Solo stamattina ho buttato l’occhio su Croazia-Italia che si è giocata domenica nel tardo pomeriggio a Zagabria. Per così poco non dovete però adesso pensar male e cioè che la nazionale di MaraMeo Sacchetti non sia in cima alle mie attenzioni più o meno particolari. Se è per questo, sono stato venerdì anche a Torino per vedere al PalaRuffini l’esordio degli azzurri con la Romania. E vi giuro che mi sarei sparato alla tempia se Massimo Feira, juventino nell’anima, oltre che emergente ad dell’Auxilium, non mi avesse invitato dopo la partita fuori a cena. Come al solito non mi credete. Santa pazienza. E allora domandatelo a Peppe Poeta chi era seduto sui gradini della tribunetta al suo fianco durante il primo tempo di quello strazio? No, non era Cristina Chiabotto, che neanche c’era e che comunque si sarebbe molto probabilmente notata, ma il vostro scriba di palla nel cestino, come direbbe l’immenso Gianni Clerici, con tutti i suoi (e quindi miei) capelli bianchi, ma ancora qualcuno in più del playmaker della Fiat. Che non potete più chiamare semplicemente play perché potrebbe essere il diminutivo di playboy e lui ama invece essere considerato un ragazzo di strada che viene da Battipaglia con le sue belle braghe “acqua alta” che mostrano i calzini a scacchi colorati. Vada o non vada con l’ex ragazza Plin Plin. Dopo essere stato piantato da un paio di settimane da Francesca Premier, la stupenda figlia del grande Robi. Del Poeta magari vi novellerò meglio in un’altra occasione. Anche se vi capisco: vi è già venuto il prurito di sapere quel che ci siamo detti tra un canestro in avvitamento di Alessandro Gentile e una gran dormita in difesa dei giovanotti svogliati di MaraMeo. Abbiamo parlato di tutto tranne che di nazionale se è questo che vi preme sapere, ma adesso devo tornare a Croazia-Italia altrimenti sul serio potreste pensare che degli azzurri non me ne importa un fico secco. Piuttosto è appurato, se un po’ mi conoscete, che non ce la faccia assolutamente più a sopportare e a sentire quei due. Difatti, come minimo, tolgo l’audio su Sky non appena il leader della Banda Osiris si mette a strillare come un ossesso e Pessina pontifica: “E’ difficile prevedere una vittoria azzurra dopo aver preso 23 punti dalla Croazia nel primo quarto”. Però stavolta mi hanno garantito che Ciccioblack ha chiamato con il soprannome di Ricciolino il mio Amedeo Della Valle e allora, incuriosito più che risentito, sono andato proprio a vedere quattro giorni dopo se era vero quel che mi avevano raccontato o se invece mi volessero prendere per il cesto. E così ora vi posso confermare che a Tranquillo è scappato sul serio di chiamare Della Valle come affettuosamente lo chiamo io. Era il sesto minuto, 18-6 e un fallo fischiato al magnifico Ricciolino che s’era (forse) allacciato a Planicic. Quando cioè Sacchetti ha pensato bene di buttare al macero il suo quintetto iniziale, che sino a quel momento era stato indecente, e con il gioiello della Grissin Bon assieme a Filloy, il figlio Brian, Abass e Biligha ha rimesso le cose a posto contro la più sgangherata nazionale croata di basket che sia mai esistita dall’estate del 1991, ovvero l’anno in cui è nata la Repubblica istriana e dalmata. Difatti a Ciccioblack chiederò presto il conto. Ovviamente con ricevuta (fiscale) di ritorno. Mentre aspetto ancora e sempre che mi rinnovi la sfida a duello in tivù che mi aveva proposto un giorno di qualche secolo fa e che avevo con entusiasmo accettato. E intanto, prima che vada anche lui in pensione, dove minaccia d’andarci ogni due o tre giorni, e non lo mandi prima invece io al diavolo, gli ricordo che Della Valle figlio di Carlo è un ex di Ohio State, ma soprattutto un giocatore di Reggio Emilia. Quindi cresciuto in casa nostra più che nella sua America a stelle e strisce. Che ci ha restituito un Federico Mussini che giocava in nazionale, era un amore e adesso non ha più una vera identità di gioco. Quanto a tutto il delirio di consensi che circonda la nuova Italia di MaraMeo non vorrei che si confondesse la simpatia che suscita comunque questa squadra, che è piccola e fragile, con la certezza che possa diventare col tempo grande e robusta. Intanto Alessandro Gentile non può pensare che il basket sia ogni volta una guerra tra lui e il resto del mondo. Così come non può essere Biligha, come sostiene sguaiatamente Tranquillo, il futuro della nostra pallacanestro. Altrimenti stiamo freschi. E la temperatura è già scesa sotto lo zero.