Per fortuna esistono ancora uomini tutti d’un pezzo, inflessibili e rigorosi nell’esercizio delle loro funzioni. Che non guardano in faccia nessuno e non cedono di un centimetro. Come il commissario o il vice questore della sezione di Mestre. Un Anonimo veneziano: così dovrò chiamarlo dal momento che non c’è stato verso di sapere come si chiama. Un uomo grande e grosso, fiero e austero. Probabilmente tifoso della Reyer. In borghese: con il colletto della maglietta bianca senza maniche alzato sulla nuca come andava di moda tra i vecchi golfisti. “Mi scusi, ma lei non può entrare”. E perché mai? “Perché sono già entrati in troppi senza biglietto”. La capisco. Ma io sarei un giornalista: se vuole le mostro la tessera di professionista (dal 1980). E avrei anche l’accredito. “Non mi interessa chi sia lei, ma per una questione d’ordine pubblico non la posso far passare”. In effetti sono un tipo molto pericoloso: con la mia penna satirica ho combinato un sacco di casini e non ho peli sulla lingua, non sono mai stato tenero con la Banda Osiris o con Mamma Rosa, né con il sindaco Napoleone Brugnaro o con Giannino Petrucci, il presidente federale, ma ho la fedina penale candida come la neve e nessun procedimento disciplinare preso nei miei confronti dall’Ordine dei giornalisti del Veneto. Che a tal proposito proprio nei giorni scorsi mi ha assolto con formula piena dalle accuse di un cronista sportivo del Gazzettino che non sopportava d’essere chiamato anche lui Anonimo veneziano. Il solerte funzionario s’era barricato all’ingresso della palestra di Trivignano dietro ad un tavolo. Che avrei anche saltato con destrezza, come Nino Castelnuovo nel Carosello dell’olio Cuore, se avessi dovuto scrivere un pezzo sull’evento cittadino del giorno: la seconda partita di finale della quarta serie della nostra pallacanestro, la C Gold, tra il Basket Mestre e San Vendemiano, il paese di Alex Del Piero alle porte di Conegliano. A costo anche d’essere arrestato da uno dei quattro carabinieri che spalleggiavano il vice questore o il commissario, che dir si voglia, insomma il rigido e impeccabile Anonimo veneziano. Invece ero lì, in aperta campagna, tra la chiesa e i campi di granoturco, le galline e i tacchini, con mio nipote solo per vedere la squadra nella quale ho giocato da bambino e la società che quasi sessant’anni fa aveva fondato mio padre assieme a tre o quattro amici. Tutto qui. E lo giuro: non volevo fare del male a nessuno. Se non ribadire che il sindaco di Venezia, che pure da ragazzo tifava per Wingo, Harris e Antonelli, “son tornati i tempi belli”, avrebbe per una volta eccezionalmente potuto riaprire le porte di quella che è poi la casa-madre del Basket Mestre, cioè il Taliercio. Ci saremmo stati tutti e non eravamo più di mille. Mentre la palestra di Trivignano non ha che una tribunetta da 280 posti a sedere e ieri sera ne avrà ospitati almeno il doppio. Peccato e comunque, come avrete capito, l’ho presa sul ridere. Anche perché alla fine il Ciemme di Giovanni Infanti e Michele Bei (21 punti) ha strapazzato (86-52) il Rucker Sanve di Marco Mian e sabato si giocherà la promozione in serie B a San Vendemiano. Nella vita poi non mi era mai capitata una cosa del genere. Neanche alle sette Olimpiadi alle quali ho assistito e delle quali ho scritto anche di pallacanestro. Come della finale ai Giochi di Barcellona ’92 tra il primo Dream Team di Michael Jordan, che ebbi l’occasione d’intervistare a quattr’occhi, e Magic Johnson, Larry Bird e Charles Barkley, Patrick Ewing e Karl Malone, John Stockton e Scottie Pippen contro la Croazia di Drazen Petrovic e Toni Kukoc. Ma ora chiedetelo all’Anonimo veneziano, commissario o vice questore che sia, di sicuro supporter della Reyer o di Alex Del Piero, com’è finita la partita delle partite di tutta la storia del basket. Perché io devo scappare a Trento. Dove non so ancora se mi daranno un posto in prima o in terza fila dietro al canestro e vicino alla panchina dei campioni d’Italia. Meravigliando che Milano con quell’allenatore che si ritrova abbia già conquistato la finale scudetto a spese della fantastica Brescia di Grazia, Graziella, Mille grazie Bragaglio: chi l’avrebbe mai detto? Di sicuro Mamma Rosa no.