Otto buone ragioni per preferire Gallacher a Molinari

Sono stato criticato perché sabato sera su questo blog ho scritto che Francesco Molinari si sarebbe visto la Ryder Cup di Gleneagles su Sky. Non c’era alcuna ironia nella mia purtroppo azzeccata previsione, né sono Cassandra e neanche Mago Zurlì: bastava capirne solo un cicinin di più di questo mondo nel quale ultimamente troppi giornalisti dell’ultima ora si sono tuffati a pesce senza conoscere la differenza tra un birdie e un bogey e magari pensando che, come nel calcio, si possano sparare un sacco e una sporta di stupidaggini. Tanto il lettore della Gazzetta se le beve tutte: anche che Falcao sarebbe stato comprato dagli Agnelli più tirchi di sette scozzesi. Al termine del terzo giro dell’Open d’Italia non solo Chicco era infatti a sei colpi da Hennie Otto che nel golf non sono poi la distanza tra un oceano e un altro: si sarebbero anche potuti recuperare. A patto che il leader sudafricano se la fosse fatta sotto e il più giovane dei fratelli Molinari avesse ripetuto ieri il promettente -6 di giovedì. E neanche perché il più forte giocatore del Belpaese sui fairways e i greens era preceduto in classifica da ben sei agguerriti avversari, tra i quali Stephen Gallacher. Prova ne sia che nell’ultimo giro l’inglese David Howell, gran genio della matematica, partito alla pari di Francesco, era riuscito con sette birdie e un eagle, e neanche un bogey, a portarsi a un solo colpo da Otto prima che il sudafricano nei due par cinque delle seconde nove buche, cioè alla 12 e alla 15, non s’inventasse altre due zampate da leone ferito e, nonostante le sofferenze alla schiena, non infilasse nel suo splendido score finale di -20 un altro paio di decisivi birdie. Tutto questo premesso, e se anche la pallina di Molinari non avesse fatto la cravatta proprio alla buca 12 dopo un fantastico approccio dal rough e con un eagle il torinese che tifa per l’Inter si fosse anche avvicinato con -12 a Otto a -17, ugualmente Paul McGinley non l’avrebbe portato con sé a Gleneagles. In primis perché l’irlandese non è nato sotto un cavolo, e nemmeno porta l’anello al naso, né è cieco e incompetente, ma è (e sarà) un ottimo capitano dell’Europa nella Ryder Cup di fine settembre. Difatti non tanto Gallacher è scozzese e la sfida agli Stati Uniti d’America si giocherà nel regno di Scozia, ma soprattutto Gallacher sul percorso blu della Mandria, al di là del terzo posto conclusivo con -17 e il -7 dell’ultima giornata, aveva già dimostrato nei tre primi giri d’essere più in palla e più vivace del timido Francesco Molinari di venerdì mattina che pattava con il freno a mano tirato e la paura di non imbucare persino da un metro. La Ryder Cup non è la fiera delle vanità, ma il terzo avvenimento sportivo più seguito sulla terra dopo i campionati del mondo di calcio e le Olimpiadi estive. E’ una guerra, più che una battaglia, dove non si fanno prigionieri e si combatte con il coltello tra i denti e la spregiudicatezza degli audaci. Mi spiace, ma Chicco quest’anno non è quello di due stagioni fa. Quando giocò la Ryder con il fratello Edoardo e si fece molto onore. Nel 2014 ha spesso giocato in difesa e, se attualmente è 44esimo nel ranking mondiale (e in Europa quindicesimo) dopo il deludente 18esimo posto di Torino sul campo di casa (e di famiglia), vorrà pur dire qualcosa. Nessuno gliene fa una colpa, per carità, ma non si può pretendere di duellare nel dodici contro dodici tra i primi ventiquattro dei due continenti se non supporti con i risultati le tue speranze. E se anche Tiger Woods in fondo resterà a casa. Difatti cosa ha dichiarato ieri Chicco al termine della sua via crucis iniziata con un doppio bogey alla due e un altro alla tredici? Onesto e sincero: “Guarderò la Ryder in televisione”. E per questo merita un lungo e caloroso applauso in attesa di tempi migliori. Per lui, ma anche per il fratello maggiore e soprattutto per Matteo Manassero. Che ride e scherza troppo in campo. Almeno per i miei gusti. In più si è spaventosamente complicato la vita volendo allungare il tee-shot con il driver e dimenticandosi che chi va piano arriva comunque lontano.