Baratterei la vittoria di Berrettini con quella di Mancini

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Non sarà la prima e neanche l’ultima volta che farò arrabbiare più di qualche italiota, ma se devo essere sincero sino in fondo non è che la cosa m’inquieti al punto dal mordermi la lingua e cambiare in fretta il tiro della mia provocazione quotidiana. Anzi. Dico solo che, se mi chiedessero di scegliere tra la vittoria di Matteo Berrettini (nella bella foto) a Wimbledon dopo pranzo e quella degli azzurri di Roberto Mancini a Wembley dopo cena, non ci penserei sopra manco mezzo secondo e risponderei d’emblée a occhi chiusi: tutta la vita il trionfo del meraviglioso romano del Nuovo Salario su Novak Djokovic. E non perché ce l’abbia con l’Italia del pallone o con il commissario tecnico che in verità mai avrei pensato potesse diventare così alla mano, oltre che bravo, per il Vanesio che era quando giocava nella Sampdoria o allenava l’Inter e poteva piacere solo a Bombolone Condò o a quel villano di Lele Adani che, se vuole, lo potrei sempre anche raccomandare a Max Allegri per un posto d’aiuto magazziniere nella Juventus. Ma perché sono di palato fino e preferisco il tennis al calcio, il verde di Wimbledon al prato di Wembley, un rovescio incrociato ad un dribbling secco, il popolo eletto e composto del Centre Court a quello scamiciato dei londinesi che hanno fischiato l’inno nazionale tedesco negli ottavi di finale. O, se preferite, perché nessun azzurro, neanche Federico Chiesa o Giorgio Chiellini, m’appassiona come il Matteo che ha poco o nulla del romano classico, tronfio e vistoso, e niente di niente del coatto alla Fabio Caressa che ha imparato a urlare sguaiato come Ciccioblack Tranquillo nelle partite del circo americano di basket. In più mi spaventano gli assembramenti delle giovani bestie davanti ai maxischermi e le gazzarre che scoppieranno senz’altro nelle piazze del Bel Paese nel caso in cui gli azzurri dovessero battere come spero – questo è comunque scontato – gli inglesi di Boris Johnson che è il Matteo Salvini de noialtri, cioè il peggio del peggio dei politici in Europa allo stesso (basso) livello dei Viktor Orban e dei Vladimir Putin. Dovesse invece vincere Berrettini, per il quale non è difficile avere un debole, perché è un ragazzo bello, educato, intelligente, ha il servizio e il diritto che sono uno spettacolo, e non eccede nell’esultare quando anche gli riesce un gran colpo, al massimo ci sarà qualcuno davanti al piccolo schermo, come è successo a me, e non mi vergogno di confessarlo, l’altro giorno nel match di semifinale con quell’osso duro del polacco Hubert Hurkacz, che si potrebbe di nuovo commuovere in silenzio nel cielo della sua stanza godendo come un matto. E’ poi scontato che in questa calda domenica di luglio sarà molto più ostico per Berrettini battere il numero uno al mondo e già cinque volte trionfatore nello Slam sull’erba, che per Donnarumma, Di Lorenzo, Bonucci, Chiellini, Emerson, Barella, Jorginho, Verratti, Chiesa, Immobile e Insigne, il mio Lorenzo Insigne, conquistare il titolo di campione d’Europa. Anche se la nazionale di Gareth Southgate, che mi va parecchio a genio, posso?, gioca nel suo tempio e tra la sua gente, Pickford sinora ha beccato solo un gol su calcio di punizione e Harry Kane si fa preferire in attacco a Ciro Immobile. E quindi tra le due imprese si fa preferire quella più impossibile. Cioè che un italiano vinca a Wimbledon per la prima volta in 144 anni. E dunque “Forza Matteo”. Anche perché “Forza Italia” mi spiace: non ce la farò mai a gridarlo pensando subito al Pregiudicato d’Arcore e ai suoi stallieri mafiosi. Ha scritto bene in prima pagina Dario Cresto-Dina, il vicedirettore di Repubblica, anche se ho invano sperato che lo avesse potuto ancora scrivere Gianni Clerici che il 24 luglio compirà 91 anni ed è il più grande giornalista al mondo della storia del tennis: “Aspettavamo Jannik Sinner, per adesso è arrivato Matteo Berrettini con il suo passo tranquillo da gigante gentile. Da non predestinato”. In effetti il diciannovenne di Sesto Pusteria ha deluso pure me negli ultimi mesi ma va anche capito e non solo perché è ancora così giovane, ma perché non deve essere stato facile per lui scendere dal rifugio in Val Fiscalina, dove il padre fa il cuoco e la madre serve a tavola, e prendere casa a Montecarlo. Bisogna avere la tenacia di un Berrettini, al quale per fortuna nessuno ancora ha storpiato il cognome, che solo due anni fa negli ottavi giocò per la prima volta nel campo centrale di Wimbledon e beccò una solenne batosta (6-1 6-2 6-2) da Roger Federer. Della quale fece tesoro e dalla quale ha preso lo slancio per credere oggi di poter persino battere in finale il The Joker che rincorre il Grande Slam che nessuno ha più conquistato dal 1969 dopo Rod Laver, il magnifico mancino australiano per cui impazzivo da ragazzo come per Giggi Riva e Pietruzzo Anastasi campioni d’Europa un anno prima all’Olimpico di Roma.