4-5-6-7 aprile, da venerdì a lunedì E’ proprio sfortunato o porta davvero sfiga? Che non è bello da dire, lo so, e difatti non lo dico mai, ma in questo caso penso di poterlo fare dal momento che l’oggetto del contendere non è una bestia umana di mia conoscenza e men che meno un gufo, una civetta, un barbagianni o, peggio, un gatto nero che improvvisamente t’attraversa la strada da sinistra a destra e allora inchiodo di brutto. E lascio passare l’auto che mi segue con magari Ciccioblack Tranquillo a bordo. Ma semplicemente un giornale e, per essere più preciso, 7 (Sette), l’inserto del Corriere della Sera di Urbano Cairo e del vicedirettore (vicario) Barbara Stefanelli che ho avuto il piacere di conoscere e della quale non posso che parlar soltanto che bene.
Quanto al Ciccio nero, io vorrei, non vorrei, ma se vuoi: stavolta lo dico. Ogni qual volta Tranquillo fa una telecronaca su Sky della sua amata Olimpia impegnata in EuroLega, non c’è verso – fateci caso – che l’Armani “vinca la partita che si può non a torto contemplare come l’(ennesima) ultima spiaggia dei milanesi”. Difatti persino l’amico Ettore lo teme mandandolo regolarmente a quel paese. Che è poi l’Isola dei Conigli. Nell’arcipelago delle Pelagie. Dove pure quest’estate radunerà la sua Banda Osiris che ha ormai stufato tutti, spero anche la Lega di Umberto Gandini, per evitarle almeno la canna del gas e la plausibile estinzione. Per non parlare della piccola e tenera nazionale di Gianmarco P(r)ozzecco, chiamato dagli amici non più il Poz ma sfacciatamente Prosecco, anche se al massimo accompagna una birretta alla pizza. Il quale non vuol più vedere, come del resto il vostro scriba, “quel Tranquillo là che si è montato la testa e chissà chi si crede d’essere”. Me l’ha confessato lui stesso senza aggiungere “però, mi raccomando, non lo scrivere”. Anzi. Ed è per questo che ci siamo abbracciati con entusiasmo e abbiamo fatto pace dopo 7-8 anni di piccole incomprensioni e grossi fraintendimenti.
Questa non è l’unica bella o brutta notizia di basket che posso darvi oggi. Potrei per esempio raccontarvi mille cose nuove sul chiacchieratissimo padrone di Trapani, il tycoon romano Valerio Antonini, un po’ grezzo per la verità. Che non sempre mantiene tutte le promesse e fa parecchia fatica a saldare i debiti. Anche se non sa più dove andare a buttare i soldi fatti con il grano e molte altre tonnellate di vari prodotti agricoli. Aveva per esempio già cacciato Gelsomino Repesa dopo la sconfitta nella semifinale di Coppa Italia con Trento e s’era già incontrato a Torino con Pozzecco invitandolo a firmare subito o comunque per l’anno venturo. Poi si sa di quale pasta è fatta la maggior parte degli allenatori plavi: sono bravi quanto scaltri e per questo piacciono ai mammalucchi che s’annidano nelle curve del tifo nostrano. Insomma guai a chi tocca Gelsomino: hanno gridato gli ultras siciliani e l’Antonini se l’è fatta addosso. Sul serio? Ma no: lo dico in senso figurato come talvolta impone la satira.
