Da più di una settimana stavo sull’Aventino che si scrive con una sola vi ed è uno dei sette colli di Roma. Così in una sola riga ho dato due dritte a quell’asino di Gigetto Di Maio che non so se zoppichi più in italiano o in geografia: è una bella battaglia. Come lo è stata domenica la sfida di Pesaro. Della quale, come al solito, vi hanno raccontato quello che hanno voluto e soprattutto vi hanno tenuto nascosto di come ha fatto la Reyer a vincere (86-89) una partita che a cinque dal termine (81-68) aveva già perso. Perché Austin Daye non si tocca. Nemmeno quando fa più danni della grandine ed è una pesantissima palla al piede di Walter De Raffaele, ma per fortuna commette il quarto fallo in attacco, se ne lamenta e becca anche un tecnico, ed è sostituto da Tonut che segna sette punti di fila e salva capra e cavoli. Mentre al compare di merende e di Palazzo Chigi, Matteo Salvini, prima che sia anche lui bocciato all’esame di quinta elementare, volevo ricordare che non occorre che prenda l’elicottero con la felpa dell’Alitalia per salire sull’Aventino, ma basta e avanza che ripassi un po’ la storia e capisca che neanch’io mi sono mai spostato dalla mia scrivania negli ultimi dieci giorni. Eppure avevo ugualmente preso le distanze da tutti. Non volendone più sapere dei patrizi e dei fascisti del nostro basket, della Banda Osiris e dei suoi fiancheggiatori, dei preti falsi e degli allenatori che non ammettono mai d’aver sbagliato, dei servi sciocchi e dei padroni che si guardano allo specchio e non vedono quanto sono disgustosi. Anche a costo d’abbandonare a malincuore una volta per sempre questo blog di satira che è unico al mondo, perché non raccoglie pubblicità e non ha prezzo, ma per il quale non avevo la minima intenzione di rovinarmi la salute solo perché non mi allineo a quelli, e non sono pochi, che prendono la mancetta dalla Lega e magari mi considerano un povero mentecatto perché non vado matto per MaraMeo Sacchetti e respingo al mittente le veline che mi arrivano dal Palazzo romano. Poi nei giorni scorsi ho letto cose che mi hanno lo stesso ingrossato il fegato e ho sentito discorsi da far accapponare la pelle. E mi sono domandato: posso in coscienza lasciare che continuino impuniti a combinarne di tutti colori senza che nessun altro muova un dito per smascherare i loro imbrogli? Anche perché questo è quel che vorrebbero. E allora risalgo sulla giostra e stavolta sarò tremendo. E più nemici avrò e più sarò contento. Non scherzo. Riprendendo a duellare a muso duro con gli indiani di Flavio Tranquillo dai quali mi sentirò circondato durante le final eight fiorentine di Coppa Italia peggio del colonnello Turner a Fort Apache, ma soprattutto non la farò passar più liscia a chi in groppa ai cavalli a dondolo crede di poter addolcire tutti con qualche zolletta di zucchero e un paio di carote. Staccandomi dal coro delle voci belanti che adesso cantano le lodi della Virtus soltanto perché ha vinto per sbaglio una partita con una Sidigas (senza la stella Nichols) che, se non è alla canna del gas, poco ci manca e comunque lo era stata sino a poco tempo fa. Quando avrebbe dovuto essere pesantemente penalizzata per la porcheria del tesseramento di Patric Young e invece nessuna gazzetta ufficiale ha denunciato il fatto. Dal momento che avrebbe magari disturbato Giannino Petrucci che se la dormiva di gusto e che già aveva chiuso un occhio di fronte alle evidenti irregolarità commesse dalla Cantù di Gerasimenko al momento della sua iscrizione al campionato di serie A. L’incredibile è che nel Bel Paese dei canestri c’è ancora chi difende e teme il furfante russo che non può più muoversi da Cipro altrimenti in patria lo sbattono in galera e buttano via la chiave. Ora Nicola Brienza è diventato l’eroe nazionale al quale non si può negare d’allenare l’Acqua San Bernardo nella trasferta di sabato a Reggio Emilia. Che con due o tre mesi di ritardo ha mandato via Devis Cagnardi e adesso chiede a Pilla Pillastrini i miracoli. Ma nemmeno questo potrei scrivere se fossi anch’io un benpensante ad un tanto al chilo. Mentre sapete invece cosa vi dico? Che anche Torino, dalla quale la Fiat non vede l’ora di potersi separare a giugno, ha i suoi debiti e i suoi guai di cui però quasi nessuno parla. Così come nessuno vi racconta che il calcio ride di noi se all’intoccabile Luca Baraldi lasciamo fare tutto quel che gli gira per la testa. Anche d’assumere una sartina di campagna perché gli dà fastidio che le retine dei canestri abbiano un buco sul fondo e ha dato per questo ordine al sergente Paolo Ronci di cucirle magari prima che gli arbitri se ne accorgano. Robe da matti. Al contrario, se la Federazione di Petrucci “arriva al paradosso di punire Milano per una propria mancanza” dandogli persa la partita vinta a Pistoia, come hanno giustamente scritto su Facebook Valerio Bianchini e quel sant’uomo che è Santi Puglisi, tutti si sono accaniti non contro il baraccone della Fip, ma solo con l’Armani. Tant’è che, se fossi Re Giorgio e potessi bruciare il mondo, non darei più neanche mezzo centimetro quadrato di pubblicità a quei giornali che non perdono occasione per deridere le scarpette rosse dell’Olimpia. Che non poteva sapere che Nunnally, nella foto, era stato squalificato due anni e mezzo fa senza comunicarlo al fuoriclasse di San Jose che intanto si era accasato in Turchia al Fenerbahce. E difatti oggi il reclamo di Milano contro il 20-0 a tavolino del giudice sportivo dovrebbe essere accolto dalla Corte d’Appello. Altrimenti il Proli in totale buonafede non avrebbe torto a chiudere furioso di nuovo i ponti con Giannino e il suo Palazzo dorato. Tenendo per sè tutti i nazionali. Tanto più che Sacchetti non avrà mica bisogno dei Cinciarini, i Della Valle e i Brooks per battere i magiari? Mi auguro proprio di no.