Il libro di Zoff è la storia più bella di calcio che ho letto

Ho comprato il libro di Zoff. Da quattro giorni non uscivo di casa. Solo un’influenza che c’è in giro, nulla di più. Ma anche tanta poca voglia di far qualcosa. Da noi si chiama fiacca. Che non è stanchezza e neanche noia. E’ semplicemente fiacca. Però quel libro di Zoff m’incuriosiva molto e allora mi sono dato una mossa. Forse perché siamo della stessa età. Anche se, per la verità, Dino ha sette anni più di me. O forse perché, pensavo tra me e me, ne avrà di cose da dire dal momento che nella sua vita ha sempre raccontato assai poco di sé. Ricordo che molti di noi avrebbero voluto suicidarsi, e prima ancora ammazzarmi, il giorno in cui Bearzot decise che d’ora in avanti avrebbero parlato solo lui e Zoff. Pensavano infatti i colleghi, anche se a torto, che fosse mia la colpa del silenzio stampa degli azzurri ai Mondiali dell’82 in Spagna. E comunque vi giuro che intervistare Dino a quei tempi non era proprio il massimo della libidine. Anzi. Probabilmente lo faceva anche apposta a non dire niente di che: non sopportava i giornalisti e nemmeno fingeva di nasconder(ce)lo. Fatto sta che, se il giornale non mi avesse dirottato presto e subito sul Brasile di Zico e Socrates, non escludo che non mi sarei anch’io prima o poi tolto di mezzo. Il libro di Zoff è da sabato in libreria. E stamane l’ho comprato nella libreria proprio dietro l’angolo di casa. In galleria. Non mi sbagliavo: è un eccellente autobiografia. Soprattutto ricca di storie che neanche immaginavo e di spunti sui quali riflettere. Come presto farò, ma non così su due piedi. Di sicuro abbiamo preso molti aerei con la Juve e con la nazionale, e di calcio ne abbiamo vissute tante insieme, Dino in campo e io in tribuna, ma adesso posso tranquillamente confessarlo: sapevo poco o niente di lui e soprattutto non lo conoscevo. Così come non so neanche cosa voglia ben dire un buon libro di sport: ne ho un armadio pieno e molti accatastati negli scaffali. La maggior parte li ho solo sfogliati, ma questo vi assicuro che è il migliore che mi sia capitato di leggere da un po’ di tempo a questa parte. L’ho cominciato e lo finirò. Un capitolo al giorno. Magari la sera prima d’addormentarmi. Sicuro che avrà successo. “Dura solo un attimo, la gloria” è il titolo che già manifesta in quella virgola sospensiva, tra un attimo e la gloria, una certa qual tristezza di fondo e un’amarezza che Zoff non vuole assolutamente celare quando scrive “ho remato controvento, il calcio mi chiama saggio e invece mi ha fatto fuori”. Una frase che Repubblica ha strappato da un’autobiografia che avrà spero la fortuna che l’autore si merita. Non per essere stato uno dei più grandi portieri al mondo, ma per il grande uomo che Dino è e emerge di nuovo splendidamente da questo suo libro. Un’altra parata a due mani sulla linea di porta. A settantadue anni. Come quella sul colpo di testa di Oscar alla fine della partita con il Brasile. “Non fu un miracolo, per carità. Fu solo una parata perfetta. La parata della mia vita”. Sicura e sincera. Semplice e discreta. Al pari della felicità per il Mondiale appena vinto. “Ognuno quella notte festeggiò a suo modo. Cosa fecero gli altri non lo so, io e Scirea ci chiudemmo nella nostra stanza ad assaporare il momento nell’unico modo che ci era consono: in silenzio”. I capitoli su Gaetano e Enzo li ho già letti. Indimenticabili. Come la lettera che Sandro Pertini gli scrisse il giorno dopo il suo ritiro: “Sentirò nostalgia di te. Vieni a trovarmi. Giocheremo a scopone e cercherò di non fare più gli errori che mi hai giustamente rimproverato. Auguri, mio caro Zoff”.