Già sento suonare le cornamuse: la Ryder resta in Europa

Ricordate cosa vi avevo detto? Che spiegare a un prototipo di tifoso del calcio, quello che va a San Siro con la piccola (che piange) sulle spalle, la maglia nerazzurra che non gli arriva al sottopancia e non gli copre insomma nemmeno l’ombelico, il maxipanino col brufolo, la salsiccia e le cipolle, che ha appena acquistato davanti allo stadio anche per la moglie che va matta per Antonella Clerici, già senza voce prima dell’inizio del match perché ha urlato di tutto all’arbitro e al nemico durante il riscaldamento prepartita, ecco spiegare a lui cosa sia la Ryder Cup è una fatica purtroppo inutile, quanto disperata, in nove casi su dieci. Adesso non pretendo d’aver sempre ragione: può darsi pure che una volta su cento anche mi sbagli, come ho fatto appena ieri quando ho distrattamente scritto che Gleneagles è stato disegnato da Jack Nicholson. Come no? E Jack Nicklaus ha vinto tre Oscar. Ugualmente però è anche certo che non pretendevo che Federica Cocchi, una delle dieci donne che fanno parte della redazione della Gazzetta dello sport, mi prendesse così alla lettera e rinunciasse a priori a scaldare gli animi dei calciofili con la Ryder. Difatti la generosa ex collaboratrice di Tele Carpi (e te le raccomando), diplomata in flauto al Tonelli di Modena, già al seguito di Luna Rossa nella Louis Vuitton Cup, giovedì si è persino dimenticata d’essere a Gleneagles o comunque ha intervistato Francesco Molinari nella sua residenza di Londra. Ora dispiace anche a me che il timidissimo Chicco non abbia sfidato (e vinto) per la terza volta di seguito gli Stati Uniti d’America nel duello di golf che appassiona tutto il mondo meno evidentemente il giornale in rosa che anche oggi in prima pagina ci ha raccontato di tutto, dal Lotito greve alla Kostner pinocchietto, dalla Bronzini d’argento al pitbull di Thohir, ma si è dimenticato dell’Europa in vantaggio sugli Usa per 5-3. Né voglio insegnare il mestiere a nessuno o, peggio, pontificare come la Gramella stasera dall’insopportabile Fazio, ma per fare quattro chiacchiere al telefono con il più giovane dei Molinari la Cocchi poteva anche starsene a casa in famiglia e risparmiarsi il volo in Scozia. Tanto più che Sky sta coprendo benissimo l’evento dalle otto e mezza del mattino sino a quando viene buio. Magari anche esagerando. Con Pietro Colnago che intervista un tifoso arrivato dal Texas e un altro avvolto nella bandiera dei tre colori, bianca rossa e verde, al quale domanda: “Di dove sei?”. E Stefano preparatissimo: “Di Cagliari in Sardegna”. Chi l’avrebbe mai detto? Vi dico invece io per chi tifa il Pat Riley d’Italia: ovviamente in cuor suo per gli yankee, ma non lo confesserà sotto tortura neanche a Massimo Scarpa e Silvio Grappasonni. Che sono bravissimi: piacevoli, disinvolti, puntuali, sempre sulla notizia e sul pezzo, come si dice in gergo. Altro che Fabio Caressa e Beppe Bergomi che sono stati sostituiti da Pierluigi Pardo e Stefano Nava persino nei videogiochi della PlayStation. La seconda giornata di Gleneagles si è aperta come si era chiusa la prima con l’irresistibile coppia Rose-Stenson che intascavano il terzo successo in altrettanti match play giocati, stavolta affondando Matt Kuchar e Bubba Watson, e il sesto punto per l’Europa, quello del 6-3. Stellare l’inglese, come l’ha definito Grappasonni. Caldissimo lo svedese come la marea di gente intorno. Ma poi i due terribili rookies texani, Spieth e Reed, 21 e 24 anni, e Furik-Mahan si sbarazzavano molto facilmente di Bjorn-Kaimer e Donaldson-Westwood riportando a una lunghezza (6-5) gli States che avrebbero anche raggiunto i nostri se nell’ultimo fourballs Ian Poulter non si fosse di colpo svegliato da un lungo sonno approcciando direttamente in buca alla 15 e infilando rabbiosamente un lungo putt con il birdie alla 16. All square, tutto pari, alla 18 e 6,5-5,5 al termine delle quattro palle. Nei foursomes del pomeriggio, come già ieri, non c’è stata invece storia e il team di McGinley ha preso il volo con il riscatto dei tandem McIlroy-Garcia e Donaldson-Westwood e la conferma del debuttante Dubuisson sostenuto da G-Mac, la volpe d’Irlanda. E così domani, dopo mezzogiorno, si ripartirà da 10-6 e dodici singles tutti da vivere cantando felici l’Inno alla Gioia e suonando a perdifiato le nostre cornamuse. Per riportare la Ryder Cup in America infatti Phil Mickelson e compagni dovrebbero vincere come minimo otto match play e pareggiarne uno. Vale a dire che, se anche scendessi in campo io, che sono una pippa, mi spiace per Tom Watson e Pietro Colnago, ma trionferebbe lo stesso il caro vecchio continente dal quale la Ryder non pare proprio volersi più staccare.