Le finali di SuperLega, l’ultima buffonata del nostro basket

umana

Non avevo la minima intenzione di scrivere di pallacanestro né oggi, né domani, né chissà quando. Mi era francamente passata la voglia se anche dopo l’appetitosa Olimpiade degli azzurri a Tokyo conquistata da cinque, sei baldi giovanotti di buona volontà che da MaraMeo Sacchetti erano stati spesso messi da parte e rispediti a casa, non è cambiato assolutamente nulla nel nostro basket dei prepotenti e dei bugiardi, di una Lega delle società che è persino peggio di quella di Salvini, Zaia e Giorgetti, ma soprattutto degli ipocriti e dei buoni da niente che non sono soltanto i padroni del vapore, molto più sciocchi che ricchi, ma anche quelli che di mestiere si vantano di fare gli allenatori o i manager di serie A e s’offendono se di loro non parli bene quando al massimo della prima categoria ne salvo la metà e della seconda non più di quattro o cinque. Ma come posso star lo stesso zitto quando vedo certe cose che ti fanno drizzare i capelli e ti mandano in bestia? Delle quali nessuno dice niente semmai precipitevolissimevolmente girandosi dall’altra parte. Perché nello sport, se non ve ne siete ancora accorti, ve lo posso tranquillamente affermare io che da anni non prendo un euro da nessuno al mondo e sono augello come il passero solitario del Leopardi: non esiste più la libertà di stampa perché quei pochi giornalisti che ancora hanno il posto fisso se lo tengono ben stretto come Checco Zalone soprattutto nei giornali di Urbano Cairo. Dove nessuno si sogna d’alzare un dito sul Torino e men che meno sul suo presidente pur contestatissimo dal 98 per cento dei tifosi granata. Lo sapevate? Sicuramente no. Dal momento che nessuno l’hai scritto e manco verrà mai in mente di farlo se tieni famiglia e se devi mantenere pure l’amante molto esigente. O forse sulla Stampa e adesso anche sulla nuova Repubblica di John Elkann pensate che qualcuno osi dire peste e corna della Juventus di Andrea Agnelli che pure negli ultimi due anni ne ha combinate di cotte e di crude accumulando un passivo record di 210 milioni di euro come ho letto stamattina in prima pagina sulla Gazzetta del più odioso degli anti bianconeri? Il quale ha stabilito che le squadre di seconda fascia e tutti gli altri sport che non sono il calcio possono trovare spazio sul suo quotidiano sportivo soltanto se l’avvenimento è davvero roboante (Olimpiadi, Mondiali, Europei). Altrimenti federazioni e leghe italiche devono sganciare qualche lauta mancetta pubblicitaria se vogliono che si parli delle loro attività. Come nello speciale d’oggi di presentazione delle Final Eight di SuperCoppa da Bologna. Dove delle quattro pagine rosa dedicate all’evento una è solo una sfilza di sponsor dietro l’altro, cominciando da Discovery+ che pare molto interessato ad entrare nel basket-tv e mi sembra ancora più fuori di Unahotels, hospitality partner, che a Reggio Emilia attraverso il vicepresidente di Unipol Sai, Enrico San Pietro, va supportando una squadra al risparmio che potrebbe quest’anno sul serio retrocedere se Alessandro Dalla Salda non avesse scelto come allenatore lo stakanovista Artiglio Caja e se la presidentessa Veronica Bartoli, a cui non mancano di certo le possibilità economiche, a San Pietro e Paolo non toglierà il prima possibile il giocattolo dalle mani. Sia chiaro: non scrivo da qualche giorno di basket e dovrei aver fatto ormai il callo alle porcherie che sento raccontare sul suo conto, ma ugualmente lo seguo assiduamente ed è difficile che mi sfugga qualcosa che mi vorrebbero tener