Cos’era la LegaBasket con Gianni De Michelis presidente

press

La voce tremula come la mano. Eccoci qua, caro Franco, dice, rassegnato e commosso, Giampiero Galeazzi ricordando dal divano di casa l’amico che ha perso e con il quale, insieme, aveva condotto l’edizione dei cinquant’anni della Domenica sportiva. “Grazie a te che sei stato un ottimo collega e un buon professionista, veramente uno da tenere sempre come modello ed esempio per i giovani della nuova redazione della Rai. Però soprattutto eri un mio grande amico”. E intanto scorrevano le immagini della festa commentata in diretta proprio da Franco Lauro per quella insperata finale di Parigi che gli azzurri di Boscia Tanjevic avevano vinto nel 1999 contro la Spagna. “Un sogno che s’avvera: sedici anni dopo Nantes, l’Italia torna sul trono d’Europa. Una serata memorabile”. Urlava anche lui. Come no. Ma senza essere maleducato, irritante o eccessivo. Come qualcun altro che conosciamo benissimo. Mentre Gianluca Basile saltava in braccio a Andrea Meneghin e Carlton Myers si teneva stretto il pallone e lo baciava. Come Charlie Caglieris nel 1983. La felicità di Franco nel dolore del Bisteccone sofferente: a volte la vita rovescia le parti e ti lascia senza parole. Che ha invece trovato Stefano Michelini pescando, meglio di altri, dal profondo dell’anima. “Appena prima della chiusura per coronavirus andai a prenderlo all’uscita della Rai dopo un programma serale. Facemmo una lunghissima camminata notturna per il centro di Roma. Era contento di lavorare nel calcio”, ha confessato Michelini a Enrico Schiavina. Forse. Chissà. Dici? Io non ne sarei troppo convinto. Nel basket Franco era diventato, sgomitando, il numero uno nella tivù di Stato. Nel calcio invece l’avevano anche lasciato a casa dai Mondiali del 2014 facendolo scendere dalla scaletta dell’aereo che sarebbe volato in Brasile e spedendolo in vacanza (obbligata) in Sardegna. Emarginato dall’evento – credetemi – Franco ci era rimasto da cani. Gli telefonai infatti quell’estate temendo per il cuore che certe brutte botte non le riesce ad assorbire facilmente. Io ne so qualcosa, gli dissi, quando un taglia teste di nome Luigi Randello, che chiamavo Manganello, se non peggio, mi fece fuori dal Giorno solo perché ero inviato speciale e avevo uno stipendio abbastanza buono. A quarantott’anni. E mi venne un coccolone, ma Franco non mi volle ascoltare. Anzi, cambiò in fretta discorso. Come cambiò dopo non molto il capo della sua redazione. E così tornò in pista. Sembrava forte, si sentiva ancora un toro. Ero io, piuttosto, il vecchio pre-pensionato in depressione o, meglio, l’immuno-depresso come si dice adesso. Da allora non ci siamo più sentiti. Forse perché non avevamo più nulla da dirci. Però nei ricordi che adesso tornano vivi c’è anche questa foto del settembre 1990 a Cortina d’Ampezzo che Leonardo Iannacci con la maglia numero 14 mi ha postato. “Forse ce l’hai scattata tu”, ha aggiunto. Può darsi. E’ la squadra dei giornalisti di pallacanestro che sfidarono i dirigenti dei club di serie A nella piccola palestra ai piedi del paese vicino ai campi da tennis e al cimitero. Gianni De Michelis, presidente della LegaBasket e ministro degli esteri nell’ultimo governo Andreotti, aveva voluto e ovviamente offerto quel generoso incontro con la stampa di tre giorni e tre notti all’hotel de La Poste. Il quattro stelle nel centro che, tanto per capirci, ha fatto recentemente causa alla Cina chiedendo i danni per il Covid-19. Altri tempi. Trent’anni fa De Michelis sponsorizzò la Lega con dieci miliardi di lire a campionato per cinque stagioni. Il suo Richelieu era l’avvocato Gigi Porelli, la Scavolini Pesaro del debuttante Sergio Scariolo e di Darren Daye vinceva lo scudetto e la Knorr Bologna del rookie Ettore Messina e di Ray Sugar Richardson la Coppa Italia e la Coppa Saporta (oggi EuroCup). Il ministro atterrò con l’elicottero davanti al Camineto di Rumerlo come l’avvocato Gianni Agnelli in Vacanze di Natale e con lui pranzammo nella terrazza dello chalet di quel luogo incantevole che è il lago