bene al mulo di Trieste che andai ad intervistare per SuperBasket quando fu acquistato dalla Reyer e aveva appena ventun’anni e molti sogni, poi realizzati, nel cassetto. Però gli ho già dedicato lo scorso articolo su questo blog, centrando oltre tutto l’obiettivo di catturare l’attenzione del suo allenatore persino più permaloso di me, il che è tutto dire, e ben sapendo che il troppo stroppia o storpia, ci siamo insomma capiti. Tanto più che, potete crederci o meno, non è poi così importante, soltanto stamattina, prima dell’alba, ho visto Napoli-Milano per la prima volta su Dazn senza aver letto ieri i giornali e quindi senza conoscere l’esito della sfida che pensavo scontatissimo e invece mi sono clamorosamente sbagliato. Capita: 87-81 per la Gevi di Pancotto dopo un tempo supplementare che penso sia stata l’unica cosa che è andata veramente di traverso a Messina oltre alle pessime prestazioni di Hall, Thomas e aggiungeteci pure d’un affaticatissimo Nicolò Melli.

E comunque mi è passata pure la voglia, come vi avevo già accennato prima delle feste natalizie, di sparare ancora a salve su Ettore Messi(n)a perché in fondo tra me e lui c’è un rapporto tutto particolare che nessuno può capire, forse neanche la sua cara mamma e la sua bella moglie, e sul quale in troppi ci hanno voluto mettere il naso con gratuita cattiveria. Certo ci si guarda storto e di lontano. Molto da lontano. Nessuno indietreggia di un centimetro. Anche se per la verità una volta gli ho offerto l’altra guancia visto che si preoccupava – mi raccontavano – di conoscere le mie condizioni di salute, ma poi se ne è evidentemente pentito e all’appuntamento, fuori dallo spogliatoio del Palaverde di Treviso, non si è presentato come mi aveva garantito il suo imbelle ufficio stampa. Sulle qualità dell’allenatore non ho mai avuto dubbi: era il più bravo prima di rifugiarsi in America e lo sarebbe ancora adesso se non avesse voluto fare di nuovo il commissario tecnico e poi il presidente odioso dell’Armani. Che invece abbia le mani in pasta su tutto e metta i risi in testa a tutti, da Giannino Petrucci agli arbitri con la complicità della Banda Osiris e di Citofonare LaMonica, sapete cosa vi dico? Fa benissimo. Finché nessun allenatore, di cui è il sommo capo, gli s’oppone pur non apprezzandolo e in larga parte parlandogli male alle spalle. Escludendo ovviamente la Segafredo di Massimo Zanetti che ha osato anzi cantargliele facendo quello che, al suoi posto, avrei fatto anch’io. Ha insomma più nemici che amici. Come succede pure a me che di amici fuori dal grande giro ne ho appena un paio: Simone Pianigiani e Max Chef Menetti. E me li tengo stretti. Pensando magari d’avere le spalle larghe e invece non è proprio sempre così. Vero Ettore?

Si è fatto tardi. Stasera sono a teatro con Giorgia. E quindi non vedrò in diretta nè Alba Berlino-Armani, nè Virtus-Zalgiris che però ho provveduto a registrare per domani pomeriggio. Domattina presto infatti vado a Conegliano per capire se mi possono sistemare anche la cataratta che mi è è scesa dall’occhio destro. Bevo un tazza di brodo di capone e corro a vedere la prima di Massimo Ghini e Paolo Ruffini in “Quasi Amici”. Di cui vi saprò dire qualcosa molto presto. Perdonatemi ma mi manca il tempo persino di rileggere il pezzo e così ho solo a portata di mano una vecchia foto di Max Chef con due splendidi porcini raccolti quest’estate tra i magnifici boschi dove è cresciuto Jannik Sinner. Butto allora in fretta giù solo un titolo per il blog: “Se c’è una squadra che merita di retrocedere questa è Reggio Emilia”. Della qual cosa però ve ne parlerò (forse) un’altra volta anche perché i nomi dei colpevoli dello strazio non li avrei oggi comunque fatti specie in questo caso nel quale la principale colpevole, anche in generosità, è forse una donna ma non è la sola. Anzi, lo sono soprattutto quelli che hanno scaricato il barile addosso a  Menetti e ancora prima ad Artiglio Caja. Ovvero i loro amici del cuore. Cominciando dai giornalisti che pure hanno assegnato l’ultimo premio Reverberi per la stampa a questo blog. Anche una città che mi ha sempre gentilmente ospitato. Salvando sicuramente lo sponsor, che ha avuto sinora persino sin troppa pazienza, e capitan Andrea Cinciarini che ha sempre sputato l’anima come direbbe DinDonDan. Oltre a Dragan Sakota che non poteva certo immaginare quanto scarsa, viziata, apallica e sbagliata fosse la squadra che gli hanno dato da allenare: l’UnaHotels che domenica ha perso in casa con il non certo trascendentale Banco di Sardara d’addirittura 25 punti (74-99) come peggio non avrebbe potuto fare.