Così come a Venezia è stato una lenza Olivetta Spahija almeno sino a quando non ha preso esageratamente le difese di Davide Casarin mettendosi contro mezzo Taliercio che invece mormora, mugugna, s’agita e contesta ogni qual volta, e succede sovente, la palla a spicchi, che arriva tra le mani del povero figliolo del presidente della Reyer, finisce in tribuna o contro il primo ferro del canestro. E intanto il grande padre continua a sedersi in panchina accanto a Olivetta e nessun club gli dice niente. Forse perché ogni pesciolino rosso che io ho conosciuto alle giostre del basket apre e chiude la bocca, ma non c’è verso che lo senti spiccicare parola. Però poi negli spogliatoi fa la voce grossa con gli arbitri che, bene o male, sono suoi diretti dipendenti. Essendo Federico Casarin anche Sua Eminenza il vicepresidente federale vicario. Ossia l’erede al trono nel 2053, non prima di Petrucci. Oltre che presidente e padrone per il blind trust della Reyer. E difatti la Finanza a chi è andata a bussare di buonora al portone di casa per vedere se fossero in regola i conti della società di Napoleone Brugnaro? Chissà chi lo sa.
E’ da qualche giorno, quasi una settimana, che non leggo i quotidiani che continuo ad accatastare assieme alle riviste uno sopra l’altro sino a formare un’intoccabile torre d’avorio. Dalla quale nessuno riuscirà mai a tirarmi “giù dabbasso” nemmeno se come Nino Toffolo mi lusingasse cantando “che te vojo ben”. Però qualche volta, per non vivere completamente fuori dal mondo, sfoglio a caso un mezza dozzina di giornali e così stamattina ho scoperto da Repubblica che i dazi di Donald Trump stanno travolgendo e affondando le Borse dall’Asia a Wall Street e che quella di Milano è la peggiore in Europa con il meno 3,6 per cento, ma se Bruno Vespa sulla prima rete della tivù di regime e Giorgia Meloni, che dicunt sia la portaborse segreta del Cowboy di New York, assicurano che possiamo stare tutti sereni e tranquilli, chi sono io per non credere ciecamente ad entrambi?
Mentre dal Corriere del Veneto ho appreso che giovedì c’è stata “bagarre in consiglio comunale a Venezia con il sindaco impegnato a difendersi dall’accusa d’aver creato una blacklist degli oppositori nascosta in cassaforte”. Tra i quali sui blog mi hanno chiesto se per caso fossi stato inserito anch’io. Non penso proprio. Anche se Napoleone mi ha promesso quasi un decennio fa un’intervista esclusiva di palla nel cestino (e non di costume) e l’ha data in questi anni a cani e porci. Persino al Gazzettino di Roberto Papetti che mal sopporta. Però mai a me. Forse gli faccio paura? Non credo. E perché? Dal momento al massimo potrei chiedergli perché ha cacciato Walter De Raffaele, che pure gli aveva regalato due scudetti e due coppe che non rivincerà più in vita sua, e non invece Federico Casarin che aveva fatto carte false per infilarsi le scarpette rosse e prendere il posto di Livio Proli alla presidenza della società che poi è finita totalmente nelle mani d’Ettore il Messi(n)a a tempo perso anche stimato allenatore. Non mi credete? Fate molto male. E comunque domandatelo alla fidatissima assistente di Giorgio Armani se lei stessa non raggiunse illo tempore la laguna con un assegno in bianco che il Pesciolino rosso di Mestre avrebbe dovuto solo annerire con una delle mie cento penne stilografiche che gli avrei volentieri potuto prestare. E poi sappiatemi dire.
La verità dei fatti comunque io la conosco assai bene, ma non vi posso mica raccontare tutto sulla Reyer dei Casarin in una volta sola? Semmai in un libro molto corposo. E piuttosto ditemi voi se per caso non vi sembra che Brugnaro abbia fatto un po’ di confusione politica dando dei fascisti a chi gli urlava giovedì “vergogna, vattene a casa” sventolando le bandiere rosse. E, già che ci siete, spiegatemi anche perché Giannino Petrucci ha proposto a Beniamino Gavio, il meraviglioso patron di Derthona, se per caso gli interessasse il suo Gianmarco come tecnico a tempo pieno. Non era forse Pozzecco per lui sino all’altro giorno il miglior cittì e allenatore sulla faccia della terra? E non doveva il Poz andare dall’oggi al domani a Trapani? Dio mio, sono finito anch’io in un bel casino. Dal quale provo ad uscirne ricordandovi che domani, sabato sera, è in programma l’anticipo tra Tortona e Trapani, reduci entrambi da due sconfitte che hanno fatto di nuovo arrabbiare sia Gavio che Antonini. Al punto che se Trapani dovesse in questa 24esima giornata di campionato (meno 7) perdere il primo posto in classifica che ora divide con Virtus e Brescia o se Tortona, inciampando anche a Casale Monferrato, dovesse uscire dalla zona playoff, chi mi assicura che Gelsomino o Ray-Ban resteranno alla guida delle loro squadre sino a Pasqua e lo saranno ancora a Natale della prossima stagione? Assolutamente nessuno.
