E ora si sparino pure quelli che ce l’avevano con Allegri

juve inter

Non chiedetemi niente di ciò che è successo in questo ultimo fine settimana perché non so niente. O quasi. Né di basket, né di calcio, né tanto nemmeno di Giorgia Meloni che pure non c’è tiggì nel quale la sua facciotta nera (di bella missina) non riempia tutto lo schermo della mia smart-tivù da 36 pollici che non è poi neanche tanto piccina se misura 73 per 55 centimetri. Del resto non vedo un tiggì da almeno una sessantina d’ore e, nonostante questa immane disgrazia, sono riuscito lo stesso a sopravvivere. Né da sabato sfoglio un giornale: eppure ogni mattina, intorno alle sette e mezza, me ne infilano almeno quattro con tanto d’inserti sotto al portone. E comunque ho risposto al telefonino solo agli amici che conoscono benissimo la mia balzana abitudine del lunedì. Che è poi quella di non volere che m’anticipino in alcun modo i risultati delle partite che non ho trovato il tempo di vedere, neanche in registrata, durante il week-end. E dunque di cosa potrei scrivere oggi? Di Gigi Riva per esempio. Che compie 78 anni e non lo sento da almeno venti, ma preferisco non dividere ancora con nessuno gli splendidi ricordi che ho di lui se non in un libro e la stima che spero d’avergli sempre dimostrato nelle piacevoli e serene interviste che gli ho fatto dopo che aveva smesso di segnare un mare di gol nel Cagliari e in nazionale (ben 35). Aspettando di poter presto vedere il film documentario di Riccardo Milani, “Nel nostro cielo un Rombo di tuono”. Che è da oggi nei cinema della sua Sardegna e di cui la brava Elivira Serra sul Corriere ha già parlato molto bene: “Perché Milani è riuscito nell’impresa, titanica, d’entrare in punta di piedi nella casa cagliaritana di Giggirriva per restituircelo con misurata dolcezza nella sua fragilità e autenticità di oggi, nei silenzi, nel riserbo, nella timidezza, nella nuvola di fumo che avvolge la sua poltrona bianca accanto alla finestra, nelle poche parole con cui ricorda e si racconta, nella lealtà di una vita lontana dalla ribalta, dai locali alla moda, dalle spiagge griffate”. Applausi.

Di Juve-Inter sino a mezzogiorno d’oggi avevo visto così solo il primo tempo che, se devo essere sincero, non mi aveva nemmeno particolarmente eccitato. Al contrario di Pierluigi Pardo che stravede per l’Intertriste del piccolo Inzaghi e per il quale impazzisce Aldo Grasso senza francamente capirne il motivo: forse perché il GattoPardo, come del resto lui (granata sfegatato) e come Righetto Sacchi, un altro di buono, non può vedere Max Allegri e la sua Signora. Poi però, dopo pranzo, e prima d’inventarmi di scrivere qualcosa di palla nel cestino, magari, non so, su Andrea Bassani (Bassani chi? massì, Jena ridens) o sul povero Giannino Petrucci stregato dall’innominabile Trinacriciuto più dell’amore di Cher e Nicolas Cage per la luna, mi sono seduto in poltrona e sono rimasto incantato dalla straordinaria prestazione nella ripresa della squadra di Max Allegri che ha sbranato la sua storica rivale con un 2-0 che poteva essere benissimo un più equo e tondo 3-0 se di nuovo il Var, come già contro la Salernitana, ricordate?, non si fosse inventato d’annullare un validissimo gol ai bianconeri con la complicità dell’arbitro romano Daniele Doveri (nella foto satirica, ndr). Al quale l’imparziale figlio di Mamma Rosa, Matteo Dalla Vite, s’è affrettato a dare comunque 6 e mezzo in pagella perché, ha spiegato agli incolti, “il gol di mano (oltre che di villano) fortuito di Danilo non ha valenza, né il fatto che quella mano venga trattenuta da De Vrij conta per il regolamento”. Quindi giovedì potremmo tranquillamente vedere Bremer o Bonucci mano nella mano in area con Henry come due fidanzatini in passeggiata nel parco senza che nessuno si sogni di fischiare un calcio di rigore in favore del Verona. Ma mi faccia il piacere!

Nel pomeriggio sono venuto anche a sapere per sbaglio che sabato Treviso ha battuto Brescia e che Brindisi ha strappato di dosso l’imbattibilità a Tortona, e sarei un bugiardo se vi dicessi che i due risultati a sorpresa mi sono dispiaciuti nonostante abbia un debole risaputo per Amadeus Della Valle e Alessandro Magro o per Merendino Ramondino e JP Macura. Ma è da un sacco di tempo che non mi occupo di calcio e quindi voglio chiudere il mio pezzo quotidiano con l’Acciuga livornese al quale i tifosi bianconeri ingrati vanno rompendo le palle come minimo dall’inizio dell’anno. Sostenendo che la squadra gioca male, ed è verissimo, ma addossando tutte le colpe di una stagione nata sotto una cattiva stella a lui e non invece alla società che gli ha consegnato una squadra sbagliata oltre che molto scarsa e in mille pezzi. Ovvero sfasciata e rotta da medici dai quali non mi farei curare nemmeno un raffreddore. Ora non c’è da farsi illusioni: farà fatica la Juve a conquistare il quarto posto. Ma non potete non considerare che ha vinto le ultime quattro di campionato con metà titolari fuori combattimento. Dagli ultimi (presunti) rinforzi, Ciccio Paredes, più grasso di una mucca nella stalla, a Paul Pogba, Nostalgia Canaglia, che dovevano essere lasciati nei club dov’erano l’anno passato. Da Di Maria che – poche storie – è solo da prendere a calci sul sedere a Chiesa che non certo colpa sua, ma ha giocato nel 2022 in tutto nemmeno un’oretta. Per non parlare d’un esterno sinistro che Allegri non ha da due stagioni o di Mc Kennie che, se manca, nessuno comunque se ne accorge ed è forse meglio che così sia. In più contro l’Inter l’allenatore livornese ha dovuto schierare come seconda punta Miretti alle spalle di Milik, non so se mi spiego, perché non aveva nemmeno Vlahovic e addirittura Kean accanto a sé in panchina. Roba da spararsi. Come dovreste fare tutti voi, denigratori da due soldi di Allegri, cinque scudetti in cinque anni e due finali di Champions. Prima che v’inviti con le buone o con le cattive ad occuparvi piuttosto di calcio balilla o di tressette con il morto.