E non c’è niente da capire, De Gregori e De Gregorio

passo d'uomo

La finestra spalancata sulla primavera. Tra tetti, antenne e parabole, comignoli che non fumano e un antifurto che suona nella notte. Una folata di vento all’improvviso fa volar via i ritagli di giornale da un piatto d’argento che ho vinto chissà quanto tempo fa ad una gara di golf. Un tempo giocavo a golf almeno tre quattro volte alla settimana. E facevo la mia figura tra i seniores. Adesso non passa sera nella quale non mi riprometta d’andare domani al circolo che poi è solo a un quarto d’ora di superstrada da casa. A Zerman di Mogliano Veneto. Tra alberi in fiore e profumo di fieno. Ma il giorno dopo riesco sempre ad inventarmi una scusa: fa ancora freddo, forse anche piove, devo passare in banca, mi ero dimenticato di vedere una partita che mi ero registrato, scrivo e poi magari vado al cinema. Il feeling col golf probabilmente si è già rotto ed è un vero peccato: lo so benissimo. Ma domani sarà bello, lo dicono anche le previsioni di Sky Meteo 24, che di solito c’azzeccano. Chissà? Vedremo. Tanto più che i miei nipoti sono al mare e la Juve ha già vinto lo scudetto. Nonostante Allegri, mezzo milione al mese. Non vi sembra un’esagerazione? No, è soltanto una provocazione. Vengo spesso considerato un bastardo, però se me lo dice uno che non stimo, lo prendo per un complimento e me la rido. Ma perché vi sto raccontando tutte queste cose? Forse perché sono matto come don Chisciotte, il mio unico eroe di questo stupido millennio. E comunque sono migliore di molti di voi. Uomini piatti, tutti uguali, insignificanti, banali, vuoti. Con un diavolo per capello raccolgo allora i vecchi ritagli che sono caduti svolazzando dalla scrivania come le foglie impazzite ad autunno. Mi scappa uno starnuto, chiudo la finestra: sarà il caso. Non è ancora così caldo. Sono cresciuto a Dalla e De Gregori, Gazzetta dello sport e boccette senza buche. Si boccia solo quando il pallino è oltre il castello. Non ho mai portato il Manifesto infilato nella tasca dell’eschimo, però Lucio Battisti mi era odioso. Forse perché dicevano che fosse di destra estrema. Quanto è profondo il mare, la donna cannone, un ricordo che vale dieci lire. E non c’è niente da capire. Ripongo proprio il libro di Francesco De Gregori, Passo d’uomo, nel quale si racconta ad Antonio Gnoli. E sto dalla sua parte, mi pare scontato, quando nel dialogo fitto con il giornalista di Repubblica, penso suo amico, trova ingiusto che in Italia il cantante, e non dice cantautore, venga considerato una persona ignorante e festosa. Difatti lui si crede un artista e lo è senza dubbio alcuno. A cosa pensi? Gli chiede all’improvviso Gnoli. “Alla fine degli anni Sessanta e alla guerra nel Vietnam, con i giovani italiani a vivere in prima fila il loro Sessantotto. Con un paio d’anni di ritardo ci siamo scoperti tutti antiamericani”. Nel ’68 ho fatto la maturità classica in un collegio di preti. A Treviso. Lo stesso di Lucio Dalla che due anni prima aveva esordito a Sanremo con Paff…Bum! Tre puntini più un punto esclamativo: non ditelo a Gianni Mura perché potrebbe anche andar via di senno. Nel 1979 De Gregori intraprese proprio con Lucio la tournée Banana Republic. E questo è il suo ricordo, profondo come il mare: “Mi viene in mente Moby Dick. Verso la fine del romanzo, quando sta per accadere la tragedia, Ahab pensa con nostalgia alla moglie che ha lasciato a casa. Guarda prima il mare e poi il cielo. Sono una cinquantina di righe e alla fine gli cade una lacrima e Melville dice che c’erano più cose in quella lacrima di Ahab che in tutto il Pacifico. E piange, non a dirotto ma con una sola lacrima. Allora, quando il cronista mi chiede il ricordo di Dalla, non vorrebbe vedere spuntare una sola lacrimuccia, bensì che mi esercitassi in un pianto torrenziale. E’ un gioco che non mi diverte e al quale non ho voglia di partecipare”. I giornalisti in generale, come a me, non gli devono essere molto simpatici. L’occhio cade sul ritaglio di una foto di prima pagina e l’inizio del pezzo di Concita De Gregorio. “Che frase, che giro di note sono state le tue ultime, Lisa? Che musica ascoltavi, in cuffia, ieri mattina? Dieci minuti prima delle otto: è tardi, è tardi, devo correre. Rihanna, forse. Amavi tanto Rihanna, ti facevi chiamare Rirì”. Da De Gregori a De Gregorio: da fiore a fiore e di fiore in fiore. Lisa aveva diciannove anni ed era bella. E aspirava a fare la top model. Ha attraversato i binari ed è stata travolta dal treno. Ho fatto pure io tardi. Neanche oggi vado al golf. Magari domani. Dovevo andare stamattina anche alla Misericordia. Al raduno dei Maturi baskettari. Grazie, ma non mi sento già tanto vecchio, né ho bisogno che, per essere felice, mi dicano “leggo solo te: sei l’unico che canti fuori dal coro”. Questo è vero. Però, se non me lo dite più, mi fate più contento ancora.