La rivolta dei tredici arbitri contro il loro sindacato

Di registrazione in registrazione prima o poi arriverò anche a vedere in tivù la Fortitudo contro Treviso di domenica scorsa, ma intanto, per restare in tema, vi regalo questa foto niente male di Ed Daniel, l’idolo ritrovato della Bologna con l’aquila e lo scudo, che schiaccia a canestro con furore scompigliando le treccine che fanno più vento e baccano del tifone Hagibis che non si è alla fin fine abbattuto su Toyota. Dove si sarebbe dovuta giocare Nuova Zelanda-Italia del Mondiale giapponese e il match è stato invece soppresso. Io questi della bislunga azzurra proprio non li capisco: rischiavano di prenderne un sacco e una sporta (di mete) come è già successo una decina giorni fa con l’Australia (3-49) e adesso che hanno storicamente pareggiato 0-0 con gli All Blacks, anche se a tavolino, pure si lamentano e persino frignano come i bambini che non vogliono andare all’asilo e battono i piedi per terra. E’ ovvio che sto scherzando di quegli uomini rudi e forti che sono i rugbisti, però mi tocca comunque puntualizzarlo perché purtroppo sono circondato da così tanti ma tanti imbecilli su Facebook che ogni volta dubito che questi laureati, che si permettono persino d’offenderti, sappiano anche leggere. Uso il social network solamente (o quasi) come copia e incolla dei pezzi che ho scritto qualche ora prima sul mio caro e non più giovane blog www.claudiopea.it o com raramente rispondendo a chi conosco e reputo un “amico benpensante”. Gli altri invece li cancello. Soprattutto se salvinisti e intertristi o sguaiati virtussini. Ieri ho titolato: “Per molto meno i milanesi avrebbero già messo in croce Pianigianie avrebbero già buttato via chiodi e martelli. E ne sono oggi ancora più convinto di ieri. Né voglio nemmeno pensare a quel che avrebbero fatto gli stessi a Livido Proli e al povero Flavio Portaluppi se l’Armani, nelle prime tre partite di campionato giocate al Forum all’inizio d’autunno del 2018, avesse perso due volte (su tre) e non con Venezia e Sassari, che l’avrei magari anche potuto comprendere, ma con Brescia e Brindisi che fanno i salti mortali per arrivare a pagare stipendi e tasse a fine mese. Mentre all’Olimpia, che trasuda quattrini da tutti i pori, non solo ogni giocatore ha un dietologo per conto proprio che gli consiglia cosa mangiare al catering di mezzogiorno dopo il duro allenamento mattutino e uno psicologo che gli insegna come ci si lega le scarpette (rosse) senza doversi spremere il cervello, però se Amadeus Della Valle, prendendone uno a caso tra i sedici o diciotto biancorossi, ormai non tengo più il conto, chiede un bicchier acqua mentre sta facendo stretching sul parquet, almeno tre dell’imponente staff di Ettore Messina scattano e fanno a gara per portarglielo entro dieci secondi cercando di non perderne nemmeno una goccia. Tuttavia, pur continuando a sostenerlo, e ricordando, già che ci sono, che nel frattempo il mio ex Ricciolino, fortemente voluto ad onor del vero da Pianigiani all’Armani quando tutti chiedevano a Simone se per caso fosse diventato matto, si è fatto l’appartamentino di lusso a Milano, non è che per questo avevo voluto ieri paragonare il senese al catanese, adottivo di Mestre, o stabilire chi dei due sia il più bravo, ma semplicemente evidenziare quanto i mangia-panettoni meneghini fossero prevenuti nei confronti del Nazareno e quanto siano invece tolleranti adesso con il Messia. Che, anzi, mi è piaciuto per la passione che ci sta mettendo nel sua nuova e comunque non semplice avventura, nella quale come minimo deve centrare le final four d’EuroLega e vincere Coppa Italia e scudetto, e per come vaffancula a muso duro i suoi disubbidienti signorini, gonfi di soldi e di presunzione, quando non fanno quello che dice lui. Il che ultimamente all’Armani succede troppo spesso e (molto) volentieri. Tutto qui. Sono due o tre giorni che non leggo i giornali e, siccome nessuno scrive più di basket, a parte quello di Mamma Rosa che ha spedito Canfora (C16H10O) al golf dopo il taglio di Francesco Molinari all’Open dell’Olgiata, cioè a babbo morto (promoveatur ut amoveatur?), non credo che nessuno abbia dato notizia della rivolta di tredici arbitri di serie A scoppiata ormai quindici giorni fa nei confronti del loro sindacato presieduto dal fischietto e avvocato Gianluca Sardella. Dal quale hanno preso le distanze, oltre a Michele Rossi, Tolga Sahin e Max Filippini da parecchio tempo non più iscritti alla Aiap, ora pure Carmelo Paternicò e Bobo Begnis, ma anche Manuel Mazzoni, Lorenzo Baldini, Maurizio Biggi, Manuel Attard, Martino Galasso, Andrea Bongiorni, Cristian Borgo, Alessandro Nicolini e Mark Bartoli che hanno preannunciato le loro dimissioni e hanno comunque firmato la letteraccia contro Sardella accusato “d’aver abbandonato la strada della sincerità e di pensare solo al proprio tornaconto” o di “strumentalizzare i fatti a piacimento e di cambiare le opinioni con la velocità del vento”. Tredici arbitri, i più quotati e forse anche i più bravi, non sta a me stabilirlo, più Sahin per conto suo, si sono insomma stretti intorno al designatore Marco Giansanti e al capo-commissario Guerrino Cerebuch per difendee soprattutto i loro interessi. Probabilmente la guerra è sbocciata dall’articolo che ho scritto il 18 settembre, e che v’invito a rileggere, sulla pezza d’accompagnamento di un ricco pranzo brindisino che Paternicò ha regalato a Cerebuch. Di qui la denuncia (tardiva?) dell’arbitro Gianluca Calbucci una volta che era stato trombato e la rivolta degli altri ventitré fischietti meno famosi e sbarbati, eccezion fatta per Alessandro Martolini, Saverio Lanzarini e Carmelo Lo Guzzo. Peccato che a mezzanotte (passata) mi sono addormentato sulla tastiera del computer come sabato vedendo l’anticipo di Pistoia e così non prima di domani nel pomeriggio tornerò sull’argomento che mi pare parecchio scabroso e sul quale gradirei che anche Giannino Petrucci e il suo futuro (a breve) vice presidente, Stefano Tedeschi, dicessero la loro prima che io spari la mia.