nascosta. Come il felice matrimonio tra l’Armani e l’Umana che è saltato in aria dopo parecchio tempo e che costerà all’azienda di Luigi Brugnaro diciamo dai dieci ai dodici milioni all’anno di fatturato. E tutto perché, mi hanno sussurrato ad un orecchio ma stento quasi a crederlo, Stefano Tonut è rimasto contro voglia alla Reyer e non è passato alla corte di Erode Messi(n)a. Al quale nessun giornalista ha osato chiedere durante tutta l’estate se per caso lo scudetto perso per 4-0 con la Virtus, che insomma gli ha infilato addosso in piena estate un bel cappottino caldo caldo, non sia stata soprattutto colpa sua e del suo terribile carattere, ma ancora di più del fatto che per voler fare tutto lui e cioè contemporaneamente due mestieri, quello dell’allenatore e quello del presidente-manager, ha finito per far male entrambi e per baruffare con mezza squadra. Soprattutto con Gigi Datome. E ditemi che non è vero. Perché se mi tirate a cimento, e non a cemento, come direbbe l’ultimo assunto tra i giullari telecronisti di Eurosport Player che si chiama Michele e di cui presto scoprirò pure il cognome, potrei anche svelarvi della vicenda gli sgradevoli particolari. Gigione comunque, se non fosse attaccato ai soldi ancor più di Danilo Gallinari, sarebbe volato l’indomani di corsa tra le braccia di Don Gel Scariolo. Il bello è che il brutto episodio tra Messina e Datome, scoppiato al termine della passata stagione, è noto al mondo intero, ma è rimasto nell’orticello milanese affinché non capiti quel che è successo al povero Mario Canfora, il mio caro C10H16O della Gazzetta dello sport, che per aver osato scrivere illo tempore con entusiasmo che Giannino Petrucci avrebbe fatto fuori MaraMeo Sacchetti subito dopo il preolimpico di Belgrado sostituendolo con Ettore Messina come era ormai noto al mondo intero, è stato dirottato qualche giorno dopo al basket femminile e, se fa il bravo, al golf sui green della capitale. Come vedete, sono sempre sul pezzo e, se voglio, ce ne ho per tutti senza aver paura nemmeno del diavolo. A 72 anni, con il mieloma: ci mancherebbe altro. Mi sentirei un pavido vigliacco. Però adesso vi spiattello quello che nelle ultime ventiquattr’ore mi ha fatto saltare veramente la mosca al naso dopo essere stato ieri sera a Villorba per vedere l’ultimo assalto della Nutribullet, ex De’Longhi, che poi sono la stessa azienda, alla conquista di un posto in Europa. Che ha fatto suo giocando tre partite in cinque giorni dopo le quattro di qualificazione di SuperCoppa in una settimana e vincendone sette su sette. Per dirvela tutta mi sono anche emozionato. E non poco. Come del resto è successo a Paolo Vazzoler e a Max Menetti che si sono abbracciati fortissimo sul parquet a fine partita. E, se ne non capite la ragione, adesso anche ve la spiego, ma restate dei somari e siete fatti di ghiaccio come Vincenzo Di Schiavi che oggi sulla Gazzetta ha semplicemente scritto: “l’Olimpia attende Treviso in campo meno di 20 ore dopo il successo sul Minsk (95-78) che ha dato ai veneti l’accesso alla Champions” senza scandalizzarsi neanche un po’ del fattaccio e semmai dimostrando d’avere a cuore solo le sorti della Milano di Dell’Orco, un altro che calorosamente vi raccomando, e di non amare invece la pallacanestro come quella di Treviso che avrebbe meritato se non altro molto più rispetto. Perché Treviso Basket era morta nel 2012 dopo che Gilberto Benetton e Giorgio Buzzavo – poche storie – l’avevano voluta ammazzare. E Paolo Vazzoler con Giovanni Favaro e Andrea Gracis anno dopo anno, in nove anni, l’ha riportata in auge. Dal