Milano teme Venezia e infatti non le dà neanche M’Baye

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Una volta c’era il 4+4 di Nora Orlandi. Vi ricordate? No, forse siete troppo giovani. Era un gruppo musicale degli anni sessanta nato in quattro: 2+2. Ma litigavano spesso tra loro, come oggi la Fip e la Lega, la Fiba e l’EuroLega, e il marito dell’Orlandi suggerì allora alla moglie che era la direttrice del coro: “Loro lasciano? E tu raddoppia”. E così fu. Sanremo, Un disco per l’estate, Canzonissima, Gran Varietà e Fantastico: un successo dietro l’altro. Ora venerdì prossimo il Consiglio federale approverà il 6+6 o, alternativamente, il 5+5. E non vi sto neanche qui a spiegare la differenza dal momento che persino io faccio fatica a capirla e già tutto l’ambaradan è un casino tremendo. In apparenza ha dunque vinto la Lega di Egidio Bianchi e Livio Proli. Che onestamente avrebbe preferito la luxury tax e un mercato addirittura libero. Tanto a lui i soldi non mancano. Ma comunque il 6+6 può andargli ancora bene. Avendo già quattro italiani: Cinciarini, Abass, Pascolo e Cusin. Più Fontecchio in prestito a Cremona e un sesto che con uno schiocco di dita, se solo volesse, potrebbe quest’estate portare a casa pagando alla Reyer un buy-out neanche troppo pesante. Ora il nome e il cognome dell’oggetto dei desideri di Milano non credo sia difficile da indovinare. Ma non lo faccio. Perché ho i miei buoni motivi e non posso sempre proprio dirvi tutto. Però attenzione: l’Armani brucia i nostri giovanotti come benzina sul fuoco. E non vorrei che pure Stefano Tonut si smarrisse in quel crocevia di stranieri che vanno e che vengono. E ne rimanesse anche lui scottato. Come successe persino a Nicolò Melli. Bocciato da Gelsomino Repesa e ripudiato da mezza Italia. Tanto che dovette riparare in Germania al Bamberg dello scaltro Gas Gas Trinchieri. Riprendendo il toro per le corna, il 7+5 modificato in 6+6 dà sempre e comunque per somma 12. E quindi cambia poco o nulla. Se non in peggio se guardi questa storia (di Sior Intento) con gli occhi di Giannino Petrucci e della nazionale. Che è l’unica cosa che pare gli interessi. A meno che Giovanni Malagò non dimezzi, come ha detto promesso e quasi minacciato, i visti per la pallacanestro e allora la musica sarebbe assai diversa. E la partita sarebbe così vinta dal Palazzo. Perché in tal caso gli stranieri per ogni squadra di serie A non potrebbero essere nemmeno sei. Dal momento che 6×16 fa quasi cento. E tra un anno e mezzo 6×18 farà più di cento. E cento potrebbe essere proprio il tetto dei visti che il Coni metterebbe al massimo a disposizione di tutto il movimento. A2 compresa (con tre promozioni). Ci siamo capiti? Non molto, ma non importa. Resta il fatto che oggi come oggi la quota degli americani è di tre per club e, se ce n’è uno in più, si accomodi pure in tribuna. Mentre dalla prossima stagione il numero massimo salirà a sei e potrebbero essere tutti a stelle e strisce: cinque sul parquet e uno di riserva in panchina. E i sei italiani? Di questi giocherebbero in due o tre a farla grande. Se sono Aradori e i fratelli Gentile. Come adesso. O Cervi e Della Valle. Sempre che Riccolino non vada alla Virtus. Ma non ci credo, come si augura Luca Baraldi, perché non c’è sport al mondo nel quale si giochi con tre palloni. Dite la verità: continuate a capirci poco. Neanch’io se è per questo. Ma non mi arrendo e vi faccio un ultimo esempio. Venezia sta cercando di sostituire Orelik, che si è spezzato il tendine rotuleo, con un’ala forte perimetrale che sia però comunitaria. Perché già Johnson, Watt e il rientrante Jenkins hanno lo status d’americani. E la Reyer ha solo un visto ancora a disposizione e lo vorrebbe magari utilizzare al tempo dei playoff. Come ha fatto l’anno passato con Julyan Stone e, se non con lui, con un altro crack d’oltreoceano. E difatti Federico Casarin non ha neanche preso in considerazione l’ipotesi Austin Daye, il figlio di Darren che da Pesaro per altro si è portato a Gerusalemme la fama di scavezzacollo, e piuttosto ha bussato alla porta di Proli. Che, più che amico suo, è del giaguaro. Chiedendogli Amath M’Baye che è francese. Anche se di origini senegalesi. E pensando magari di fargli un favore. Visto che M’Baye domenica al Forum proprio contro la Reyer era seduto in tribuna e in EuroLega porta la borsa a Kuzminskas e gioca una mezza dozzina di minuti più di Marco Cusin, gran collezionista di n.e. (non entrato, ndr). Ebbene l’Innominato di manzoniana memoria gli ha risposto picche. Ovvero “non se ne parla nemmeno”. Forse temendo che i campioni d’Italia di Napoleone Brugnaro gli possano portar via un altro scudetto se non addirittura la prossima Coppa Italia di Firenze? E’ possibilissimo. E quindi, d’ora in avanti, non domandatemi più perché il nostro è il campionato di Cacasotto e Cacasenno. Almeno questo lo avreste dovuto aver capito.