Mai più la discesa a Santa Caterina: si torni a Bormio

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Adesso fatevi un bel segno della croce e ringraziate il cielo che tutto sia finito per il meglio. E, già che ci siete, portate anche un bel cero alla Madonna del Parco dello Stelvio. E’ stato difatti un miracolo che nessuno si sia rotto ieri l’osso del collo nella discesa di Coppa del Mondo di Santa Caterina Valfurva su quella pista tra le rocce e poi nel bosco tutta al buio, anche a mezzogiorno, e tutta curve, da far girar la zucca. A più di 150 chilometri all’ora. Ora capisco tutto. E cioè che lo sci sia in crisi e che nessuno più ne parli con entusiasmo. Che Infront sia nell’occhio del ciclone per brutte storie legate al mondo del pallone e che la Fis non sappia più dove andare a sbattere la testa nemmeno per trovare un paesino di montagna che gli metta in piedi un campionato del mondo. Che non ci siano più fenomeni e personaggi che infiammino la gente, a parte Marcel Hirscher e Lindsey Vonn, o che le piste della libera fossero ormai diventate tutte, o quasi, delle autostrade senza gobbe e senza salti. Ma c’è un limite a tutto. E capisco anche che la Valtellina non voglia rinunciare a questa gara di fine anno che è ormai diventata una tradizione come la bresaola e i pizzoccheri. Eppure, prima che finisca anche quest’anno, e non oltre, perché sarebbe già tardi, bisogna che gli organizzatori comincino a pensare di tornare nel prossimo inverno a Bormio sulla Stelvio. Dalla quale si erano dovuti separare nel Natale del 2014 non avendo trovato un accordo con i gestori degli impianti di risalita nemmeno dopo che il governatore dei lumbard, Roberto Maroni, li aveva invano supplicati in ginocchio di fare i bravi. Ammesso, e non concesso, che Gianfranco Kasper, storico presidente della federazione internazionale dal 1998, cioè dallo scorso millennio, che se l’era legata al dito, ci metta una pietra sopra e perdoni i bormini per lo sgarbo ricevuto. E capisco infine che il pericolo sia il mestiere di questi straordinari uomini jet con gli sci  ai piedi. E che lo spettacolo delle alte velocità sulla neve attragga molto di più di quello dei ballerini dello slalom. Però anche in autostrada c’è un limite: i 130 orari. E i 50 in caso di nebbia. E se non ci vedi un tubo come sulla Deborah Compagnoni? Te ne stai a casa. Al calduccio. O fai proprio come Deborah che è in vacanza a Miami e ci resterà con i figli Agnese, Tobias e Luce sino alla Befana. Di modo che salterà, manco a farlo apposta, anche gli slalom di recupero del 5 gennaio (per le donne) e del 6 (per i maschi) in programma sempre sulla sua pista a non più di due passi dall’albergo di famiglia. Che poi Santa Caterina sia uno dei posti più freddi delle Alpi, a parte Trepalle, frazione di Livigno, questo è tutto un altro discorso e al massimo diventa uno spunto per domandarvi: come si chiamano gli abitanti di Trepalle? Vi aiuto: fenomeni. Come lo è sicuramente Christof Innerhofer, uno degli svitati della discesa più simpatici e intelligenti che abbia mai incontrato nei miei incontri ravvicinati del terzo tipo con gli extraterrestri delle nevi. Provo a scherzarci sopra, perché questa è l’indole del mio blog, ma mi riesce difficile stavolta farlo quando mi viene anche da chiedermi sin dove il coraggio dimostrato ieri da Innerhofer sulla Compagnoni non si sia trasformato in incoscienza allo stato brado. E pure mi meraviglio che questa legittima, credo, domanda non se la siano posta non solo i tracciatori della terribile e ghiacciatissima pista di Santa Caterina Valfurva, o gli stessi sacerdoti del tempio della Fis, ma anche quelli che oggi hanno scritto della gara di Coppa del Mondo e che hanno parlato di discesa show del sudtirolese con la leggerezza di un elefante in un orto di fragole e more. Del resto lo stesso Paolo De Chiesa in diretta gli ha subito urlato: “Ti prego, Inner, fermati: con quel palo impigliato come una spada sulla schiena rischi d’ammazzarti”. Confessando poi d’averne viste tante nella sua vita di (buon) sciatore e di (ottimo) telecronista in giro per il mondo, ma mai così vicine alla tragedia evitata per un pelo come il drone di Madonna di Campiglio piovuto dal cielo quasi sulla testa di Marcel Hirscher. E chi se ne frega se Christof è arrivato comunque quarto e se è stato esaltante, folle, incredibile, eroico, pazzesco, unico. Io ancora tremo al solo pensiero che per sport un uomo sugli sci abbia potuto rischiare la pelle. O esagero? Non penso. Se invece volete lo spettacolo a tutti i costi, buttateli giù per un crepaccio della Cresta Sobretta e divertitevi.