Intanto il mio caro Giannino, oltre ai grossi guai che ha nel settore dilettanti, dove più della metà delle 98 società dell’Interregionale non sono in regola con il passaggio da associazione sportiva a srl e così a fine giugno sarebbero automaticamente escluse dai campionati, non so se mi spiego. E ai problemi che presto scoppieranno nel settore giovanile, dal quale fuggiranno quest’estate i nostri migliori talenti allettati dalle avances d’una cinquantina di college Usa che, grazie al “Fair Pay to Play” act e ai diritti d’immagine (Nil), offriranno ai giovincelli scherzosi (ma non troppo) di casa nostra cifre tra i 350 mila e i due milioni di dollari all’anno con picchi sino a otto. E non sto esagerando. Cominciando dal due metri e venti Luigi Suigo, 17enne varesino dell’Olimpia, agile più di un canguro e svelto più di un felino, che nemmeno Giorgio Armani riuscirà a trattenere se non pareggerà l’assegno di studio di un bel milioncino d’euro che l’università di Saint Andrews gli ha recentemente fatto passare sotto al naso per studiare a tempo perso e schiacciare a tempo pieno la palla nel cestino.
Dunque stavo dicendo. Ah sì. Che Giannino non può soprattutto dimenticarsi d’essere già in parola con chi l’ha sostenuto nell’ultima campagna elettore molto più complicata delle precedenti e in particolare con Luca Banchi, che è più permaloso di me e Ettore messi insieme, e che infatti i gemelli Giorgio e Paolo Viberti chiamano – non a caso – il Ruvido. Al quale Petrucci ha strappato il sì per allenare dopo gli Europei la nazionale azzurra di Gianmarco Pozzecco. Come ho anticipato ai miei aficionados circa un mese fa e nessuno si è sognato ancora di smentirmi. Anzi. In tanti mi sono venuti dietro (in tutti i sensi) facendosi belli e ottenendo fantastici compensi. Bravi. Mentre da un sacco e una sporta di mesi a Bologna continuano a raccontare sotto ai portici che Carlo Gherardi è sul punto di diventare il padrone assoluto della Virtus avvalendosi della collaborazione di Maurizio Gherardini, suo compagno di scuola o addirittura di banco secondo quelli che ne sanno sempre una più della Treccani e che sotto le Due Torri sono ben 390.608, cioè dall’ultima stima tutti gli abitanti della Dotta.
