La Reyer è da finale scudetto ma non è solo Stone e Batista

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Give me five. Non ci penso nemmeno. Perché, se devo dargli un voto da uno a dieci, io gli do il massimo: dieci. E, se c’è la lode, pure quella. Per tre volte infatti quest’anno ha battuto Avellino che è il club più ricco d’Italia. Milano a parte. Tre volte su tre. E due volte in casa dei lupi. E’ secondo in classifica nonostante un febbraio terribile. E’ nei quarti di finale della Champions. Pur non avendo praticamente mai potuto utilizzare il suo gioiello. Che sarebbe? Stefano Tonut. O ve ne eravate forse dimenticati? E comunque lo sapete come sono fatto: non conosco le mezze misure dallo stesso momento in cui sono diventato un manicheo incallito. Se poi non sapete cos’è il manicheismo: peggio per voi. Non ho il tempo adesso di spiegarvelo. Però vi posso sempre consigliare un buon vocabolario: lo Zingarelli. Oppure vi presto il mio. Così andate anche a guardarvi il significato dei verbi “matchupparsi” o “rollare” dei quali si riempiono la bocca Bibì e Bibò nei loro dialoghi tra folli su Sky durante le telecronache della Nba. Per me il sei è un brutto voto: meglio un bel quattro. Il sei è un voto da mediocri e da chi si accontenta di sbarcare il lunario. Il quattro può invece essere anche solo una giornata storta che domani magari si raddrizza e si raddoppia in un otto. Però a Walter De Raffaele, che da qualche mese col suo consenso chiamo Ray-Ban, anche se i suoi occhiali da sole per la verità sono griffati Armani, mi piace dare un bel dieci sapendo di far contemporaneamente felice anche Re Carlo Recalcati che un anno fa mi disse: “Lascio la Reyer in buone mani perché Walter è bravo e perché comunque, se anche Napoleone Brugnaro non mi avesse licenziato, era già stato deciso che avrebbe preso il mio posto nella prossima stagione”. Domenica Venezia ha asfaltato Pesaro e tutti in piedi hanno applaudito Julian Stone. Io per primo. Ma qui vorrei essere capito altrimenti non andiamo più d’accordo. Pure il vostro pennivendolo va matto per l’americano di Alexandria (e non d’Egitto) che è un playmaker atipico e quindi estroso e a volte anche geniale. Ed è anche vero che nel secondo tempo Stone ha dato la scossa ad una Reyer che stentava un po’ a decollare. Però di qui a dire che d’ora in avanti alla squadra del Pesciolino Rosso non sarà più negato alcun traguardo solamente perché è ritornato a casa Lessie mi sembra un cicinin esagerato. E comunque è un’affermazione questa che toglie molti meriti a chi ha tirato sino ad oggi la carretta e l’ha tolta dalla sabbia nella quale si era impantanata a febbraio. Quando De Raffaele ha dovuto arrangiarsi senza Filloy, che è il suoi jolly nella manica, e ha dovuto far buon viso a cattiva sorte nonostante nemmeno a lui piacesse che Haynes e soprattutto McGee pompassero la palla in quel modo. Neanche dovessero gonfiare un esercito di biciclette con le gomme a terra. In ogni caso ieri ad Avellino non c’era Stone. E neppure Battista. Che non potranno giocare i quarti di Coppa. Eppure Venezia ha spadroneggiato ad Avellino. Dove nemmeno io avrei mai pensato che potesse andare a vincere con un controllo poi della partita così autoritario e intelligente da parte di tutti. Nessuno escluso. Soprattutto di Haynes e proprio di Filloy. Oltre che di capitan Ress e Ejim. E adesso? Pure io penso che la Reyer con Stone e Batista sul parquet, Ortner e McGee in tribuna dopo i recuperi di Tonut e Hagins, possa essere da finale tricolore, ma sempre a patto che nessuno si monti la testa. Cominciando da Napoleone Brugnaro. Al passaggio del quale Venezia dovrebbe stendere un tappeto rosso e mettersi ginocchioni, ma, già che c’è, potrebbe anche prendere una corda e legarlo alla sedia sulla quale il primo cittadino di solito s’accomoda nel parterre fucsia del Taliercio. Come Vittorio Alfieri. Quello del volli, sempre volli, fortissimamente volli. Così all’intervallo il sindaco non volerebbe negli spogliatoi e la squadra rimarrebbe comunque tranquilla intorno al suo bravo allenatore.