Ghedina tra i boschi del Col Drusciè. Tornando alla foto, che sarà meglio, ed evitando così un impietoso confronto con la Lega d’oggi che fa acqua da tutte le parti e non ha un soldo, uno straccio di sponsor o mezza idea se non quella d’aumentare il numero delle stelle straniere per far contenta la Milano di Armani che potrebbe anche per la verità giocare solo l’Eurolega rinunciando alla serie A e ai giocatori italiani e così evitando che Giannino Petrucci si strappi gli ultimi capelli e faccia pure lui irrimediabilmente arrabbiare Gesù Cripto Eleni. Tornando alla foto, stavo dicendo, Franco Lauro ha la maglia con il sei tra Lorenzaccio Sani (numero 9, voto 10) e uno dei gemelli Viberti. Paolo (Tuttosport) o Giorgio (La Stampa)? Credo Giorgio. C’erano anche, riconoscibilissimi e accosciati, Enrico Campana (Gazzetta) e l’immarcabile Mabel Bocchi che all’epoca lavorava per la Rai. Mentre i coach erano Mario Arceri (Corriere dello sport) e Gabriele Tacchini (Ansa). C’era pure Luigino Maffei (Gazzettino, n.12). Dovevano ancora nascere Tele+ e la Banda Osiris. E si stava di un bene, ma di un bene, che non ne avete nemmeno la più pallida idea. Virginio Bernardi allenava la Jollycolombani Forlì che con lui era appena stata promossa in A1. E il suo compare di nozze, Cicciobello Tranquillo, che già strillava nella culla come un ossesso, e non avrebbe purtroppo più smesso, non era stato invitato a Cortina per non fargli fare brutte figure davanti a De Michelis. Mentre Marco Aloi, promettente ragazzino con i riccioli, cercava sin da allora quello sponsor per l’attuale Lega che non ha ancora trovato. Antonella Clerici si era da poco sposata con Beppe Motta, ma tutte le sere li sentivi baruffare in camera tanto che la loro imminente separazione non era più quotata dai giornalisti che, per arrotondare lo stipendio, facevano di notte i bookmakers. Pure Gianni De Cleva e Franco Lauro erano cane e gatto come oggi Ettore Messina e Luca Baraldi. E difatti il triestino l’ha onestamente riconosciuto nel suo sincero coccodrillo su Facebook: “Sarei ipocrita se dicessi che ci volevamo bene: nella lunga esperienza professionale vissuta insieme abbiamo litigato mille volte e ci siamo detti di tutto. Questa è la pura verità. Avremmo volentieri anche usato il microfono per sbattercelo in testa se non fosse servito per commentare qualche centinaio di partite di basket. Ti perdono, perdonami”. Ma ora vi chiedo: al basket è servito di più Franco, che provava a coinvolgere tutti perché sapeva di non essere un tecnico e per questo ascoltava e lasciava spazio agli altri, o gli iniziati che se la tirano per dimostrare quanto sono bravi ai soliti quattro gatti del nostro piccolo mondo? La domanda non è mia, anche se molti aficionados avrebbero scommesso che lo fosse stata, ma di Stefano Michelini in chiusura del suo arguto ricordo. Al pari di quello di Luca Maggitti da Roseto sul suo blog: “Franco era umile, gentile e disponibile. Per questo mastico amaro ripensando ai troppi chierici – servitori sull’altare del basket “che uno più è astruso e lo capiamo solo noi, meno è visto e più è figo” – che lo bacchettavano ovviamente nel chiuso silenzioso di certe sagrestie”. Con chi poi ce l’avessero non dovete chiederlo a me, ma se appena ne masticate un cincinin di pallacanestro televisiva dovreste averlo senz’altro intuito. Sperando che l’abbia capito soprattutto Umberto Gandini, presidente di Lega dal 9 marzo, al quale ho promesso d’aggiornare la lista dei 100 Banda Osiris e lo farò nei prossimi giorni. Ma intanto cominci a pensare se è peregrina l’idea di bussare alla porta dell’amico Adriano Galliani e di regalare a Mediaset la diretta su Italia 1 nel tardo pomeriggio del sabato o della domenica dell’incontro clou della giornata di serie A. Perché il nostro basket ha bisogno per rinascere di una priorità: una tivù ammiraglia in chiaro per vederci più chiaro. Contemporaneamente scappando dalla tomba di Sky, in cui hanno cacciato la nostra nazionale, e strappandola di mano all’Auro Bubarelli del Carroccio che la sta stritolando su Raisport.