Ora non dico che all’amministratore delegato di Crif, l’azienda leader in Europa nei servizi informativi e soluzioni per il credito (così ho letto sul Corriere di Bologna e questo ho scritto copiando sin verguenza), manchino i quattrini per acquistare non una ma ben cinque Virtus e, già che c’è, altrettante Fortitudo. Così come è vero che Gherardi è arrivato in settimana a completare l’acquisizione del 49,3 per cento delle quote della società, ma lo sa anche mia nipotina che per comandare serve il 50,1% e Massimo Zanetti, il Re del Caffè, piaccia o non piaccia al Corriere di Bologna e al suo giornalista Daniele Labanti, possiede il 50,4% della Virtus. Quindi è il trevigiano di Sant’Artemio che ancora comanda. Tant’è che ha giustamente confermato alla guida della Segafredo per un’altra stagione Dusko Ivanovic che due giorni dopo ha ribattuto per la seconda volta di fila la pazzesca Milano di Ettore Messina rifilandole un ventello (90-70) e oltre tutto rivalutando giocatori come Matthew Morgan che il Ruvido lasciava invece volentieri sulla panchina a raccogliere le margherite. Sicuramente l’abbinata Gherardi-Gherardini sarebbe stata suggestiva e avrebbe avuto se non altro un suono molto gradevole. Peccato che a Zanetti non vada proprio giù il general manager che è al Fenerbahce dal maggio 2014 e da un decennio, ogni anno di questi tempi, sembra che debba lasciare da un momento all’altro Istanbul nemmeno avesse la terra che gli scotta sotto ai piedi. E allora, se così sul serio fosse, ma non penso, perché Gherardini non se lo prende l’amico Ettore che ne avrebbe così tanto bisogno per costruire finalmente, grazie al terzo o quarto budget di tutta l’Eurolega, almeno una squadra da play-in? Quei play-in dal settimo al decimo posto che il Messi(n)a non ha nemmeno in questa stagione scandalosamente raggiunto, ma almeno con quattro intere pagine centrali di pubblicità sulla Gazzetta, tre bei fusti a petto nudo in slip rigonfi e una bella ragazza in mutande e reggiseno, splendidamente il tutto firmato Emporio Armani, è riuscito ad evitare processi e sempre fastidiose polemiche in rosa.
Ormai ci provo gusto, l’avrete capito, a scrivere i pezzi in due, tre o quattro giorni. E l’ho fatto anche stavolta vedendo che l’idea di sorseggiare sul mio personalissimo sito www.claudiopea.it un unico articolo alla settimana in fondo poi non vi dispiace. Così m’alleno anche per il libro “Una per tutti” che vi confermo butterò giù quest’estate coinvolgendo il maggior numero possibile di personaggi dello sport e della mia vita che oggi mi fanno dire senza alcun tentennamento: avevo ragione io da piccolo quando giocavo a calcio sul panno verde del tavolo da pranzo di mia nonna, undici palline contro un undici, di terracotta o di vetro, che – detto per inciso – sono state inventate, guarda un po’, proprio a Venezia nella fine del Settecento, che da grande avrei fatto il più bel mestiere del mondo, cioè quello del giornalista sportivo. Che lo è stato finché quella zucca pelata di Riffeser, non sapendo cosa altro fare oltre che abbattere dalla mattina alla sera con gli zoccoli dei suoi cavalli gli ostacoli rischiando ogni volta di rompersi l’osso del collo, ha deciso di diventare uno scadente editore anche del Giorno oltre che del Resto del Carlino e della Nazione, circondandosi di servi incapaci e di direttori paraculi. Ed io allora ho rinunciato simultaneamente ed eroicamente – me ne posso ben vantare – al mio posto fisso anche a costo di restare senza lavoro e senza una lira. Sì, proprio una lira, visto che solo un paio anni dopo sarebbe entrato in vigore l’euro. Però sempre libero e gaudente. Come sono ancora tutt’oggi. E, perché no?, anche satirico, mordace e terribile. Come mi giudicano quelli che mi conoscono appena e che dicono magari di non leggermi. Ignoranti e bugiardi.
Ovviamente non sempre tutte le ciambelle mi riescono con il buco. Anche perché sono fatto parecchio a modo mio e per esempio, lo sapete, giusto o sbagliato che sia, non m’importa quel che pensate, guardo Sky solamente quando ne ho tempo e voglia. E quindi quasi mai in diretta. Registrandomi tutto quel m’interessa vedere e raccomandandomi col mondo intero di non anticiparmi niente di niente. Men che meno l’esito finale di qualsiasi evento sportivo. Di football e di basket, ma pure di tennis o di golf. Difatti, avendo deciso di non scrivere più dopo cena perché poi effettivamente, come raccontano gli esperti, fai un sacco fatica a prender sonno. E leggendo quasi sempre i quotidiani anche 24 ore o persino una settimana dopo, soprattutto quelli della domenica e del lunedì, corro il rischio di scivolare su una buccia di banana e di finire a gambe all’aria.
