Le storie di basket di Lorenzaccio e Sportitalia che non paga

Gli ho chiesto al telefono quando andrà in stampa il libro che ha finito di scrivere la settimana scorsa. E lui svelto, seppur appena sveglio: “Il 10 o il 12. Ho lasciato scegliere all’editore. Non però l’11 settembre gli ho detto. Già ho avuto il coraggio di scrivere di basket che in Italia è morto”. Magari non la pensa proprio così, ma il gusto della battuta in Lorenzo Sani è nella sua indole ed è la sua forza. Il titolo del libro è “Vale tutto” come nel due contro due ai Giardini Margherita di Bologna. E il sottotitolo “storie segrete della pallacanestro italiana”. Dove si racconta di come Mike D’Antoni è diventato italiano o di quella volta che il Ciccio ha sfidato Sugar Richardson, loro grande amico. Queste le conosco, altre meno. Come quella di Connie Hawkins, giocatore di enorme talento, stella degli Harlem Globetrotters e dei Phoenix Suns, Hall of Fame della Nba, che a fine carriera, nel settembre del 1977, sbarcò in Italia e la Fortitudo lo tagliò non capendoci un tubo. Hawkins rimase comunque a Bologna a godersi la vita sino a primavera e cosa raccontasse alla moglie, rimasta negli States, lo leggeremo nel libro che uscirà nelle librerie a ottobre. Di Roscoe Pondexter ho invece più di qualche vago ricordo perché giocò a Gorizia, dove vinse il titolo di capocannoniere in A2, e pure a Venezia nella Reyer. Dove bastava dare la palla al nero, “daghe a baa al nero”, ed era canestro sicuro. Non sapevo invece che dopo il ritiro Pondexter avesse trovato lavoro come secondino in un carcere della California. Dal quale per la verità non è uscito troppo bene. Di basket Lorenzaccio non scriveva da una quindicina d’anni buoni: riaverlo tra noi sarà di nuovo un piacere. Soprattutto per i giovani che potranno finalmente conoscere un fuoriclasse. Insieme ne abbiamo fatte di tutti colori. E insieme magari un giorno anche le ricorderemo. Sperando che le nostre tigri e i nostri figli non le leggano. Pure a lui sono piaciuti questi Mondiali di Spagna che Sportitalia ha offerto in tutte le salse e da domani anche sulla piattaforma di Sky al solito canale: il 225. Come oggi ha confermato, impaperandosi, Eleonora Boi. Che comunque si farà. Tempo al tempo. Anche se forse sta meglio senza occhiali. Di più, la televisione che fu di Bruno Bogarelli ha acquisito i diritti di trasmettere anche la diretta della terza partita di serie A, quella del lunedì sera, che potrebbe diventare anche la prima della lista dal momento che la metà delle volte, quando cioè Milano sarà di scena il venerdì in Europa League, vedrà impegnati proprio i campioni d’Italia di Luca Banchi. Nel tardo pomeriggio la Lituania ha eliminato nei quarti la Turchia e gli Stati Uniti d’America farà altrettanto stasera con la Slovenia che dovrebbe snaturarsi, come dice Artiglio Caja, per mettere i bastoni tra le ruote alle stelle e alle stelline della Nba. Io comunque tifo Spagna. E sarò anche fatto male ma non ho ancora visto giocare gli Usa di Krzyzewski perché, come i nerazzurri di Walter Ego Mazzarri, mi fanno venire l’orticaria. Di tutti gli opinionisti di Sportitalia il mio amico Caja ha una marcia in più, ma lo dico sottovoce perché so poi come vanno a finire queste cose: la finalissima del Mondiale la faranno commentare a Orate Frates. Che, per carità, non è neanche così malvagio come sostengono i tifosi di Varese, ma anche lui ci racconta le cose che tutti abbiamo appena visto, mica siamo ciechi o scemi, e non ci aiuta invece, come Artiglio, a capire quello che potrebbe succedere dopo e quello che dovrebbero fare piuttosto le due squadre per superarsi. Solo lui poi ha avuto il coraggio di tirare subito le orecchie a Rebesa quando il professore si è dimenticato nel finale in panchina Tomic e la Croazia è stata sbattuta fuori dalla non certo superiore Francia. Ma neanche questo in Italia si può dire. Come non si dovrebbe suggerire ai neo proprietari di Sportitalia, che per la verità non so neanche chi siano, che i giornalisti e i loro collaboratori non possono lavorare gratis e non ricevere non dico il gettoncino di presenza, ma neanche il rimborso spese. Perché tutti amiamo la pallacanestro, ma non per lei possiamo morir di fame. O, peggio, essere trattati come tali. Vero maestro Peterson?