Se questo è Clyburn, tanto vale rispedirlo subito all’Efes

Non bastava il doppio turno d’EuroLega di basket tra martedì e stasera, anche la serie A di calcio doveva giocare la sua decima giornata di campionato nel cuore della settimana? Insomma ditemi voi quando avrei potuto scrivere prima d’oggi al calar della sera dopo essere stato a mezzogiorno e dintorni al cimitero di Zelarino (con un’elle sola) in aperta campagna. Dove mio nonno Beppi andava a caccia d’allodole ho spiegato a mio nipote Rocco che per la prima volta metteva piede in un camposanto. In quel luogo di frastornante silenzio e d’autentica pace che gli è piaciuto così tanto come non l’avrei mai pensato. Anche se l’avrei dovuto immaginare conoscendo la sua sensibilità già ormai da grande. E dove vorrei un giorno (ancora lontano) essere pure io seppellito. Accanto a mia madre e a mio padre. Che proprio domani saranno 26 anni che se ne è andato. Era un uomo molto preciso specie nel suo lavoro (d’eccellente avvocato) mi raccontò illo tempore un suo amico. Così preciso da ricordarti, aggiunse, se non t’offendi, che è morto proprio il due novembre. Già, è proprio vero.

Sto leggendo un libro di Eshkol Nevo, cinquantatreenne scrittore di Gerusalemme, nipote di Levi Eshkol, terzo primo ministro d’Israele, ma non è per questo che ve ne sto parlando. Piuttosto in Legami, interessanti o banali storie di padri e figli, d’amori e d’amicizie abbattendo i soliti pregiudizi, Eshkol, che credo sia il suo cognome davanti al nome, scrive in maniera così chiara di temi anche delicati attraverso i dialoghi che molto volentieri vorrei far miei se un giorno dovessi accontentare mia figlia Giorgia e buttar giù qualcosa che ricordi i miei giorni felici di quand’ero inviato in tutto il mondo per lo sport del Giorno a sei zampe e non del misero editore che va a cavallo sempre in sella solo grazie a quello che gli ha lasciato in eredità il nonno Artiglio Monti.

Suo padre se n’era andato di casa quando lui aveva nove anni. Il giorno prima l’aveva portato al mare, in spiaggia. Durante la discesa lungo il sentiero che partiva dal parcheggio, gli aveva tenuto la mano senza mai lasciarla. Una volta seduti davanti alla piscina naturale tra le rocce, il padre aveva detto, non ce la faccio più a vivere con la mamma. Siamo tutti e due troppo testardi. Ma questo non significa che smetterò d’essere tuo padre, Sì. Sei la cosa migliore che mi sia successa nella vita e a te non rinuncio. La cosa migliore della vita, capito? Sì. Fosse anche la sola che riuscirò a fare bene nella vita, andrà così. Come? Ovunque mi trovi, qualunque cosa faccia, io per te ci sarò sempre. Papa? Sì? Possiamo entrare in acqua, ora?

Così scrive Eshkol Nevo. Sul serio maagnifico! Senza le virgolette. Che pure io detesto. Per non dire odio. Come Gianni Mura non poteva sopportare i tre puntini e il punto esclamativo che pure il suo adorato maestro, Gianni Brera, ha usato persino nel titolo del libro che l’altro giorno ho acquistato alle bancarelle per appena tre euro: Derby! Un’affarone! Edito da Baldini&Castoldi nel 1994. Trent’anni fa. Quando costava 22.000 lire. Con la prefazione del figlio Paolo. Gianni Brera se ne era andato più o meno due anni prima, il 19 dicembre 1992. Alle 3.20 di un sabato sera in un incidente stradale nel quale la Ford Sierra in cui viaggiava seduto sul sedile posteriore, probabilmente appisolato, fu travolta da una Lancia Thema che procedeva in senso opposto a folle velocità. Dopo una gran bella ultima cena a base di ragù d’oca con una dozzina d’amici a Maleo, Malè in dialetto lodigiano. Tra i quali Ambrogio Pelagalli, l’ex mediano del Milan di Nereo Rocco  che divideva il ruolo di titolare con Giovanni Trapattoni o Victor Benitez nel Milan che nel 1963 portò in Italia la prima Coppa dei Campioni battendo in finale a Wembley il Benfica di Eusébio (2-1, doppietta d’Altafini).