Succede e così mi è capitato di ricordarmi solo nel tardo pomeriggio di ieri (domenica), quando mi son seduto alla scrivania per completare l’odissea iniziata venerdì, che stamattina alle 6 e mezza mi avrebbero tolto la corrente sin quasi al tramonto e che quindi non avrei potuto vedere alla tivù nemmeno gli hight light delle partite. Un vero disastro. Anche perché sabato, “aprile dolce dormire”, ho poltrito per tutto il santo giorno e mi sono mosso soltanto prima di cena quando sono volato al Taliercio per vedere la Gemini Mestre battere fortunosamente d’un punticino (80-79) Capo d’Orlando. Quanto basta per sperare ancora nei playoff di serie B che sono quasi più arzigogolati di quelli di A2. Dai quali rischia di restar fuori persino la Fortitudo nonostante il bel recupero e il grande lavoro fatto come al solito da Artiglio Caja dopo l’esonero di Devis Cagnardi. Ma ieri (domenica) nel Paladozza full out i bolognesi si sono trovati di fronte il Cividale dei miracolo e del Pilla Pillastrini, dimagrito di uno scherzo, che con un super finale di Doron Lamb si è confermato la bestia nera di Pietro Aradori e compagni. Come mi ha raccontato a più riprese il mio inviato molto speciale, l’amico Nico, entusiasta della prestazione dei friulani che possono già festeggiare il ritorno nella massima serie di Udine dopo il largo successo al Palalido di Milano con l’Urania di Ale Gentile ormai 33enne. Dio mio, come vola il tempo.
Ieri a mezzogiorno mi ero invece goduto, ovviamente in registrata, Max Verstappen mettere dietro a sé le due Mc Laren di Lando Norris, leader del Mondiale, e di Oscar Piastri, il mio occhio destro, oltre alle Rosse di Maranello dell’eterno perdente di successo, John Elkann, e chi se no altrimenti?, quarta con Leclerc e addirittura settima con Hamilton dietro ad Antonelli che non so neanche se abbia la patente. Che poi abbia preso sonno in una corsa dove al massimo Hadjar è stato superato da Lewis subito dopo la partenza, questo è altrettanto scontato e piacevolissimo soprattutto quanto più ci si avvicina all’estate e i Gran Premi cominciano in Europa alle quattordici, l’ora doc per la pennichella in poltrona. E comunque vi chiedo scusa se non spenderò neanche una riga oggi sulla Juventus del povero Tudor all’Olimpico con la Roma o sulla Reyer di Olivetta a Brescia dal momento che prima di domani (martedì) non potrò seguire alla tivù queste due partite. Di cui non so ancora il risultato. A meno che stasera al Palaverde, dove mi sto per precipitare, qualche lazzarone non me lo sussurri in un orecchio solo per farmi arrabbiare. In verità non so neanche chi ha vinto il Giro delle Fiandre anche se non mi difficile immaginare che sia stato quel fenomeno di Tadei Pogacar. Infatti, oltre all’energia elettrica, mi sono dimenticato di dirvi che oggi sono rimasto anche senza internet come avrei dovuto sapere, ma sono una frana nelle nuove tecnologie come lo sono stati stasera a Treviso tre italiani della Virtus: Pajola, Bellinelli e Polonara, un punto in tre, dell’Achille, in un totale di oltre 30 minuti di (non) gioco. Più i 2 appena di uno svagato Cordinier e di un Diouf con la testa chissà dove. Non certo nel canestro.
