Una storia del pallone finita in carcere: Fabrizio Miccoli

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E poi gli editori anche si lamentano che nessuno compra più i loro iornali. A parte il vostro scriba che odia gli iPad e li sfascerebbe in testa a chi non se ne separa neanche quando sta mangiando in trattoria con l’amante. E comunque compro ogni giorno dai quattro ai cinque quotidiani per una cifra che a fine mese supera abbondantemente i duecento euro. Anche se magari poi solo li sfoglio, più che leggerli, e persino con qualche giorno di ritardo, meglio se seduto sulla tazza del bagno, però sento un bisogno perverso, quasi fisico, d’avere sempre in mano l’articolo di carta e di ritagliarlo se proprio m’interessa. Così come mi piace la pasta e fagioli del giorno prima molto più di quella che ti scotta la lingua o ancora ti borbotta in pancia. Ieri il Corriere ha titolato: “No Vax fuori da stadi e hotel”. E oggi il Gazzettino: “No vax, niente stadi e ristoranti”. Per la serie: copio e incollo la notizia. Vergogna! E non credo serva aggiungere altro. Del resto il direttore del giornale dei veneziani, Roberto Papetti, più trombone che trombettista, anche perché non è nemmeno parente alla lontana del bravo e compianto Fausto Papetti da Viggiù, si è rifiutato il mese scorso di pubblicare il comunicato del comitato di redazione che spiegava le ragioni dello sciopero di ventiquattr’ore perché sarebbero probabilmente andate di traverso ai suoi padroni. Che poi sono i Caltagirone, anche con due gi se vi garba e con Azzurra, ex moglie di Pier Ferdinando Casini, alla presidenza. Brindo allor dunque alla libertà di stampa con l’acqua del sindaco e cambio in fretta discorso credendo non serva anche spiegarvi le ragioni per cui Roberto Papetti sia direttore del Gazzettino da quindici anni dopo essere stato per un lustro il vice di quell’odioso di Maurizio Belpietro al Giornale nonostante il quotidiano di via Torino a Mestre, che sosteneva il Doge Giancarlo Galan e ora Luca Zaia, mentre guarda sempre in cagnesco Napoleone Brugnaro, perda copie a rotta di collo e continui a licenziare a più non posso e senza preavviso soprattutto i tipografi. Ai quali, poveracci, poi non rimane che cambiare lavoro. Se lo trovano. In verità del Gazzettino leggo assiduamente solo la pagina dei morti. Dove purtroppo negli ultimi tempi ho trovato molti cari amici. Mentre le chicche di basket gliele passo io su Facebook all’Anonimo veneziano che è pure un No Vax e quindi le partite della Reyer le guarda in televisione perché le spese sostenute per tamponarsi sarebbero comunque superiori ai soldi che incassa dalle sue mirabolanti articolesse. Nelle quali si scaglia ogni giorno con inaccettabile accanimento contro la squadra di Walter De Raffaele che male che vada arriverà invece in semifinale scudetto soprattutto se recupererà al cento per cento il suo capitano Michael Bramos che è out da nove mesi per una brutta fascite plantare. Ieri e oggi per la verità volevo saperne di più su Fabrizio Miccoli, condannato in via definitiva a tre anni e mezzo di reclusione per estorsione aggravata dal metodo mafioso, e così ho cercato sue notizie sul Gazzettino sfogliandolo e risfogliandolo almeno tre volte. Quella di Miccoli è la storia infatti di un ragazzo che giocando a pallone anche nella Juventus a diciott’anni, otto gol, e pure in nazionale, dieci presenze, e poi nella Fiorentina e nel Benfica e soprattutto nel Palermo in serie A (81 reti), avrebbe potuto avere una gran fortuna. Era svelto nel dribbling. Furbo e pure simpatico. E invece dal primo pomeriggio di ieri è rinchiuso nel carcere di Rovigo. Che, se non sbaglio, è capoluogo di provincia del Veneto dove il quotidiano di Roberto Papetti ha pure un ufficio di redazione. Ebbene neanche un rigo ci ho trovato in una cinquantina di pagine. Forse perché, come si dice dalle mie parti, di Rovigo non m’intrigo. A meno che non ci si occupi di quella palla ovale, chiamata bislunga, che non si può mai passare in avanti. Come fa Escargot Rabiot in bianconero. Mentre il Corriere ci ha spiegato in una mezza facciata abbondante che Miccoli si è consegnato alla casa circondariale di Rovigo perché vuole “staccare il più possibile da tutto e da tutti”. Lontano dalla sua Lecce e lontanissimo da Palermo, la città che lo aveva adottato, stregata dalle sue magie, ma anche la città che gli ha rovinato la vita.