Il Messi(n)a è già resuscitato una volta, ci riuscirà ancora

ettore messina

Mi vengono ancora i nervi se penso che la Segafredo di Massimo Zanetti vinceva a Bologna di 19 punti (42-23) a quattro minuti dal termine del secondo quarto con il Villeurbanne del meraviglioso Nando De Colo che la guardava estasiato, Shengelia al rientro dopo un brutto infortunio e Teodosic ispirato come nei giorni migliori. E ha invece finito per perdere il match (79-84) del sesto turno d’EuroLega vattelo a spiegare perché. Paolo Bartezzaghi del quotidiano sportivo milanese, tra una parola crociata e l’altra, felice e non poco di poter seminare di nuovo un po’ di gramigna nel giardino delle vu nere, la spiegò con una mini lite scoppiata tra Don Gel Scariolo e Er Monnezza serbo che non avrebbe accettato un cambio nell’ultimo periodo. Ma le cose non andarono proprio così e comunque quel che voglio dire adesso è che, se la Segafredo avesse battuto due settimane fa i francesi dell’Asvel, ora sarebbe quarta in classifica alla pari con Barcellona e Real, per altro già castigato dalla Virtus a Madrid, e si sarebbe gridato al miracolo come lo si è sguaiatamente e scorrettamente urlato per la nazionale di Gian Marco P(r)ozzecco quando ha battuto la Georgia, dico la Georgia, di un solo punticino a Tblisi.

Invece i giornali di regime, ovvero quasi tutti, legati da duplice filo a Ettore Messi(n)a e a Giannino Petrucci che odia la Segafredo e detesta Zanetti perché non si è orgogliosamente presentato davanti al suo tribunale col capo cosparso di cenere, sono oggi molto più preoccupati delle sorti della malandata Armani, alla quarta sconfitta di fila, la quinta su otto di un’Eurolega nella quale era partita con il pronostico di squadra favorita. E lo è ancora. Ci mancherebbe altro con 24 turni di regular season ancora da affrontare. Non fosse perché è il club con più soldi e più giocatori di tutti, dieci stranieri e sette azzurri, se non ho fatto male i conti. Oltre al promettente Giordano Bortolani che, in prestito al Manresa e tagliato dal club spagnolo, potrebbe essere benissimo il diciottesimo di un gruppo che avrà anche tre fenomeni temporaneamente fuori uso, più l’affaticato Datome con l’influenza, ma che, bene o male, ne deve sempre spedire almeno un paio in tribuna. Tanto che mi chiedo: doveva proprio il Tricacriciuto acquistare anche Timothè Luwawu-Cabarrot, il francese d’origini congolesi che nella passata stagione è stato compagno di squadra di Danilo Gallinari ad Atlanta? Sì, ma solo – poche storie – se poi conquisterà quasi a mani basse l’EuroLega dimostrando d’essere il migliore allenatore del vecchio continente come sostengono i paraculi che lo circondano magari dimentichi di quello che hanno vinto in questi ultimi anni Sergio Scariolo, Ergin Ataman e Dimitri Itoudis. O anche solo fingendo d’ignorare per esempio che lo starting five dell’Olimpia che venerdì ha incrociato le lame a Kaunas col generoso Zalgiris, uscendone ferita e sanguinante, era formato da Kevin Pangos, Devon Hall, Deshaun Thomas, Nicolò Melli e Kyle Hines. Che tutti e cinque insieme non guadagnano meno di dieci milioni puliti (esclusi i diritti d’immagine) con i quali almeno la metà delle squadre di serie A disputerebbero come minimo quattro o cinque stagioni coi controfiocchi.

Meglio così. Perché non mi capacito all’idea che, giornalai a parte, la gente che non è di Milano non possa più vedere il Messi(n)a neanche con il binocolone di Amadeus e non abbia di lui pietà nemmeno vedendolo faticosamente arrancare con la croce in spalla verso il Calvario (nella foto, ndr). E non parlo dei tifosi virtussimi ingrati, ma dei suoi stessi colleghi di lavoro, allenatori o presidente, che per la maggior parte mi telefonano il giorno successivo alle sue cadute sempre più frequenti (anche di stile) non nascondendo d’essere particolarmente felici e contenti, ma non trovando mai la mia completa solidarietà. Perché in fondo l’Ettore che conosco da mezzo secolo, o giù di lì, e che raccomandai all’avvocato Gigi Porelli perché lo prendesse nella Virtus allenata da Sandro Gamba, quando era l’assistente di Massimo Mangano che da Mestre l’aveva portato con sé a Udine, era un bravo ragazzo, molto carino ed educato. Simpatico e sempre d’ottimo umore. Senza grilli per la testa. E tale è rimasto. Generoso e altruista. Non accentratore di poteri forti o collezionista di poltrone. Mai una parola fuori posto. Mai mostrando insofferenza verso la stampa. Mai un’offesa agli arbitri. Checché ne possiate dire e pensare. Anche se a volte fa di tutto per apparire l’esatto contrario. Riuscendoci per la verità non bene ma benissimo.