Mamma Rosa le ha sparate più grosse del Cazzaro Verde

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Che mondo sarebbe il mio senza ritagli? Soprattutto in questi giorni che sono tutti uguali e non sai neanche che giorno sia oggi. Forse giovedì. O forse un sabato qualunque senza anticipi di calcio o basket? No, ti sbagli: oggi è venerdì  27 marzo, sant’Augusta di Serravalle, vergine e martire. Lasciatemi pensare: non conosco nessuna Augusta alla quale poter regalare un canestro d’auguri come è mia buona abitudine. Del resto se fossi nato femmina e mi avessero chiamata Augusta sarei subito corso a cambiar nome all’anagrafe. L’Augusta fu l’auto della media borghesia benestante nell’anno 34 del secolo scorso, il XII del Ventennio fascista. Prodotta dalla Lancia costava 19.500 lire chiavi in mano, quasi il doppio della Balilla, e raggiungeva la folle velocità per quei tempi di quasi 110 km/h. Mentre l’utilitaria della Fiat non sfiorava nemmeno gli 80. Tazio Nuvolari adorava l’Augusta e ne vendette moltissime nella sua concessionaria Lancia a Mantova. Una anche ad Achille Varzi, grande amico e rivale soprattutto nella storica Mille Miglia del 1930. Della stessa scuderia, l’Alfa Romeo, Nivola nel tratto tra Ancona e Bologna recuperò ben sette minuti di ritardo al Varzi e insieme transitarono nella notte a Vicenza e a Peschiera del Garda. Quando il mantovano volante s’inventò una magata: finse un guasto e spense i fari della sua 6C 1750 GS spyder Zagato proseguendo la corsa al buio dietro alle luci di coda dell’Alfa di Varzi. Salvo poi sorprenderlo in vista dei giardini del Rebuffone a Brescia e andare a vincere la più bella corsa del mondo e la sua prima Mille Miglia. Non so nemmeno io perché vi ho raccontato questa storia. Mi sembrava carina, tutto qui, e, se non vi è piaciuta, santa pazienza: questo è il mio Scacciapensieri nella notte muta che è uguale al giorno. Mentre in televisione non c’è mai nulla. Come sempre e come dicono tutti da anni. Tutti parlano della pandemia e della probabile recessione. Purtroppo anche Lorella Cuccarini e Barbara D’Urso. E sarei tentato d’infilarmi sotto al piumino se non avessi dormito questo pomeriggio dalle due alle cinque e non fossi stato al cellulare dall’ora del tè a quella della cena. E non vi dico neanche chi mi ha telefonato: non mi credereste e difatti lo tengo per me o, al massimo, l’ho confessato agli amici più stretti. Pochi ma buoni. Pesco un ritaglio. E’ dell’11 marzo. Repubblica, l’Amaca di Michele Serra, inguaribile intertriste. “Quando parliamo del virus stiamo parlando di noi. Nostri sono gli errori di sottovalutazione: i miei per primo. Dieci giorni fa ho scritto cose che oggi non riscriverei”. L’importante è riconoscerlo e trovare il coraggio di dire: “Mi spiace, ho fatto degli errori”. Come ci ha ricordato nell’omelia Papa Bergoglio. E come non ha fatto Matteo Salvini dopo il 28 febbraio. Quando la sparò proprio grossa: “Riapriamo tutto quello che c’è da riaprire: le scuole, i teatri, gli stadi. L’Italia è un Paese che soffre, ma che vuole ripartire. Adesso”. Non si smentisce mai il Cazzaro Verde che si sta squagliando come un flan di Antonella Clerici. Bipàrtisan lo stesso giorno Giuseppe Sala, sindaco di Milano, lanciò la t-shirt con lo slogan #milanononsiferma sul petto. Mentre Nicola Zingaretti andava a prendere l’aperitivo sui Navigli coi giovani Pd e il 7 marzo risulterà positivo al coronavirus. Ancora Serra: “In questi giorni parliamo molto, nelle case, al telefono. Ne abbiamo il tempo e persino la voglia. Parliamo però con la voce bassa di chi ha perduto qualche certezza e guadagnato qualche incertezza”. Tutto verissimo. Dal Corriere della Sera del 29 febbraio il Generale Luca Zaia difende il popolo dei veneti che in un milione