Per intervistare Boscia due carabinieri sono ancora pochi

carabinieri

Non è la barzelletta dei due carabinieri. Come quella dell’appuntato che confida al maresciallo: “Ieri abbiamo arrestato un balordo al posto di blocco”. “E di Blocco non si sa ancora niente?”. Da qualche tempo infatti i quotidiani di Papà Urbano Cairo hanno preso la buona o la cattiva abitudine, decidete pure voi, di fare le interviste in coppia. Soprattutto il Corriere della Sera e la sua redazione sportiva. Proprio come i due carabinieri con in mano una bottiglia di latte che pretendono di mettersi in contatto con la centrale. E non ci riescono. Ora, ad esempio, le quattro chiacchiere a sei occhi di Daniele Dallera e Roberto De Ponti con Boscia Tanjevic a Trieste sono state davvero piacevolissime. Nel solito Caffè degli Specchi in Piazza dell’Unità d’Italia dove ci s’incontra sempre con il Professore montenegrino e dove Cesare Rubini mi dava ogni volta di gomito e mi sussurrava all’orecchio con la sua voce baritonale che arrivavano a sentirla sino in Riva: “Claudio, qui i miei coetanei triestini aspettano ancora che da un momento all’altro entri Cecco Beppe sotto braccio a Sissi e ordinino due spritz con le olivette: ti pare possibile?”. No, caro Principe: era impossibile darti torto. Perché il tempo passa e c’è sempre un domani. Non penso piuttosto che nella nostra pallacanestro siano mai esistiti due personaggi più straordinari e illuminanti (almeno per me) di Rubini e Tanjevic. Forse Dino Meneghin, amatissimo da entrambi, ma una spanna subito dopo. E comunque vi stavo parlando d’altro, mentre la bora mi porta via tutti i dolci ricordi, la vita va avanti e uno dei due carabinieri chiede a Boscia: “Si sente vecchio a 70 anni?”. “No, non mi sento vecchio. Ma sento di non avere più tempo, tempo per fare ancora tante cose che non ho fatto”. D’accordo, ma chi gli ha rivolto la domanda: Dallera o De Pontibus? Sarei proprio curioso di saperlo. Così come capisco anche che il Professore è talmente geniale e mai scontato nelle risposte che due giornalisti che lo intervistano sono ancora pochi per cogliere e trascrivere le sfumature intelligenti del suo colorito linguaggio. “Sapete, milanesi di ’sto cazzo, senza offesa, cosa ha scritto il poeta americano Ogden Nash? “La situazione è tanto grave che peggio non può andare”. Per il basket italiano la penso eguale”. Tanjevic va ascoltato: punto e basta. E gustato come il cognac georgiano prodotto dall’amico Vladimir Boisa. Senza fretta e senza prendere appunti. Seduti a tavola davanti a un buon bicchiere di Lisjak. Che è un refosco tosto come la terra che l’ha inventato: il Carso. A casa di Boris, il meraviglioso figlio che ha l’età dei miei gemelli. Magari fumando insieme. Pur sapendo che fa a entrambi malissimo. Lui mezzo toscanello al caffè, io una Marlboro rossa. Difatti le sue più belle interviste sono sempre quelle televisive e raramente anche quelle scritte a quattro mani. Perché è difficile rendere l’idea di cosa lui vuol dire quando per esempio dice “e io sparo cavallo”. O ti confessa che a Firenze andrà per le final eight di Coppa Italia e per tenere una conferenza sui problemi della nostra pallacanestro. “E ventisette giorni non basterebbero”. Soprattutto MaraMeo Sacchetti dovrebbe ascoltarlo di più. E invece vorrei sbagliarmi, ma mi sembra che lo voglia tenere da sé un po’ distante. Nella scelta dei convocati e fa bene: ognuno è libero di decidere quello che vuole. Ma le idee di Tanjevic sono tutte d’oro ed è un peccato non farne un tesoretto. Così come io non sarei io se al nuovo cittì non avessi rimproverato a suo tempo d’essersi dimenticato di Michele Vitali, il fratello di Luca, non più Superbone, ma superbo leader della Brescia di Diana PerDiana che più in alto di così non può arrampicarsi. Però sarei anche un paraculo se adesso a Meo non dicessi che ha sbagliato a non inserire tra i ventiquattro azzurri Stefano Gentile e soprattutto Stefano Tonut. Che è guarito al cento per cento dal mal di schiena e al quale la nazionale non avrebbe fatto che bene per il morale che a volte ha sotto ai tacchi. Ma ora lasciatemi sprofondare in poltrona davanti alla tivù per vedere se l’Armani sarà capace di farsi fare il mazzo anche da Koponen. Spero di no, ma ho tanta paura.