Eppure la Segafredo ha vinto 74-80 mantenendo il primo posto in classifica. Capirai lo sforzo, vi sento dire, ma vi sbagliate, e di grosso, perché la Nutribullet ha giocato una partita davvero gagliarda e tonica, pareggiando quasi il duello ai rimbalzi (40-42) e facendo l’impossibile per prevalere con quel che a Frank Vitucci passa il convento. Cioè assai poco: Bowman, Paulicap e Olisevicius che ha avuto nelle mani anche la tripla del meno 1 a 4’ dall’ultima sirena ma l’ha sbagliata di un niente. Quindi vi viene spontaneo adesso chiedermi: come hanno fatto allora le vu nere a far loro la sfida? Semplicemente il numero 21, Tornike Shengelia, è stato immenso: doppia doppia (21 punti, 11 rimbalzi e 6 diabolici assist), una classe infinita e una voglia di spaccare il mondo da Maciste in Cabiria e non credo serva aggiungere altro. Se non che anche Hackett e Zizic si sono fatti in quattro per dargli il cuore e l’anima nei momenti che alla fin fine contano e fanno la differenza in una partita abbastanza equilibrata.
Buonanotte. Mi ero ripromesso di non scrivere più dopo cena ed è invece ho rifatto anche stasera la mezzanotte Mi sparo? Ma no. In fondo domani, ripensandoci, non ho nulla in particolare da fare. Se non un’ora di ginnastica in palestra e poi vedere finalmente la Juve e la Reyer su Dazn all’oscuro di quello che è successo ieri sera a cena mentre mi gustavo il sublime pasticcio di zucchine julienne che la Tigre mi aveva cucinato e in tivù il primo successo in un Atp 250 del fiorentino Flavio Cobolli che ha un anno meno Jannik Sinner e che in finale a Bucarest nel Tiriac Open ha battuto il favorito Sebastian Baez per 6-4 6-4. Così come il coetaneo italo-argentino Luciano Taddeo Darderi si è imposto a Marrakech in un altro Atp 250. Di bene in meglio: è davvero un fantastico momento per il nostro tennis. O mi sbaglio? Non credo. Posso prendere una cantonata in un giorno, non due. Difatti se adesso ancora mi domandate se l’inserto di Cairo, 7 (Sette), sia stato solo sfortunato o se sul serio porti nera al pari di quello della Gazzetta negli anni ottanta del secolo scorso. Quando in copertina nessun campione dell’epoca avrebbe mai voluto finire. Preferendo anche perdere piuttosto che cadere in chissà quale brutta avventura preannunciata dalla rivista in rosa che usciva al sabato.
Certo è che, guardando la foto di Federica Brignone in prima pagina dell’ultimo numero di venerdì di 7 che vi ho qui sopra riproposto, con la meravigliosa figlia di Ninna Quario che urla tutta la sua felicità: “Sono una Tigre calma”, e sapendo che soltanto poche ore dopo la sfortunatissima regina della Coppa del Mondo 2025, con 10 trionfi e 16 podi in tre discipline su quattro dello sci, si è sfasciata il ginocchio sinistro, hai davvero una bruttissima sensazione. Al punto che mi viene da chiedere se non avrebbe fatto meglio l’editore torinese a ritirare eccezionalmente l’inserto del Corriere della Sera. Sarebbe stato senz’altro un bel gesto da parte sua, ma il presidente del Torino non ha mai avuto, che io ricordi, slanci di cuore nemmeno nei confronti dei tifosi granata che difatti non riescono a digerirlo. Ho piuttosto sperato, quando ho buttato l’occhio sul Caffè di Massimo Gramellini, che tante volte ha cenato a casa mia a Milano, e sul titolo della sua rubrica sul Corrierone: “Federica va a Cortina”, che almeno lui si scusasse con lei della sfortunata coincidenza. E invece niente di niente. Neanche un fiore. Preoccupandosi solo che la Brignone possa correre i Giochi invernali del prossimo febbraio sulle nevi della mitica Olimpia delle Tofane. E allora sapete cosa faccio? Mi tocco anch’io. Chiedendo scusa solo a Fede e a sua madre. Che, loro sì, sono due donne davvero generosissime. In tutto e per tutto.