Se fossi Ale Gentile andrei subito a piedi a Houston

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Don Chisciotte della Mancia e Sancio Panza, o Pancia, scrivetelo pure come volete, stamattina sono andati al mare. E hanno fatto benissimo. Anche se le previsioni del tempo sono quelle che sono: acqua a catinelle nel primo pomeriggio e un venticello non proprio primaverile che scende dalle montagne. In groppa a Ronzinante e a un musso senza nome, Don Quijote e il suo scudiero sono comunque arrivati in spiaggia prima di chi in auto aveva sperato di non trovare la solita chilometrica coda sino al Lido di Jesolo o a Sottomarina, raggiungibili il sabato e la domenica come un miraggio nel deserto del Sahara. Mi raccomando, governanti dei miei stivali e dello Stivale: che non vi venga mai in mente di costruire qualche indispensabile superstrada delle vacanze. Non ve lo potrei mai perdonare. Siamo tutti stanchi morti: questi playoff ci hanno letteralmente spossato e ormai spolpato da cima a fondo. E già se ne cominciano a vedere le drammatiche, mostruose e deliranti conseguenze. Come racconterebbe il mitico Giandomenico Fracchia con voce sfiatata e vigliacca. Senti gente che straparla e gente che ha le traveggole. Vedi telecronisti sull’orlo di una irreversibile crisi di nervi e opinionisti che danno i numeri. Ubriachi di chiacchiere e di cifre che non valgono niente quando si gioca ogni quarantott’ore. Come ha tranquillamente detto Pittis a Dembinsky, o come cavolo si scrive, e per questo l’hanno fatto fuori? A mezzogiorno ho chiamato Acciughino per saperne di più, ma non mi ha risposto e non penso che ancora dormisse. Mistero gaudioso. Intanto Stefano Michelini salta da una piazza all’altra come una cavalletta e non molla una partita: giovedì era a Reggio Emilia, venerdì a Milano, ieri ad Avellino e oggi a Mestre, comune di Venezia. Dategli il cambio e fategli prendere fiato prima che schiatti e non mi possa offrire una cena come ormai mi va promettendo da mesi. Tanto più che anche mio nipote di quattro anni e mezzo, al quale Alessandro Gentile regalerà stasera la sua maglietta numero 5, ha capito che è innamorato pazzo di Cervi a primavera. Io preferisco Stefano Tonut, che ha gli occhi verdi e in questi playoff ha dimostrato che non mi sbagliavo un anno fa sul suo conto. Era come minimo da preolimpico. Esagero? Non credo. E invece Ettore il Messi(n)a non l’ha dispettosamente nemmeno inserito nella lista dei ventiquattro azzurri per Torino. Preferendogli i fratelli Vitali, Cerella e Cournooh. Ho allora chiesto spiegazione all’Uomo Dalmonte che ho incontrato nell’intervallo di gara 3 al Taliercio. Il quale abbracciandomi mi ha elegantemente risposto: “Mi appello al quinto emendamento”. Cioè alla facoltà di non rispondere. Concessa. Avrei pure voluto invitare oggi a pranzo Niccolò Trigari, il numero 1 come afferma anche Dindondan Peterson, con la sua bella Ilaria Capponi. Per la quale, lo sa anche la mia Tigre, nutro una sviscerata passione. Ma se Giannino Petrucci lo avesse poi scoperto, circondato com’è da arlecchini, servi di due padroni, e da spioni, avrebbe subito tagliato i ponti con entrambi e li avrebbe licenziati da TeleGiannina su due piedi. Che comunque chiuderà lo stesso a breve. Come ha già fatto senza senso con Simone Pianigiani. Che ha serie probabilità d’andare al Bayern di Uli Hoeness a Monaco di Baviera. Come spero. Mentre, se fossi Ale Gentile, dopo i fischi insulsi e immotivati di venerdì al Forum, e una perversa e diffusa barbara diffidenza nei suoi confronti, me ne andrei subito a piedi agli Houston Rockets e mi tufferei tra le braccia di Michelino D’Antoni e Gianluca Pascucci. Ma l’hanno o non l’hanno capito gli scienziati longobardi di Milano che il ragazzo sta giocando e stringendo i denti con una mano che non è ancora guarita e gli fa vedere le stelle? Il figlio del mio ex Bonsai di Caserta e di Maria Vittoria è il solo italiano con Danilo Gallinari che ha il diritto di cittadinanza nella Nba. Dove guadagnerebbe di più che all’Armani. Che lo paga comunque bene. Diciamo il giusto. Intanto alle due si è scatenato un temporale di tuoni e fulmini che in un lampo ha distrutto i castelli in aria che aveva costruito sulla battigia il mio Don Chisciotte. Che non mi accompagnerà né al Palaverde, dove vedrò la bella Dulcinea del Toboso, al secolo Ilaria Capponi, né di corsa al Taliercio, dove Ale Gentile chiuderà forse il conto con la Reyer. Del resto il cavaliere errante di Miguel de Cervantes troverà al Lido di Jesolo tanti di quei grattacieli che lui vorrà affrontare sotto la pioggia e abbattere, credendoli mulini a vento, che farà notte fonda. E poi, mi ha confessato, sarei pure stufo di fare il saltimbanco da un parquet ad un altro. “Lasciami riposare almeno la domenica. Né so come tu faccia a scrivere tutti i santi giorni”. In effetti sono più di due settimane che ogni ventiquattr’ore passo da un argomento all’altro senza saltare una sola partita dei playoff. E mi sento in verità anch’io un po’ esausto e sempre meno lucido. Come il Michelini che chiede al Gallo: “Ma ami l’opera?”. E il Gallo, ben educato da Vittorio e Marilisa, non gli ha risposto: “E tu sei fuso?”, ma ha sorriso imbarazzato guardandosi intorno e magari a sua volta domandandosi: “Ma cosa tornato a fare in questo Paese di matti?”. Per vincere il preolimpi, co di Torino. Altrimenti Malagò spara a Petrucci. E non mi sembra proprio carino.