Cronaca. Ottobre 1961: Milan 3, Inter 1. Dal Giorno. Sorprendente inizio milanista. Al 4’, su angolo di Rivera, inzucca Pivatelli liberissimo, ma mette a lato (era una palla gol). Primo tiro dell’Inter – un po’ sorpresa – al 7’: lo telefona Corso a Ghezzi. Al 15’, Greaves di testa cerca Pivatelli, che cade sotto Guarneri e Bolchi. Rigore! invoca. Ciao. Al 18’, il crak. David anticipa Corso e fa partire Conti oltre Masiero: Luisito Suarez corre all’incontro. Sull’estremo (sic)!. E intanto sono già due i punti esclamativi in poche righe usati dal Giuann. Quindi sarà lecito anche a me utilizzare  più tardi i tre puntini (…) che, quando ci vogliono, ci vogliono. Come no? Proseguendo, Conti gli spara il cross nelle gambe: palla in fallo: rimessa di Conti per David: legnata spiovente in area; ancora libero da… Bolchi. Mentre qui darei anche ragione a Mura, i tre puntini mi sembrano di troppo. D’accordo, ma cosa ha poi combinato Mario David da Monfalcone? Legnata spiovente e incorna a rete da cinque metri, sulla sinistra di Buffon. Milan uno Inter zero: evviva! Questo bel punto esclamativo lo metto io, non lui. Che era innamorato della Beneamata come del Genoa. E non poteva vedere l’Abatino Rivera.  

Ho copiato un passo di Gianni Brera per dimostrare come anche un pezzo di pura cronaca possa avere il suo valore e il suo splendore. D’accordo, oggi guardano tutti la partita su Dazn o su Sky a prezzi da capogiro e dunque si può anche fare a meno – credono i giornalai con tutto il rispetto per i giornalai – di raccontare chi ha dato la palla a Tizio e quale errore di marcatura ha commesso Caio. E così nessuno compra più i quotidiani. Forse anche perché nessuno scrive più divinamente bene come l’inimitabile Gianni Brera. O come Gianni Clerici e Mario Fossati. O come Giulio Signori e Giorgio Reineri. Tutte grandi firme del Giorno d’allora nel quale sbarcai che avevo appena compiuto trent’anni. Con mio padre incazzato perché avrebbe voluto che facessi anch’io l’avvocato o almeno avessi preso una laurea in farmacia. Piuttosto mi sarei tagliato un dito o forse solo i capelli abbastanza lunghi. Insomma non mi ci vedevo proprio dietro un bancone a vendere preservativi. Signore, li vuole alla fragola o alla menta? Prendendo, ma soltanto fisicamente parlando – sia chiaro – il posto di Brera nella stanza al quinto piano di via Fava. Al fianco di Franco Grigoletti, un mio secondo padre. La stessa sedia, la stessa scrivania, la stessa enorme macchina per scrivere tutta nera, lo stesso portacenere. E al massimo qualche aggettivo dimenticato nella tastiera.

Nessuno, fateci caso, oggi scrive più la cronaca di una partita. Di pallone, ma anche di basket o di volley. Neanche fosse avvilente e deprezzante. Difatti mercoledì ero a Sant’Elena per il derby triveneto tra il Venezia e l’Udinese e mi era sfuggito di vedere chi mai fosse stato lo sfortunato (più che scellerato) difensore bianconero che sullo 0-2 al minuto 41 del primo tempo aveva falciato da tergo in area Joel Pohjanpalo senza accorgersi che il bomber finlandese aveva ormai perso il controllo della palla dopo uno stop maldestro e sinistro alla Dusan Vlahovic. Ebbene ho passato tutto l’intero pomeriggio di giovedì, e per questo anche ieri non mi sono seduto al computer, mi credete?, anche no e fate bene, cercando su tutti i giornali sportivi e pure su quelli politici nazional-popolari, locali e persino neofascisti, qualcuno che mi potesse aiutare a scoprire il misterioso autore del fallo su Pohjanpalo che ha determinato il rigore dell’1-2. Bijol, Giannetti o Tourè? Alla fine mi sono arreso e ho acceso la televisione scoprendo dopo lunghe ricerche sull’inaccessibile Dazn che il misfatto era stato compiuto dall’argentino di San Nicolas, Lautaro Giannetti, che il 13 di questo mese festeggerà i 31 anni e gli regalerò canestri d’auguri su Facebook.

