Il putt di Jim Furyk che ti fa venire il latte alle ginocchia

Mi sbaglierò anche, è assai probabile, ma da due giorni non ho trovato una riga di golf sulla Gazzetta. Eppure c’è l’Open di Spagna a Girona, non lontano da Barcellona, con sette magnifici italiani in gara. Niente paura, ve ne parlerò io, altrimenti cosa sono qui a fare? L’appuntamento è per oggi alle 16 su Sky Sport 3, ma prima mantengo la parola e vi racconto, sempre a modo mio, o a mio modo, è uguale, quel che è successo domenica a Ponte Vedra in Florida nell’ultimo giro del Players Championship che è considerato il quinto Major del Pga Tour non fosse altro per il favoloso montepremi: 10 milioni di dollari tondi tondi che, una volta, sarebbero stati 20 miliardi di lire. Non so se mi spiego. Difatti Martin Kaymer, il vincitore, si è messo in berta un assegnino da un milione e mezzo di euro con i quali potrà comprarsi tutto quello che vuole. Anche una Ferrari FF per ogni giorno della settimana. Il bel tedesco si era in verità un po’ perso negli ultimi tre anni dopo che era stato anche il numero uno del ranking mondiale ai tempi in cui Tiger si era fatto beccare dalla ex moglie a flirtare con un paio di milioni di donne di qualsiasi forma, colore e nazione, e quindi aveva ben altro a cui pensare di una pallina oltretutto vaiolosa e poco sessuale. Difatti era scivolato, alla vigilia del Masters di Augusta ad aprile, lontano dai migliori dieci in classifica. Che erano, nell’ordine, Woods, Scott, Stenson, Day, Michelson, Garcia, Kuchar, Rose, McIlroy e Zach Johnson. Come vedete, non mi sono perso nulla. Anche se non scrivevo di golf e ho la sacca in soffitta con le ragnatele. Ma questo gioco è troppo intrigante e spettacolare per non seguirlo, quando posso, almeno in televisione. Molto meglio, tanto per dire, della finale di ieri sera a Torino di Europa League o dell’ultimo derby di San Siro con la grande Inter di Walter Ego Mazzarri che non ha fatto un tiro in porta in novanta minuti (più i recuperi). Sempre che non sia sul green Jim Furyk e debba pattare da qui a lì. Come alla 17 di Ponte Vedra, uno straordinario par tre con l’oceano davanti e la bandiera sull’angolo estremo dell’isolotto verde. Ebbene ho cronometrato il putt dell’americano della Pennsylvania che ti fa venire il latte alle ginocchia e che, per imbucare la pallina da due metri, ci ha impiegato un minuto e trentatré secondi. Il tempo cioè per andare a fare la pipì, guardare cosa c’è in frigo, scartare il mottarello e tornare a vedere Furyk ancora che studia la linea, toglie e mette il marchino, pulisce e risistema la pallina. Una routine infinita che sfinirebbe anche un bue. Però alla fine, dopo che la sirena che annunciava tuoni e lampi aveva sospeso la gara e rinviato il suo ultimo putt di un’ora e mezza, Jim Furyk ha conquistato il secondo posto a un solo colpo da Martin Kaymer e uno in meno del mio coccolo Sergio Garcia. Ma nessuno l’ha applaudito: stanchi e stremati gli spettatori se ne erano già andati tutti via.