campionato di Promozione senza un euro in tasca all’Europa senza un euro di debito. Non so se mi spiego. In un palazzetto in festa. Entusiasta. Io ci avrei scritto una pagina. Altro che gli scontatissimi pronostici di DinDonDan Peterson: Venezia-Pesaro 77-71, Brindisi-Sassari 83-79, Milano-Treviso 91-77 e Virtus-Tortona 93-84. Che per una volta stranamente ha anche beccato dal momento che le semifinali di lunedì saranno Milano-Brindisi e Virtus-Venezia. Ma sballando in pieno lo svolgimento degli impari duelli tra Reyer e Vu Elle e tra Milano e Treviso, ma pure la risicata vittoria delle Vu Nere sulla coraggiosa matricola Tortona che a un minuto dalla sirena con una tripla di Filloy si è avvicinata a due punti dai campioni d’Italia che hanno giocato con una palla al piede di nome Belinelli ed erano magari sotto shock per il grave infortunio al ginocchio (tendine rotuleo?) capitato al povero Epke Udoh. Solo tra le mediocri HappyCasa e Banco di Sardara c’è stato un filo di suspense, ma proprio un cincinin: per il resto è stata una SuperCoppa di una noia mortale e di un livello molto basso che ho seguito a spizzichi e bocconi dopo che il primo tempo tra Venezia e Pesaro si è chiuso sul 45-14. Non è un refuso, avete letto bene: 45-14. O kappa la Reyer di Walter De Raffaele, tra tutti Echodas (nella foto), a parte Mazzola, ma la squadra di Petrovic è stata davvero ridicola con quei due brasiliani, Pacheco e Demetrio, recentemente idolatrati da Mamma Rosa, la consorte di Papà Urbano, che Aza si è portato dal Brasile probabilmente perché sono buoni polli da spennare a ramino, la sua grande passione. Ma il vero scandalo è stato un altro e cioè che una sola società su quindici, Venezia, ha votato a favore di Treviso che non chiedeva la luna, ma di poter rinviare il duello con l’Armani di ventiquattr’ore o la finale dell’evento a mercoledì visto che il campionato non comincerà prima di sabato. Non posso invece pensare che il Messi(n)a potesse temere una squadra pur sbarazzina in attacco come è quella di Max Chef Menetti e comunque per non correre alcun pericolo di sorta ha preferito che Delaney, Shields, Datome, Melli e Hines, una decina di milioni d’euro d’ingaggi da spartirsi tra loro cinque quasi in parti eguali, se la vedessero nel primo quarto con le giovani seconde linee Casarin, Bortolani, Poser, Chillo e Jones che in verità non hanno sfigurato, anzi, (15-14 al 5’ e 20-24 all’8’) e successivamente con i 18enni Alessandro Buzzavo, nipote di Giorgio, e Edoardo Ronca, oltre che con i 17enni Faggian, Vettori e il 16enne Pellizzari opposti a Chacho Rodriguez e compagni. Infatti Menetti, vuoi per orgoglio, vuoi per non essere preso per i fondelli, ha giustamente tenuto a riposo in tribuna Russell, l’ottimo Sims e il buon  Dimsa e accanto a sé in panchina Michal Sokolowski e Nicola Akele che ieri contro Minsk aveva dato di nuovo spettacolo con uno straordinario 5/6 nelle triple. Ora è finita come è finita, tanti a pochi, non m’interessa nemmeno saperlo, ma è possibile che a nessuno, dico a nessuno, non dico alla tremebonda Cicchiné o al damerino Bagatta, ma nemmeno ad Andrea Meneghin, sia saltato in mente di dire che la Lega è stata vergognosa ad imporre a Treviso di giocare con l’Armani oggi a metà pomeriggio all’Unipol Arena nemmeno venti ore dopo la conquista della Champions al Palaverde? Posso dire? Lo dico: mi fate tutti una gran pena. E non venitemi più a raccontare che amate la nostra pallacanestro perché vi mando ad uno a uno a quel paese così almeno vedrete quanta gente che ci sta e quanti ce ne ho già spediti io.