Tutti invece si sentono autorizzati a sparare alla viva il parroco, o alla carlona, scegliete voi, sballatissimi voti sulla partita senza magari nemmeno sapere che le pagelle le ha inventate proprio Gianni Brera. Il quale, prima della puntuale cronaca di quel Milan-Inter 3-1 di sessantatre anni fa, aveva già mirabilmente detto la sua. Fedele alla tradizione, tanto ricca di paradossi tecnici ed agonistici, il 135° derby ha rilanciato la squadra meno favorita dal gioco e dalla sorte – il Milan – frastornando irreparabilmente la più sicura di vincere, l’Inter… E ancora: Rocco non aveva altra via che catechizzare i difensori sino a convincerli d’essere poveretti e non virtuosi: che ci dessero dentro senza badare a finezze o altro di men che pratico. Ha fatto il discorso della Montagna a Pivatelli, questo imbrocchito (sic!) asso del mondo pedatorio. E ha dato a Conti la soddisfazione di venir preferito a Danova, più abile di lui ma anche meno gagliardo… E di Helenio Herrera cosa ha invece scritto? Visto come Picchi faticava con Rivera, un’altra mossa avrebbe dovuto compiere il Mago: mandare Zaglio (libero) su Pivatelli e Bolchi su Rivera che conosce benissimo…

Nel ’61 avevo più o meno l’età che ha oggi mio nipote che al calcio ha ormai strapreferito la pallacanestro e ogni giorno difatti mi supplica d’accompagnarlo al campetto. Anche se il canestro è uno solo e non ha la retina. Bene. Se invece avesse potuto solo leggere come me le note di quel derby scritte da Gianni Brera, forse al lunedì mi avrebbe pure chiesto di comprargli il Giorno. Pomeriggio di incerto sole; campo verdeggiante e un po’ grasso per la pioggia della notte. Qualche arcigno pestone di Masiero a Conti, fuori a più riprese. Presente l’élite del calcio ufficiale, con Ferrari, ct della federazione, e Foni, ct della Lega. Angoli: Inter 6, Milan 3. Spettatori circa 80.000. Io invece ancora mi diletto a rileggere le due formazioni dolci come rosolio: quella rossonera con un solo straniero (Greaves) mancando Altafini e quella nerazzurra con due (Hitchens e Suarez). Pochi ma buoni. Che dico? Eccellenti. Milan: Ghezzi, David, Zagatti, Pelagalli, Maldini, Trapattoni, Conti, Greaves, Pivatelli, Radice, Rivera. Inter: Buffon, Picchi, Masiero, Bolchi, Guarnieri, Zaglio, Mereghetti, Bettini, Hitchens, Suarez, Corso. Sono juventino, ma mi vengono lo stesso i brividi. Era un altro folber: migliore, parecchio più tecnico.

Stavolta però non mi farò più del male: ho fatto di nuovo tardi, fatico a tenere gli occhi aperti e allora mi caccio subito a letto sperando che il sonno non mi stia già passando. Continuerò a scrivere domattina le ultime righe di un pezzo più di pallone che d’altro e comunque non tale da giustificare la foto di Will Clyburn, il grande colpo dell’estate bianconera, ha gridato sempre Giuseppino Sciascia da qualche parte. Mi pare presentando il campionato di A1 su SuperBasket. Prima di raggiungere Conegliano, dove a pranzo mi aspetta la polenta e funghi, e poi il Friuli per rivedere al tramonto l’Udinese. Stavolta contro la Juventus nella quale non mi riconosco più. Ma di questo e altro vi parlerò domattina dopo il caffelatte freddo con il Krapfen alla crema. E questo ho fatto. Senza sfogliare i quotidiani che alle sette e mezza puntualmente mi ha portato il buon Stefano. Altrimenti avrei capito come è finito il derby di giovedì tra le brutte Cenerentole dell’EuroLega: Armani Olimpia Milano e Segafredo Virtus Bologna. Già anticipandovi che questo modo di spezzare l’articolo in due giorni, tra la notte e il mattino, non mi dispiace affatto. Anzi, oltre che originale, mi sembra godibilissimo. Troppo lungo. Dite? Infatti potrete diluirlo lungo quasi tutta la settimana. Una paginetta al giorno, toglie il medico di torno. O mi sbaglio? Il proverbio non dice proprio così, ma penso non se ne debba fare un dramma.

