La Lokomotiva che ha spinto la Reggiana fuori dai binari

loko

A due passi dal cielo è finito il sogno. Dispiace, e non poco, ma il Kuban è di un’altra categoria e lo sarebbe stato anche il Darussafaka di Istanbul. Però è stato bello lo stesso. E la gente di Reggio Emilia, se Dio vuole, lo ha capito applaudendo i suoi grissini al termine dell’impari sfida come meritano gli sconfitti se sul campo di battaglia si sono comportati da veri eroi. Ricciolino Della Valle con la schiena a pezzi non stava nemmeno in piedi, eppure si è battuto sino all’ultimo e comunque dalla lunetta non ha sbagliato un colpo. Markoishvili, se glielo avesse chiesto Max Chef Menetti, avrebbe anche buttato le stampelle oltre le barricate addosso a Collins, ma non lo avrebbe lo stesso fermato. Chris Wright non ha ripetuto la fantastica partita con lo Zenit di San Pietroburgo quando avrebbe infilato la palla anche nella cruna di un ago. Lo so, questo l’ho già scritto, ma l’immagine mi è troppo piaciuta e nessuno mi può vietare di poterla ripetere ogni qual volta mi pare. Però parliamoci chiaro: se il play del Maryland, che da sei anni coraggiosamente combatte con la sclerosi multipla, segnasse sempre 25 punti sbagliando poco o niente, specie nelle fasi calde della contesa, non giocherebbe nella GrissinBon, ma come minimo in un’EuroLega d’alto livello. Ho un debole per Reynolds, e non l’ho mai nascosto, ma, se Cervi sente la primavera e Julian Wright non gli dà una grossa mano, come poteva da solo arginare la furia cosacca? Kuban porta sul petto la scritta Loko che immagino sia il diminutivo di Lokomotiv e così l’ha chiamato per tutta la partita Niccolò Trigari. Ma loco in spagnolo vuol dire matto e di folle la squadra russa ha davvero poco o niente. A parte Joe Ragland, ex Cantù, Milano e Avellino, che però pare abbia messo la testa a posto e beva soltanto Coca Cola, e il suo allenatore, Sasa Obradovic, che fa paura quando urla a muso duro ai giocatori neanche volesse divorarseli ad uno a uno. Difatti ho temuto per l’immenso Frank Elegar, che è passato anche per l’Armani di Gelsomino Repesa senza tuttavia lasciar traccia (37 punti in appena sei comparsate) e che, agli occhi del lucifero serbo, aveva commesso il grave torto d’aver sbagliato, pensate un po’, un canestro dopo otto centri di fila. Semmai il Lokomotiv mi ha ricordato la locomotiva che sembrava un mostro strano. Come canta Francesco Guccini nel brano con il quale il cantautore modenese chiude tutti i suoi concerti. La Lokomotiva di Krasnodar ha spinto la Reggiana fuori dai binari già prima dell’intervallo lungo e così nella ripresa, se devo essere sincero, intuendo come sarebbe andata a finire, ho cambiato canale e mi sono visto Italia-Argentina 0-2. Reti di Banega e Lanzini su assist di Higuain. Mi potrò anche sbagliare, ma credo che nel prossimo autunno vedremo Kuban in EuroLega e così la potremo conoscere ancora meglio. Intanto la Grissin Bon esce a testa alta dall’EuroCup e non è la solita frase fatta o di circostanza della quale abusano i commentatori di Eurosport dopo ogni caduta di Milano. Reggio Emilia, anzi, è andata molto più lontana di quanto ci si potesse immaginare e il basket italiano deve essere comunque orgoglioso della sua bella creatura che sabato di Pasqua al Forum si ritufferà nel campionato. Dove, per conquistare i playoff, dovrà sudare sette camicie e vincere almeno sei partite delle restanti nove. La serie A è ricominciata ieri sera con l’anticipo di Capo d’Orlando e l’agghiacciante notizia che solo ora ho appreso dell’improvvisa morte di Marco Solfrini. Non ho parole. Lo chiamai Tiramolla perché s’allungava dappertutto. Me lo presentò un giorno il grande Barone Sales che è stato il suo primo allenatore nella Pinti InoxBrescia: questo è un ragazzo d’oro, mi disse, e questo di lui ho sempre pensato. Timido e buono: era un amico anche su Facebook. Ma l’ultimo ricordo lo lascio volentieri a Valerio Bianchini col quale Marco ha vinto la Coppa dei Campioni: “Davvero maledetta questa primavera che oltre al vento dalla Siberia porta la tragica morte di Marco Solfrini. Come giocatore qualsiasi allenatore avrebbe voluto averlo nella sua squadra. Il perfetto slasher, l’amato Tiramolla, il Julius Erving italiano era anche un giocatore di rara intelligenza che in campo o in panchina vedeva quello che io non riuscivo a vedere. Ma era anche il compagno nel viaggio della vita col quale potevi confidarti e parlare di cose che erano lontanissime dal nostro mestiere di sportivi. Marco era un fiore di rara bellezza spuntato tra le asperità del mondo dello sport che ti chiede solo di lottare sempre”. Sit tibi terra levis, caro Tiramolla.