e 108 mila (e rotti) lo hanno votato (oltre il 50%) nelle Regionali del 2015: ma si puo? “Per la forma culturale che abbiamo ci facciamo la doccia, ci laviamo spesso le mani, ci alimentiamo bene e guardiamo le date di scadenza degli alimenti. La Cina ha invece pagato un grande conto di questa epidemia perché li abbiamo visti tutti mangiare i topi vivi e questo genere di cose”. Se lo ricorda, Sgovernatore? Non mi pare e comunque i decessi in Italia da Covid-19 sono purtroppo oggi superiori a quelli in Cina. E nemmeno la sua tragica profezia dell’11 marzo? “Due milioni di veneti contagiati entro metà aprile se non rispettiamo le regole”. Verba volant, scripta manent. Vedremo. Ed intanto mi tocco e gli do del menagramo. Anch’io ho sbagliato in buona fede perché due medici mi avevano assicurato che era poco più di un’influenza e sabato 22 febbraio, il giorno dopo il paziente uno di Codogno e la prima vittima di coronavirus nella notte a Vo’ Euganeo, sono andato con mio nipote Rocco in treno a Ferrara per vedere Spal-Juventus. La seconda classe era piena e lo stadio gremito in ogni ordine di posti come si diceva una volta. E ci è andata di stralusso. Grazie a Dio. I titoli del Tg1 dell’una mettono paura: 969 vittime nelle ultime 24 ore in Italia, il numero più alto dall’inizio dell’emergenza. Salgono a 51 i medici morti per coronavirus. Centomila casi di contagio negli Stati Uniti, peggio che da noi e in Cina dove l’epidemia non però è ancora finita (54 test positivi oggi). Oltre cinquemila i decessi in Spagna. Profondo rosso in Borsa. Anche il premier britannico Boris Johnson è stato infettato dal virus. Stop alla serie A di basket femminile e di rugby che non assegnano gli scudetti. L’ira di Rovigo, s’addolora il Gazzettino che non ha altro di cui crucciarsi. Irresponsabile come Mamma Rosa con le mutande nerazzurre in mano che domenica primo marzo, tra partite a porte chiuse e porte aperte, è veramente triste perché il derby d’Italia è stata rinviato al 13 maggio. Furioso Beppe Marotta: “Serie A falsata”. E il commento in prima pagina di Andrea Di Caro dal titolo in alto a destra nella foto: Prima la salute, ma era meglio giocare. Leggo le prime righe: “In tempi normali lo avremmo definito un pasticciaccio brutto per caos, tempistica e scelta finale. Ma questi sono tutt’altro che tempi normali”. Ma va? Non ce ne eravamo mica accorti. Eppure la Gazzetta avrebbe voluto che Juve e Inter si fossero affrontate lo stesso a tarda sera e che Juve-Milan di Coppa Italia si fosse ugualmente giocata tre giorni dopo. Con la gente sugli spalti. Per non parlare delle critiche da parte di  firme anche autorevoli che sono piovute addosso a Vincenzo Spadafora perché, in pieno accordo con Damiano Tommasi, avrebbe voluto fermare Parma-Spal e le altre tre partite dell’8 marzo gridando “Siete tutti incoscienti e matti da legare ”. Aveva ragione da vendere, ma pensate che qualcuno in queste ultime tre settimane si sia cosparso il capo di cenere e gli abbia chiesto scusa? Sia mai. Piuttosto, se dico che mi vergogno in questi casi d’essere italiano e soprattutto veneto, oltre che giornalista, lo so che volentieri m’impicchereste sulla pubblica piazza, ma non avete le palle e per questo mi caccio a letto tranquillo. O, meglio, sereno. Tranquillo mai. Buonanotte. E arrivederci a domani quando nel pomeriggio gli allenatori della serie A di pallacanestro s’incontreranno in videoconferenza per tagliarsi gli stipendi. Bravi. Basta che lo facciano anche i presidenti-manager cominciando dai tre più ricchi (Messia, Morticia e Pesciolino tricolore) e solo a patto che i loro club non aspettino Pasqua per decidere che è da pazzi criminali tornare a giocare sul parquet prima di settembre. Anche Giannino Petrucci se ne è convinto.