Si sta alzando la nebbia. Le previsioni dicono che a mezzodì splenderà il sole e saranno 18 gradi all’ombra. Neanche male. Vi informo anche che non cambierò i tempi dell’articolo di ieri: tanto non siamo scemi e siamo riusciti a capirci lo stesso. Venerdì vi ho parlato delle pagelle del calcio. Ebbene giovedì i giornalisti hanno dato 6 e mezzo o 7 a Eusebio Luca Di Francesco. E qualcuno addirittura 7.5: mi pare il Gazzettino. Bene. Il Venezia finalmente ha avuto la fortuna dalla sua rimediando ad un sacrosanto 0-2 dell’Udinese con tre gol, due su calcio di rigore battuti da Pohjanpalo ed uno su calcio di punizione dal limite tirato benissimo da Nicolussi Caviglia, ex bianconero del povero Acciuga Allegri, che sino a quel momento, il settimo del secondo tempo, era stato orrendo al pari di Candela e Yeboah. Eppure il Corriere del Veneto l’ha premiato con un larghissimo sette. Poco male rispetto all’ampia sufficienza regalata all’allenatore pescarese dei lagunari dimenticando che nel primo tempo Di Francesco aveva sbagliato grossolanamente la formazione lasciando in panchina i migliori giocatori che ha a disposizione. Cioè Oristanio e Zampano che ha mandato in campo solo nella ripresa cambiando completamente le carte in tavola. Insomma io gli avrei appioppato invece un 4 e mezzo e, ad esser buono, un 5 meno meno. Anche perché l’Udinese per quasi tutto il secondo tempo ha giocato in dieci a causa dell’espulsione abbastanza generosa di Massa (non più di 4) ai danni di Tourè che aveva giganteggiato in difesa. Eppure tutti gli hanno affibbiato un bel quattro. Ma si può? Io credo assolutamente di no.

Accendo la tivù girandole le spalle perché non ho la minima intenzione di seguire in registrata e men che meno di sentire una partita commentata da Ciccioblack Tranquillo, l’Attila della nostra sciagurata palla nel cestino. Mi giro ed il punteggio è di 6-5 per l’Armani dopo oltre metà primo quarto di non gioco: 0 su 5 da tre punti di Milano e addirittura 0 su 6 da due della Virtus. Con un terzo tempo sbagliato in solitaria dal grande colpo dell’estate bianconera, Will Clyburn, che appoggia la palla al tabellone come una pizza quattro stagioni con tanta mozzarella. E qui non ci ho più visto: quei sei minuti scarsi mi erano bastati. Mandando al diavolo o, meglio, rispedendo al mittente, l’Efes di Istanbul, quel pacco di numero nove con barba della Segafredo che costa – poche balle – l’occhio della testa a Massimo Zanetti. Del quale non mi sono dimenticato l’intervista molto interessante che mi ha rilasciato. Come quella di Matteo Contento, presidente della Nutribullet. Però mi piacerebbe scriverle dopo un’esaltante vittoria di Bologna in Europa o di Treviso in campionato. Campa cavallo che l’erba cresce. Tanto lo so, anche se nessuno me l’ha ancora detto, che la squadra di Luca Banchi, troppo ottimista per i miei gusti, ha perso anche al Forum d’Assago. Felice di sbagliarmi, ma con Mario Fioretti primo coach le scarpette rosse di Ettore il Messi(n)a difficilmente perdono nonostante le mattanze di Leandro Bolmaro. Ma proprio quell’argentino doveva prendere l’Armani assieme al playmaker macedone Nenad Dimitrijevic con oltre 50 milioni d’euro di budget in mano tutti da spendere per far felice il caro Giorgio? L’Innominabile infatti non è ancora guarito dall’otite che si è beccato una settimana fa non so bene da quale l’orecchio. Dipende da quello con cui ascolta i suggerimenti dal suo amico Ciccioblack che strilla su Sky, mi raccontano, di quelle cose che non hanno né capo né coda e soprattutto che non stanno né in cielo né in terra. Massì ridiamoci sopra. Non vi pare? Che per essere tristi c’è sempre tempo. Vedi la Reyer del Pesciolino Rosso che non siede più in panchina. O di Napoleone Brugnaro che così ora non sa più a chi urlare i suoi buoni consigli dalla prima fila in tribuna. Non di certo a Olivetta Spahija che di questi tempi ha altro per la testa a cui pensare. Come la raccolta in Croazia delle sue olive molto, ma molto speciali.